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Procedura per valutare la capacità del condannato di mantenere contatti con associazione criminale ai fini della proroga del regime detentivo differenziato: in cosa consiste?

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Cass. pen., sez. I, 16/02/2024 (ud. 16/02/2024, dep. 30/05/2024), n. 21598 (Pres. Centofanti, Rel. Monaco)

Indice

La questione giuridica

La principale questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava come si deve procedere l’accertamento inerente alla sussistenza della attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale in materia di proroga del regime carcerario differenziato.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava un reclamo proposto da un detenuto avverso un decreto ministeriale che aveva disposto a suo carico la proroga del regime carcerario differenziato.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva per Cassazione, deducendo inosservanza ed erronea applicazione di legge, in relazione all’art. 41-bis, comma 2-bis legge n. 354 del 1975, oltre che in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per mancanza di specificità, coerenza, completezza e logicità della motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto fondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento inerente alla sussistenza della attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri di cui al comma 2-bis della medesima disposizione citata (che indica come si debba fare riferimento al fatto che non sia venuta meno “la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale”), si debba concretizzare in un equilibrato apprezzamento di merito, attinente a tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, che possano essere evocativi della permanenza della medesima condizioni di pericolo, già in origine poste a fondamento del suddetto regime (in questi termini, Sez. 1 n. 2660 del 9.10.2018).

Difatti, dal momento che, alla luce di tale approdo ermeneutico, la motivazione del provvedimento di proroga deve, da un lato, essere raffrontata con le originarie statuizioni, dall’altro, prendere in considerazione elementi eventualmente sopravvenuti, di significazione idonea a determinare mutamenti nelle varie condizioni di fatto e, correlativamente, in grado di influire sul profilo della necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario, ciò che viene in rilievo, ai fini del giudizio de quo, non è la condizione di pericolosità in quanto tale, del detenuto in espiazione che si trovi assoggettato al regime differenziato (pericolosità che, in tal modo, risulterebbe impropriamente desunta dalla gravità dei reati commessi e dalla considerazione della loro complessiva antigiuridicità), quanto piuttosto la capacità di tale soggetto di mantenere legami, proseguire nei contatti, o impartire ordini verso l’esterno, in tal modo finendo per costituire un concreto pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica.

Di conseguenza, solo laddove sia individuabile una forma di pericolosità di tal genere, per gli Ermellini, sarà legittima l’applicazione del modello detentivo differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., dato che altre tipologie di pericolosità sociale possono invece essere adeguatamente affrontate attraverso l’adozione di altri istituti di carattere penitenziario.

Del resto, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, applicare o prorogare il regime differenziato in esame in modo avulso, rispetto a tale finalismo, concretizzerebbe una modalità trattamentale vanamente afflittiva e punitiva, che finirebbe per porsi in una situazione di conflitto con i parametri costituzionali richiamati in apertura.

Ebbene, per i giudici di legittimità ordinaria, coglieva nel segno la doglianza difensiva, incentrata sul fatto che l’avversato provvedimento di proroga – pure al cospetto delle allegazioni difensive, volte a dimostrare l’assenza di coinvolgimento del reclamante, in fatti di reato riguardanti associazioni di stampo mafioso – non affrontava, a loro avviso, in modo espresso ed esaustivo, il tema dei potenziali destinatari delle ipotetiche comunicazioni verso l’esterno dell’attuale ricorrente.

L’ordinanza impugnata, pertanto, era annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

I risvolti applicativi

Per prorogare il regime detentivo differenziato dell’art. 41-bis legge 354/1975, è necessario valutare se il detenuto mantiene la capacità di contatti con l’associazione criminale, secondo i criteri del comma 2-bis di questo stesso articolo, fermo restando che questa valutazione richiede un apprezzamento equilibrato di tutti gli elementi, ivi compresi quelli già presenti nel momento in cui siffatto regime detentivo è stato applicato per la prima volta.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 21610 Anno 2024

Presidente: ROCCHI GIACOMO

Relatore: LANNA ANGELO VALERIO

Data Udienza: 28/03/2024

Data Deposito: 30/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A. N. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 19/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO VALERIO LANNA;

letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale PAOLA MASTROBERARDINO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da N. A. [condannato attualmente ristretto presso la Casa circondariale di L’Aquila, assoggettato al regime differenziato ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 a seguito dell’esecuzione, il 04/07/2017, di decreto di fermo per numerosi delitti aggravati dalla finalità mafiosa; trattasi di soggetto nei cui confronti la Corte di appello di Reggio Calabria – in riforma della

sentenza di primo grado – ha rideterminato in anni diciotto di reclusione la pena, inflitta per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, nonché concorso in tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis. 1 cod. pen. e altro (sentenza n. 32569/2023, divenuta irrevocabile il 16/6/2023)] avverso il decreto ministeriale del 31/01/2023, che aveva disposto – per il periodo di anni due – la proroga degli effetti del precedente decreto del 04/02/2019, che aveva a sua volta applicato ad A. il regime detentivo differenziato ex art. 41-bis Ord. pen.

