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Costituzione del rapporto processuale nel giudizio direttissimo

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Cass. pen., sez. V, 22/04/2021 (ud. 22/04/2021, dep. 04/08/2021), n. 30522 (Pres. Vessichelli, Rel. Guardiano)

Indice

La questione giuridica

Come evidenziato nel titolo di questo scritto, tra le questioni affrontate dalla decisione qui in commento, una di queste afferiva proprio a quella inerente al momento a partire dal quale si verifica la costituzione del rapporto processuale nel giudizio direttissimo.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la pronuncia in esame, il difensore dell’accusato, nel proporre ricorso per Cassazione avverso una sentenza emessa dalla Corte di appello di Brescia che, a sua volta, confermava quanto disposto dal Tribunale in composizione monocratica della medesima città, in riferimento ad un caso di furto aggravato, a seguito di giudizio abbreviato, instaurato dopo che l’imputato era stato arrestato in flagranza di reato, deduceva, tra le argomentazioni ivi addotte, la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale aveva equiparato la presentazione dell’imputato in udienza per la convalida dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria, al “provvedimento che dispone il giudizio”, in quanto, secondo il dettato normativo e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, il termine di fase deve individuarsi non già nell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero e nemmeno nell’attività di verifica dei presupposti legittimanti l’arresto o il fermo svolta dal giudice in sede di convalida, ma in un momento successivo, con il vaglio operato dal giudice in udienza, corrispondente, per l’udienza preliminare, al decreto che dispone il giudizio, mentre nei casi dì citazione diretta, con l’apertura del dibattimento.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere la doglianza suesposta infondata, dava altresì risposta al quesito giuridico summenzionato, mediante il richiamo a quell’orientamento interpretativo secondo il quale, nel giudizio direttissimo, la costituzione del rapporto processuale, che trae origine dall’esercizio dell’azione penale, si verifica con la presentazione all’udienza dell’imputato arrestato o in stato di custodia cautelare ovvero, nel caso di imputato in stato di libertà, con l’emissione del decreto di citazione seguita dalla trasmissione degli atti al giudice (cfr. Cass., Sez. 4, n. 8109 del 13/12/2018), sancendosi in tal modo la piena equipollenza, nel giudizio direttissimo, tra la presentazione all’udienza dell’imputato arrestato e l’emissione del decreto di citazione a giudizio.

I risvolti applicativi

Nel giudizio direttissimo, la costituzione del rapporto processuale, che trae origine dall’esercizio dell’azione penale, si verifica con la presentazione all’udienza dell’imputato arrestato o in stato di custodia cautelare ovvero, nel caso di imputato in stato di libertà, con l’emissione del decreto di citazione seguita dalla trasmissione degli atti al giudice.

Dunque, solo a partire da uno di questi momenti, il rapporto processuale, per quanto riguarda codesto rito speciale, può ritenersi validamente costituito.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 30522 Anno 2021

Presidente: VESSICHELLI MARIA

Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 22/04/2021

Data Deposito: 04/08/2021

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G. V. nato il …

avverso la sentenza del 04/04/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VINCENZO SENATORE che ha concluso chiedendo il rigetto

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Brescia confermava la sentenza con cui, in data 20.10.2017, il tribunale di Brescia, in composizione monocratica, decidendo in sede di giudizio

abbreviato, instaurato dopo che l’imputato G. V., arrestato in flagranza di reato, era stato presentato innanzi al suddetto tribunale per la celebrazione del giudizio direttissimo, aveva condannato il G. alla

pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di tentato furto aggravato, ex art. 625, n. 2) e n. 5), c.p., così riqualificata l’originaria contestazione.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di

motivazione, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto inapplicabile al rito direttissimo la sentenza di improcedibilità prevista a pena di decadenza dall’art. 13, co. 3, quater, d.lgs. 286/98.

Ad avviso del ricorrente, in particolare, la corte di appello di Brescia ha reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria nell’individuare (confermando l’ordinanza pronunciata dal tribunale il 20.10.2017 e impugnata attraverso l’appello avverso la decisione di primo grado), con riferimento al giudizio direttissimo, nella presentazione dell’imputato all’udienza di convalida dell’arresto o del fermo, il momento preclusivo all’emissione della sentenza di improcedibilità per espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, considerando tale presentazione equipollente alla emissione del provvedimento che dispone il giudizio, che, come espressamente sancito dalla richiamata disposizione normativa, rappresenta il limite procedurale oltre il quale la sentenza di improcedibilità di cui si discute non può essere pronunciata.

