Cerca
Close this search box.

Le intercettazioni di conversazioni senza la partecipazione dell’imputato costituiscono prova diretta?

Facebook
LinkedIn

Cass. pen., sez. II, 14/05/2024 (ud. 14/05/2024, dep. 25/07/2024), n. 30571 (Pres. Verga, Rel. Messini D’Agostini)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale del riesame di Napoli, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, applicava ex art. 310 cod. proc. pen. la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di una persona per il reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso.

Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, il quale deduceva violazione di legge.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto non meritevole di accoglimento.

In particolare, tra le argomentazioni giuridiche che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, con l’avvertenza che, ove tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno essere gravi, precisi e concordanti, come disposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015).

I risvolti applicativi

Le prove ottenute da intercettazioni di conversazioni senza la partecipazione dell’imputato sono considerate prove dirette e valutabili liberamente dal giudice, senza bisogno di conferme esterne, fermo restando però che, se queste prove sono indiziarie, esse devono essere gravi, precise e concordanti, come richiesto dall’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 30571 Anno 2024

Presidente: VERGA GIOVANNA

Relatore: MESSINI D’AGOSTINI PIERO

Data Udienza: 14/05/2024

Data Deposito: 25/07/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T. G. nato a … il …

avverso la ordinanza del 20/02/2024 del TRIBUNALE DI NAPOLI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Piero Messini D’Agostini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20 febbraio 2024 il Tribunale del riesame di Napoli, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, applicava ex art. 310 cod. proc. pen. la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di G. T. per il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di tipo c. denominata clan M., con funzioni direttive (art. 416-bis, secondo comma, cod. pen.): secondo l’imputazione provvisoria, il ricorrente era “reggente pro tempore dell’organizzazione criminale in considerazione dello stato di detenzione dei vertici dell’organizzazione, manteneva i rapporti con i clan napoletani che, insieme al clan M., sono confederati nella c.d. …, risolvendo le situazioni di conflitto venutesi a creare”.

2. Ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per violazione di legge in ragione di due motivi.

2.1. La violazione sussiste nella parte in cui l’appello del Pubblico ministero contro l’ordinanza di rigetto del G.i.p. non è stato dichiarato inammissibile, non avendo risposto al rilievo dell’ordinanza genetica là dove, con riferimento alla posizione di T., si era osservato che “le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che lo collocano ora nel clan C., ora nel clan L. e da ultimo nel clan M., appaiono generiche e soprattutto non circostanziate sul piano cronologico”.

Il Pubblico ministero appellante ha attribuito all’indagato una sommaria intraneità con ruolo di reggente pro tempore senza indicare quando il ruolo sarebbe stato ricoperto e si è limitato a chiedere al Tribunale una rivalutazione dei medesimi elementi, senza confrontarsi con un altro dato evidenziato dal G.i.p. a proposito della edificazione del centro commerciale “…”: “appare verosimile che l’intervento dell’indagato (quale mediatore e figura di riferimento nel mondo della criminalità locale anche in sostituzione dei capi clan detenuti) sia stato determinato dalla necessità di comporre una controversia tra clan finitimi (clan M. e clan L.) per la suddivisione delle tangenti relative ai lavori della birreria”.

Il rilievo non è stato superato neppure dal Tribunale che peraltro, in una precedente ordinanza a carico di altro indagato, nell’ambito del medesimo procedimento, aveva attribuito a S. C., non detenuto, il ruolo di reggente del clan M..

2.2. La violazione di legge è riscontrabile anche nella parte in cui, con motivazione apparente, illogica e intrinsecamente contraddittoria, non chiarisce quando T. avrebbe ricoperto il ruolo di reggente ed evoca dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che fece riferimento alla conoscenza del ricorrente

da parte di F. V. e non già di L. V., imprenditore destinatario di una ordinanza di custodia cautelare poi annullata.

