Il giudice d’appello può sostituire d’ufficio la pena detentiva con le pene di cui all’art. 20-bis c.p.?

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Cass. pen., sez. II, 27/05/2025 (ud. 27/05/2025, dep. 31/07/2025), n. 28173 (Pres. Verga, Rel. Recchione)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il giudice d’appello può disporre la sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive previste dall’art. 20-bis cod. pen. ex officio.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello de L’Aquila confermava la responsabilità di un imputato per la rapina aggravata a lui contestata, irrogandogli una pena pari a anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro settecento di multa.

Ciò posto, avverso codesta decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione posto che, a suo avviso, la richiesta di applicazione delle pene sostitutive sarebbe stata rigettata con motivazione apparente, senza tenere conto della attuale situazione del ricorrente e senza effettuare alcuna prognosi in ordine alla possibile ricaduta nel delitto.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in materia di richieste di sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive previste dall’art. 20-bis cod. pen.[1] il giudice di appello non può disporre la sostituzione ex officio nel caso in cui, nell’atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen.[2], che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello (Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025).

I risvolti applicativi

In assenza di una specifica e motivata richiesta nell’atto d’appello, il giudice non può disporre d’ufficio la sostituzione della pena detentiva con le pene previste dall’art. 20-bis c.p., poiché tale sostituzione non rientra tra i benefici eccezionalmente esaminabili ex art. 597, comma 5, c.p.p..

[1]Ai sensi del quale: “Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti: 1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva. La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni. La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno”

[2]Secondo cui: “Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del codice penale”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 28173 Anno 2025

Presidente: VERGA GIOVANNA

Relatore: RECCHIONE SANDRA

Data Udienza: 27/05/2025

Data Deposito: 31/07/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da: D. M. G. nato a … il …

avverso la sentenza del 06/05/2024 della Corte d’appello di L’aquila

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Sandra Recchione;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Sassone

che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Il Collegio dà atto che nessuno è presente nonostante la regolare notifica al difensore.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila confermava la responsabilità di M. G. D. per la rapina aggravata a lui contestata e gli irrogava la pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro settecento di multa.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione della sanzione che veniva sostanzialmente confermata, previa eliminazione degli aumenti per la continuazione disposti in relazione ai reati estinti per prescrizione;

2.2. violazione di legge (art. 62-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, denegate nonostante la risalenza della condotta (2008) ed il fatto che nel periodo successivo alla stessa il ricorrente di era integrato nel tessuto sociale ed economico, senza commettere ulteriori reati;

2.3. violazione di legge e vizio di motivazione: la richiesta di applicazione delle pene sostitutive sarebbe stata rigettata con motivazione apparente, senza tenere conto della attuale situazione del ricorrente e senza effettuare alcuna prognosi in ordine alla possibile ricaduta nel delitto.

2.4. Le ragioni del ricorso sono state ribadite con memoria del 7 maggio 2025.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è infondato.

1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso non superano la soglia di ammissibilità.

Il ricorrente contesta la definizione del trattamento sanzionatorio senza confrontarsi con la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui in punto di quantificazione della pena i giudici di merito godono di un ampio margine di discrezionalità che deve essere esercitato nel rispetto dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., il collegio rileva che, nel caso in esame, la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio risulta ineccepibile in quanto priva di illogicità manifeste ed aderente alle emergenze processuali. Invero la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, omissis, Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 – dep. 26/03/2008, omissis, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello

Con specifico riguardo agli oneri motivazionali gravanti sul Giudice richiesto di valutare la sussistenza delle condizioni per concedere le attenuanti generiche il Collegio riafferma che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (tra le altre: Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, omissis, Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, omissis, Rv. 270986).

1.2. In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte d’appello riteneva che non potessero essere concesse al ricorrente le attenuanti atipiche, tenuto conto dell’assenza di elementi positivi e valutata la personalità negativa dello stesso, che era gravato da precedenti penali, anche specifici (il che induceva a formulare una prognosi negativa circa la possibile reiterazione di altri reati).

Tale motivazione indica con chiarezza quali sono le ragioni a sostegno della ritenuta equità della pena inflitta, determinata in secondo grado attraverso la consapevole conferma del trattamento sanzionatorio già definito dal Tribunale, previa eliminazione degli aumenti per la continuazione relativi ai reati prescritti (pag. 5 della sentenza impugnata).

1.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

In materia di richieste di sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive previste dall’art. 20-bis cod. pen. il Collegio riafferma che il giudice d’appello non può disporre la sostituzione ex officio nel caso in cui, nell’atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello (Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025, omissis, Rv. 287820 – 01).

Nel caso in esame la applicazione delle pene sostitutive è stata chiesta solo con i motivi aggiunti (dunque tardivamente) ed in modo generico.

La Corte di appello, che ha comunque valutato la richiesta, ha escluso la possibilità della sostituzione (facendo riferimento, peraltro, al solo lavoro di pubblica utilità e non alle altre sanzioni) sulla base della ritenuta inidoneità della invocata sostituzione alla rieducazione dell’imputato: si tratta di una motivazione che non si presta a censure che offre una giustificazione al diniego del beneficio richiesto del tutto coerente con la genericità della richiesta (peraltro tardivamente proposta).

2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso, il giorno 27 maggio 2025

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