2. Ricorre per cassazione N. A., a mezzo degli avv.ti G. l. e B. L., deducendo un motivo unico, che viene di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione di legge, in relazione all’art. 41-bis, comma 2-bis legge n. 354 del 1975, come sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. d) legge 15 luglio 2009, oltre che in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per mancanza di specificità, coerenza, completezza e logicità della motivazione. Il provvedimento non si confronta con la motivazione della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 16/06/2022 e con le successive note informative, da cui può evincersi come A. non sia mai stato a capo dell’omonima cosca operante in M. e che, anzi, l’esistenza stessa di tale cosca non sia mai stata accertata. Il decreto non era in grado di dimostrare a sufficienza la attuale capacità del condannato di mantenere i rapporti con l’associazione mafiosa. La difesa aveva evidenziato, inoltre, come dalla lettura della sentenza della Corte di appello potesse desumersi il fatto che – nel corso della faida – gli A. avessero preso le distanze dalla cosca C..

3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. La critica difensiva si incentra direttamente sul profilo della valutazione giudiziale, ritenendola carente a causa del mancato esame di alcuni elementi, asseritamente significativi dell’avvenuto distacco del condannato dalla cosca di riferimento.

Al contrario, il Tribunale di sorveglianza ha rilevato, in primo luogo, che la difesa ha già proposto, ricorrendo alle medesime argomentazioni del reclamo di cui all’odierna procedura, un precedente reclamo avverso analoga ordinanza attinente al regime detentivo speciale e che il successivo ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile; inoltre, ha evidenziato come – anche dopo la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria – che, nel riformare la sentenza di primo grado, ha escluso che l’A. rivestisse un ruolo di vertice nella cosca omonima, mai per vero costituita, – è rimasto accertato che egli fosse affiliato alla cosca di ‘ndrangheta dei C..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Giova premettere come, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento inerente alla sussistenza della attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri di cui al comma 2-bis della medesima disposizione citata (che indica come si debba fare riferimento al fatto che non sia venuta meno “la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale”), si debba concretizzare in un equilibrato apprezzamento di merito, attinente a tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, che possano essere evocativi della permanenza della medesima condizioni di pericolo, già in origine poste a fondamento del suddetto regime (in questi termini, Sez. 1 n. 2660 del 9.10.2018, dep. 2019, omissis, rv 274912). La motivazione del provvedimento di proroga deve, pertanto, da un lato essere raffrontata con le originarie statuizioni, dall’altro prendere in considerazione elementi eventualmente sopravvenuti, di significazione idonea a determinare mutamenti nelle varie condizioni di fatto e, correlativamente, in grado di influire sul profilo della necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario.

2.1. Deve ancora osservarsi – in punto di diritto – come la finalità esclusiva, sottesa alla sottoposizione del condannato al regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., sia costituita dalla necessità di inibire forme di comunicazione (interna ed esterna al carcere) tra il soggetto detenuto e il contesto criminale di provenienza. Ciò in ragione della concreta possibilità di trasmissione di ordini o direttive che alimentino, all’esterno del carcere, la sopravvivenza di organizzazioni criminali o siano di viatico alla consumazione di altri reati. Si tratta dunque di una finalità di matrice preventiva, che fonda la sua cittadinanza costituzionale sull’apprezzamento – da parte del giudice – della esistenza, nel caso concreto, di simile necessità, in ragione di un giudizio sulla attitudine del detenuto a realizzare simili comportamenti, nonché sulla perdurante esistenza di un consorzio criminale di riferimento.

2.2. Nella ricostruzione sistematica delle finalità del provvedimento in argomento, a mezzo del quale viene limitata la fruizione di alcuni istituti che sono propri dell’ordinamento penitenziario, è la stessa Corte Costituzionale ad aver più volte affermato come il ruolo affidato alla particolare disciplina derogatoria delineata dall’art. 41-bis Ord. pen. sia quello di impedire – in riferimento alla accentuata pericolosità sociale dei soggetti destinatari – le possibili forme relazionali con il tessuto criminale di provenienza, in un contesto di tutela anticipata dell’ordine e della sicurezza pubblica (Corte cost., sentenza n. 376 del 1997; Corte cost. sentenza n. 143 del 2013; Corte cost. n. 186 del 2018; Corte cost., ordinanza n. 417 del 2004, Corte cost., ordinanza n. 192 del 1998).