T. è stato condannato in via definitiva per la partecipazione al clan L. e per gravi reati commessi in tale contesto; altre sentenze hanno indicato in M. O. e S. C. i reggenti del clan M. dal 2019 al 2021.

L’indagato, in oltre dieci anni, è intervenuto solo nei confronti di G. F., vittima di usura, e presso i L. nella occasione sopra ricordata, fatti che non dimostrano affatto il ruolo di reggente pro tempore del clan M..

3. Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato perché proposto con un motivo infondato, supportato da doglianze in larga parte generiche e non consentite in sede di legittimità.

2. In primo luogo, è priva di fondamento la censura relativa alla inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero che non sarebbe stata rilevata dal Tribunale del riesame.

Con l’impugnazione il Pubblico ministero aveva richiamato gli elementi probatori ritenendo che sul piano cronologico emergessero già i periodi a cui riferire le affiliazioni e richiedendo al Tribunale una rivalutazione dei medesimi elementi, ben consentita nella fase del procedimento cautelare in sede di merito.

Per contro, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, omissis, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, omissis, Rv. 269884; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, omissis, Rv. 266939; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, omissis, Rv. 252178).

Si è efficacemente affermato che «il controllo di logicità deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate» (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, omissis, Rv. 255460; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 27866

del 17/06/2019, omissis, Rv. 276976 nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 18445 del 05/04/2024, omissis, non mass.).

Nel caso di specie, in tema di gravità indiziaria, il ricorrente ha offerto una lettura alternativa degli elementi probatori, proponendo non consentite doglianze di natura fattuale, a fronte di una ricostruzione precisa della vicenda contenuta nell’ordinanza impugnata, effettuata sulla base delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e delle risultanze delle intercettazioni.

Sotto questo ultimo profilo, va ribadito che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.

In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, omissis, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, omissis, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, omissis, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, omissis, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, omissis, Rv. 258164).

È consolidato anche il principio secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, con l’avvertenza che, ove tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno essere gravi, precisi e concordanti, come disposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278611; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, omissis, Rv. 278314; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, omissis, Rv. 265747).

Il medesimo principio è stato affermato anche in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, omissis, Rv. 276831, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, omissis, Rv. 268414; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, omissis, Rv. 268042; Sez. 1, n. 40006 del 11/04/2013, omissis, Rv. 257398).

Avuto specifico riguardo al reato ex art. 416-bis cod. pen., questa Corte ha affermato che «i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei all’associazione mafiosa, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati […] sono utilizzabili in modo diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di attendibilità della fonte primaria» (così Sez. 2, n. 10366 del 06/03/2020, omissis, Rv. 278590; da ultimo, in senso esattamente conforme, v. Sez. 2, n. 48448 del 31/10/2023, omissis, Rv. 285587).

Con una valutazione incensurabile il Tribunale del riesame ha osservato che il contenuto delle numerose conversazioni intercettate è coerente con quanto riferito dai collaboratori in ordine non solo all’affiliazione di T. al clan M., ma anche al suo ruolo verticistico e di raccordo con le altre  organizzazioni criminali del cartello della zona a … (clan L. e clan C., confederati nella “…”), confermato dalla sentenza di condanna per reati di usura ed estorsione aggravata ex art. 416 bis-1., divenuta irrevocabile il 4 ottobre 2022, richiamata nella ordinanza impugnata.

Con fondamento il Procuratore generale ha evidenziato che si è in presenza di “una situazione fluida, che spiega il perché pur svolgendo prevalentemente attività per il clan M., l’imputato abbia ricoperto posti di vertice negli altri due clan, stante la sua particolare capacità di mediazione”.

Le deduzioni difensive, in conclusione, risultano generiche, in fatto e comunque inidonee a scalfire la tenuta dell’ordinanza impugnata e a supportare validamente la sussistenza della violazione “ex art. 606 lett. b) C.p.p.” denunciata con il ricorso.

4. Al rigetto della impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

Leggi anche

Contenuti Correlati