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Come si applica il principio di proporzionalità nella determinazione delle misure cautelari?

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Cass. pen., sez. I, 20/03/2024 (ud. 20/03/2024, dep. 28/08/2024), n. 33239 (Pres. Rocchi, Rel. Mancuso)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava in che termini opera il principio di proporzionalità, come parametro di commisurazione delle misure cautelari.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Catania rigettava un appello proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dalla difesa avverso un’ordinanza della Corte di Assise di Appello della medesima città che, a sua volta, aveva rigettato un’istanza rivolta ad ottenere la scarcerazione per avvenuta espiazione di pena o per aver espiato due terzi della pena edittale astratta.

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa ricorreva per Cassazione, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 273, comma 2, 275, comma 2, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011).

I risvolti applicativi

Il principio di proporzionalità, come quello di adeguatezza, funge da criterio regolatore per la commisurazione delle misure cautelari alle esigenze specifiche del caso, sia al momento dell’adozione, che durante la loro applicazione, richiedendo una continua verifica per garantire la minor compressione possibile della libertà personale.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 33239 Anno 2024

Presidente: ROCCHI GIACOMO

Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO AUGUSTO

Data Udienza: 20/03/2024

Data Deposito: 28/08/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A. A. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 28/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA

udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO AUGUSTO MANCUSO;

lette/sentite le conclusioni del PG MARIAEMANUELA GUERRA

udito il difensore

Trattazione scritta.

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa Maria Emanuela Guerra, Sostituta Procuratrice generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 novembre 2023, il Tribunale di Catania rigettava l’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dalla difesa di A. A., avverso l’ordinanza della Corte di assise di appello di Catania che aveva rigettato l’istanza di costui rivolta ad ottenere la scarcerazione, per avvenuta espiazione di pena o per aver espiato due terzi della pena edittale astratta, in relazione alla misura cautelare alla quale egli si trovava sottoposto in corso di giudizio per il reato di omicidio aggravato contestato come commesso il 4 maggio 2001, per il quale era stato condannato alla pena di trenta anni di reclusione con sentenza di primo grado non divenuta irrevocabile.

Il Tribunale, nella citata ordinanza del 28 novembre 20023, affermava che l’appello in materia cautelare era diretto a lamentare la violazione del principio di proporzionalità e di adeguatezza delle misure cautelari ed era infondato, perché la misura cautelare, a differenza della pena, presuppone una pericolosità in atto che il Tribunale riteneva sussistente in relazione al delitto di omicidio aggravato,

mentre il periodo di custodia cautelare non poteva essere sovrapposto alla pena da espiare invocando il principio di fungibilità della pena, perché esso non è suscettibile di interpretazione analogica.

2. Avverso la menzionata ordinanza del Tribunale in data 28 novembre 2023, il difensore di A. A. ha proposto ricorso per cassazione, con atto in cui deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 273, comma 2, 275, comma 2, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione. La difesa afferma che il Tribunale ha errato nel richiamare il principio di fungibilità della pena, perché in realtà, con l’appello rivolto al Tribunale avverso la precedente ordinanza della Corte di assise di appello, era stato dedotto che la pena di trent’anni di reclusione che, in mancanza di gravame da parte del Pubblico Ministero, potrebbe risultare inflitta in concreto ad A. nell’ipotesi in cui diverrà irrevocabile la condanna inflittagli in primo grado nel procedimento in corso, dovrebbe confluire in quel cumulo – fra più cumuli di pene concorrenti inflitte ad A. – che riguarda le pene inflitte per reati commessi anteriormente alla carcerazione iniziata il 31 dicembre 2001. Secondo l’impostazione difensiva, il cumulo evidenziato riguarda la pena complessiva di 45 anni, 2 mesi e 10 giorni di reclusione, ridotta a 30 anni di reclusione in applicazione del criterio moderatore stabilito dall’art. 78 cod. pen., con fine della pena stessa al 6 dicembre 2021. E, dato che l’omicidio aggravato contestato nel processo in corso è stato commesso il 4 maggio 2001, quindi anteriormente al 31 dicembre 2001, epoca cui si riferisce l’inizio della precedente carcerazione di A., la pena da espiare complessivamente, in applicazione del richiamato criterio moderatore, per il reato di omicidio aggravato oggetto del procedimento in corso