Argomentando in tal modo, infatti, osserva il ricorrente, il giudice di appello, pur riconoscendo in linea di principio l’applicabilità della disciplina ex art. 13, co. 3, quater, d.lgs. 286/98, al rito per direttissima, la rende di fatto inapplicabile, posto che l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato può avvenire solo in una fase successiva alla presentazione per la convalida dell’arresto o del fermo, quando il giudice, dopo avere proceduto alla suddetta convalida, rilascia il nullaosta indispensabile per disporre l’espulsione dello straniero, conformemente a quanto previsto dall’art. 13, co. 3 bis, d.lgs. 286/98.

Si viene, così, a determinare, secondo quanto eccepito dal ricorrente, una ingiustificata disparità di trattamento tra gli imputati giudicati con il giudizio direttissimo, ai quali verrebbe preclusa la possibilità di ottenere la pronuncia in proprio favore della sentenza di improcedibilità in questione, e gli imputati, anche di gravi reati, per i quali, sulla base di una scelta meramente discrezionale del pubblico ministero, dopo la convalida dell’arresto o del fermo, si proceda attraverso la fissazione dell’udienza preliminare, potendo essi, in tale ultima evenienza, beneficiare del provvedimento di espulsione eventualmente adottato nelle more della fissazione dell’udienza preliminare, che consente la pronuncia della sentenza di improcedibilità.

Il ricorrente, infine, evidenzia la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui la corte territoriale ha equiparato la presentazione dell’imputato in udienza per la convalida dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria, al “provvedimento che dispone il giudizio”, in quanto, secondo il dettato normativo e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, il termine di fase deve individuarsi non già nell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero e nemmeno nell’attività di verifica dei presupposti legittimanti l’arresto o il fermo svolta dal giudice in sede di convalida, ma in un momento successivo, con il vaglio operato dal giudice in udienza, corrispondente,

per l’udienza preliminare, al decreto che dispone il giudizio, mentre nei casi dì citazione diretta, con l’apertura del dibattimento.

3. Con requisitoria scritta del 18.3.2021, depositata sulla base della previsione dell’art. 23, co. 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga rigettato.

3. Il ricorso va rigettato, essendo infondati i motivi che lo sorreggono.

4. Secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato non è consentita una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente (cfr. Cass., Sez. 3, n. 13118 del 06/02/2020, Rv. 279232; Cass., Sez. 1, n. 47454 del 30/10/2013, Rv. 257471).

Sul punto si è da tempo osservato che “il d.lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3 quater debba essere interpretato estensivamente, come consentito dal ricorso al criterio interpretativo della intenzione del

legislatore, cioè al criterio logico previsto insieme a quello letterale dall’art. 12 disp. gen., di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 262. In base alla ratio legis – da intendersi come lo spirito, la ragion d’essere della norma, la finalità sociale a cui essa è diretta – deve concludersi affermando che iI legislatore minus dixit quam voluit. Ed invero, la finalità dell’espulsione – in tutte le sue forme – è quella, già autorevolmente riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 62 del 10-24 febbraio 1994, “giustificata essenzialmente dall’interesse pubblico di ridurre l’enorme affollamento carcerario … e di allontanare dal territorio dello Stato stranieri sottoposti a procedimento penale”.

Se questa è la finalità che ha spinto il legislatore a rinunciare all’esercizio dell’azione penale quando l’espulsione sia avvenuta e provata prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, deve ritenersi che il citato art. 13, comma 3 quater sia applicabile estensivamente, o almeno analogicamente, anche a tutti i casi in cui l’espulsione sia avvenuta e provata prima che si pervenga al giudizio” (cfr. Cass., Sez. 1, n. 35843 del 19/09/2007, Rv. 237314).

Altrettanto pacifico nella giurisprudenza di legittimità è il principio secondo cui, affinché possa essere pronunciata la sentenza di non luogo a procedere nei confronti del cittadino straniero, sottoposto a procedimento penale, occorre dimostrare che l’espulsione sia avvenuta prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio ovvero di altro provvedimento equipollente (cfr. (cfr. Cass., Sez. 1, n. 35843 del 19/09/2007, Rv. 237314; Cass., Sez. 6, n. 50939 del 18/09/2014, Rv. 262792).