Ciò che l’applicazione del regime differenziato si propone di inibire, in sostanza, è che gli esponenti dell’organizzazione, i quali si trovino in condizioni detentive, siano ancora in grado – traendo giovamento dalle regole che disciplinano il regime detentivo ordinario – di proseguire nell’impartire direttive aisodali in stato di libertà e, in tal modo, di mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose svolte dall’organizzazione. Trattasi, peraltro, di finalità di per sé ritenuta – dalla stessa Corte EDU – non in contrasto con i diritti fondamentali della persona, allorquando emerga la necessità di adottare particolari forme di inibizione, dei contatti tra il soggetto detenuto e il contesto criminale di provenienza.

3. Tanto premesso, ai fini dell’inquadramento giuridico della dedotta questione, va rilevato come – sul piano strettamente formale – non sussista dubbio alcuno, circa il fatto che la condanna per i reati sopra detti, dei quali A. è stato ritenuto colpevole, consenta, in rapporto alla disciplina di legge, l’applicazione del regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen.

3.1. Il quadro ermeneutico sopra tratteggiato, oltre che l’espresso dettato normativo (nella parte in cui esso valorizza la necessità di impedire i collegamenti con l’associazione criminale), impongono però un costante dialogo con il dato costituito dalla persistenza delle finalità legittime, poste a fondamento del trattamento differenziato, in chiave funzionale. Ciò che in concreto viene in rilievo, in relazione a tale specifica finalità, non è però la condizione di pericolosità in quanto tale, del detenuto in espiazione che si trovi assoggettato al regime differenziato (pericolosità che, in tal modo, risulterebbe impropriamente desunta dalla gravità dei reati commessi e dalla considerazione della loro complessiva antigiuridicità), quanto piuttosto la capacità di tale soggetto di mantenere legami, proseguire nei contatti, o impartire ordini verso l’esterno, in tal modo finendo per costituire un concreto pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica. Solo laddove sia individuabile una forma di pericolosità di tal genere, quindi, sarà legittima l’applicazione del modello detentivo differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., dato che altre tipologie di pericolosità sociale possono invece essere adeguatamente affrontate attraverso l’adozione di altri istituti di carattere penitenziario. Applicare o prorogare il regime differenziato in esame in modo avulso, rispetto a tale finalismo, concretizzerebbe una modalità trattamentale vanamente afflittiva e punitiva, che finirebbe per porsi in una situazione di conflitto con i parametri costituzionali richiamati in apertura.

3.2 Per quanto attiene alla situazione del ricorrente, pertanto, coglie nel segno la doglianza difensiva, incentrata sul fatto che l’avversato provvedimento di proroga – pure al cospetto delle allegazioni difensive, volte a dimostrare l’assenza di coinvolgimento del reclamante, in fatti di reato riguardanti associazioni di stampo mafioso – non affronta, in modo espresso ed esaustivo, il tema dei potenziali destinatari delle ipotetiche comunicazioni verso l’esterno dell’attuale ricorrente.

Non vi è confronto sostanziale – ravvisandosi, anzi, una elusione delle regole normative che disciplinano la materia – con i profili specifici evidenziati dalla difesa, ossia:

– il fatto che A. non sia dotato di alcun reale carisma malavitoso proprio, per aver egli ricoperto esclusivamente il ruolo di partecipe del sodalizio mafioso – e non un capo dello stesso – per cui non ha mai mostrato una attitudine autonoma all’aggregazione di un gruppo criminale (anzi, la ipotizzata esistenza di un suo clan A. indipendente è stata anche esclusa, in sede di cognizione). A., infatti, operava in un settore limitato ed è stato intraneo al clan solo in relazione alla sua attività di imprenditore edile;

– vero poi che il clan C. risulta ancora operativo, essendo inserito all’interno della cd. Locale di ndrangheta di L.; nel provvedimento avversato, però, non viene in alcun modo chiarito da quali elementi sia possibile trarre il convincimento della ripresa di contatti con il mondo della criminalità organizzata, da parte di A..

3.3. La decisione impugnata, dunque, non chiarisce in che termini – a distanza temporale considerevole dai fatti di reato – un determinato detenuto possa riallacciare contatti con soggetti affiliati alla cosca di riferimento, la cui perdurante operatività finisce – in tale quadro – con essere un elemento non influente.

3.4. Si tratta di punti decisivi nella economia della decisione, il cui esame va rimesso ad una nuova valutazione del giudice del merito, previo annullamento del provvedimento impugnato. È fondata, allora, la doglianza formulata dalla difesa, che ha lamentato la scarsa aderenza dell’avversata ordinanza ai parametri normativi sopra delineati.

3.5. Si tratta di punti decisivi nella economia della decisione, il cui esame va rimesso ad una nuova valutazione del giudice del merito, previo annullamento del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

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