e per tutti i reati compresi in detto cumulo, non potrebbe esorbitare comunque i 30 anni di reclusione per tutti i reati in argomento, pur dopo l’ipotizzata inclusione, nel cumulo predetto, della pena oggetto del procedimento in corso, relativa all’omicidio del 4 maggio 2001, che risulterebbe, quindi, già interamente espiata.

La difesa afferma che la stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 14220/2023 e n. 3787/2023, emessa il 16 dicembre 2022, depositata il 4 aprile 2023 – benché avesse rigettato, per mancanza di elementi che potessero consentire alcuna ponderata, il ricorso proposto proprio dallo stesso A. avverso precedente provvedimento di merito riguardante la stessa questione circa l’avvenuta espiazione della pena – ha affermato che tale questione poteva essere  valutata anche in sede diversa da quella esecutiva; che l’entità della pena da espiare assume rilevanza alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità della misura cautelare; che la misura cautelare non può essere mantenuta se non è destinata a sfociare in una pena eseguibile, almeno per una parte residua.

La difesa ha invocato, inoltre, l’applicazione del principio affermato dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza n. 16085 emessa il 22 aprile 2011, in base alla quale il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza di cui all’articolo 275, comma 2, cod. proc. pen., opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità di quella specifica misura a fronteggiare le esigenze che concretamente permangono o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può essere accolto.

1.1. La giurisprudenza di legittimità, nella sentenza delle Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, Rv. 249324 – 01, ha chiarito che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale.

Peraltro, la sentenza richiamata precisa, nell’ultima pagina della motivazione, che l’intero sviluppo della vicenda cautelare deve essere sottoposto a costante ed attenta verifica circa la effettiva rispondenza dei tempi e dei modi di limitazione della libertà personale al quadro delle specifiche esigenze, dinamicamente apprezzabili, proprio alla stregua dei criteri di adeguatezza e proporzionalità, posto che, se, da un lato, l’approssimarsi di un limite temporale di applicazione della

misura custodiale a quello della pena espianda non può risolversi nella automatica perenzione della misura stessa, è peraltro elemento da apprezzare con ogni cautela, proprio sul versante della quantità e qualità delle esigenze che residuano nel caso di specie e sulla correlativa adeguatezza della misura in corso di applicazione.

1.2. Proprio in applicazione del richiamato principio di diritto, pienamente condivisibile, deve affermarsi, con riferimento al caso concreto ora in esame, che le doglianze difensive riguardanti il vizio di violazione di legge sono prive di pregio, e le doglianze riguardanti la motivazione sono superate a seguito delle precisazioni qui esposte, poiché, comunque, il Tribunale non avrebbe potuto ritenere fondata la tesi difensiva secondo la quale egli avrebbe dovuto essere scarcerato per avvenuta espiazione della pena.

L’approssimarsi della durata della misura cautelare alla misura della pena che potrebbe risultare in concreto espiabile in fase esecutiva, in applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., non determina, infatti, la perenzione della misura cautelare, ma solo la necessità di apprezzare tale elemento in concreto, al fine, sopra ricordato, di verificare la qualità e la quantità delle esigenze cautelari residue.

Nel caso concreto, il ricorso – che non lamenta una mancata considerazione di elementi riguardanti la sussistenza di esigenze cautelari residue – si rivela infondato, perché propone, in linea di diritto, la tesi, non condivisibile per le ragioni esposte, di un’automatica estinzione della misura cautelare ove sia ravvisabile la situazione esposta.

2. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e, conseguentemente, il ricorrente, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, 20 marzo 2024.

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