Orbene, applicando tali principi alla fattispecie in esame, non sembra vi siano spazi per potere applicare in favore del ricorrente il disposto del citato art. 13, comma 3 quater del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto l’espulsione del G. dal territorio nazionale è intervenuta il 10.10.2017, laddove il giudizio direttissimo è stato instaurato il 9.10.2017, dopo la convalida dell’arresto, operata dal tribunale in composizione monocratica.

Non è revocabile in dubbio, infatti, che, con riferimento al giudizio direttissimo instaurato, come nel caso in esame, ai sensi dell’art. 449, co. 1, c.p.p., avendo il pubblico ministero deciso di procedere presentando direttamente l’imputato in stato di arresto davanti a giudice del dibattimento, per la convalida e il contestuale giudizio entro quarantotto ore dall’arresto, il provvedimento equipollente all’emissione del decreto che dispone il giudizio, adottato il quale non è più possibile pronunciare la sentenza di improcedibilità atipica di cui si discute, sia rappresentato dalla presentazione dell’indagato per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio innanzi al giudice del dibattimento, secondo la scansione delineata dal già citato art. 449, co. 1, c.p.p., e dai successivi artt. 449, co. 3 (“Se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio”); 450, co. 1 (“Quando procede a giudizio direttissimo, il pubblico ministero fa condurre direttamente all’udienza l’imputato arrestato in flagranza o in stato di custodia cautelare”); 451, co. 4 (“Il pubblico ministero, fuori del caso previsto dall’art. 450 comma 2, contesta l’imputazione all’imputato presente”) del codice di rito.

Ed invero, come è stato affermato da un condivisibile arresto di questa Corte di Cassazione, nel giudizio direttissimo la costituzione del rapporto processuale, che trae origine dall’esercizio dell’azione penale, si verifica con la presentazione all’udienza dell’imputato arrestato o in stato di custodia cautelare ovvero, nel caso di imputato in stato di libertà, con l’emissione del decreto di citazione seguita dalla trasmissione degli atti al giudice (cfr. Cass., Sez. 4, n. 8109 del 13/12/2018, Rv. 275152), sancendosi in tal modo la piena equipollenza, nel giudizio direttissimo, tra la presentazione all’udienza dell’imputato arrestato e l’emissione del decreto di citazione a giudizio.

Non sfugge al Collegio, che, secondo l’indicata prospettiva, si corre il rischio di escludere l’applicabilità del disposto dell’art. 13, comma 3 quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tutti i casi in cui il giudizio direttissimo sia instaurato, ai sensi dell’art. 449, co. 1, c.p.p., sulla base della scelta del pubblico ministero di condurre l’imputato in stato di arresto innanzi al giudice del dibattimento per la relativa convalida e il contestuale giudizio, in quanto la contestualità delle due fasi, pur logicamente distinte, della convalida dell’arresto e del giudizio, rende di fatto impossibile che venga emesso ed eseguito un eventuale provvedimento di espulsione, la cui adozione, nel caso di soggetto arrestato in flagranza o fermato, ai sensi dell’art. 13, co. 3 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, non può essere disposta senza il rilascio del relativo nulla-osta al momento della convalida, sempre che il giudice non ritenga

di dovere adottare la misura della custodia cautelare in carcere.

Tale eventualità, tuttavia, non rende l’interpretazione propugnata in questa sede irrazionale o contraddittoria, né espone la disciplina di cui si discute a un dubbio, non manifestamente infondato, dì legittimità costituzionale.

Appare, infatti, logicamente coerente ritenere che la finalità pubblica di ridurre il considerevole affollamento carcerario e di allontanare dal territorio dello Stato soggetti sottoposti a procedimento penale, sulla base di una valutazione discrezionale del Legislatore affatto irrazionale, possa prevalere sull’interesse alla celebrazione del giudizio penale, in una fase in cui il rapporto processuale tra le parti, con tutto il complesso catalogo dei principi che lo governano, sancito dall’art. 111, Costituzione, non si è ancora costituito, laddove, nel momento in cui tale rapporto si è instaurato – attraverso l’adozione di atti, come il decreto che dispone il giudizio o la presentazione dell’imputato al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e il contestale giudizio, che manifestano la volontà dello Stato di far prevalere l’interesse alla celebrazione del giudizio sugli altri interessi sottesi all’adozione della sentenza di improcedibilità atipica di cui si discute – permane l’interesse pubblico alla “naturale” conclusione del giudizio stesso, rappresentata dai diversi epiloghi decisori contemplati dal codice di rito, ai quali risulta del tutto estranea la sentenza di non doversi procedere per espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.

6. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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