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Le condizioni per proporre reclamo giurisdizionale secondo l’art. 35-bis O.P.

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Cass. pen., sez. I, 01/03/2024 (ud. 01/03/2024, dep. 28/03/2024), n. 13039 (Pres. Aprile, Rel. Russo)

(Riferimento normativo: L., 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-bis)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava quando è possibile proporre reclamo giurisdizionale a norma dell’art. 35-bis o.p.[1].

Ma, prima di vedere come la Suprema Corte ha affrontato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Magistrato di sorveglianza di Novara dichiarava non luogo a provvedere sul reciamo presentato da un detenuto.

In particolare, in questo reclamo si contestava come il personale di polizia penitenziaria si fosse introdotto nella cella del detenuto in assenza di questi ed avesse controllato il numero dei compact disk detenuti senza la presenza dello stesso.

Orbene, il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato non luogo a provvedere sul reclamo in quanto aveva rilevato, da informazioni assunte presso l’istituto penitenziario, che era stato controllato soltanto il numero dei compact disk detenuti, e non il contenuto degli stessi.

Ciò posto, avverso il predetto provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il detenuto, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, deduceva come il magistrato avesse deciso senza fissare udienza in violazione di legge, e, nel merito della decisione, come il controllo ad opera della polizia penitenziaria, del numero dei compact disk posseduti dal detenuto, dovesse avvenire sempre alla presenza dello stesso.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il ricorso suesposto era reputato inammissibile.

In particolare, gli Ermellini – dopo avere fatto presente che il sistema degli artt. 35 e 35-bis ord. pen. prevede due diverse tipologie di accesso del detenuto al magistrato di sorveglianza, che attivano due procedure differenti: 1) il reclamo generico del detenuto al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35, comma 1, n. 5, ord. pen., che attiva una procedura che si esaurisce con la risposta del magistrato al reclamo; 2) il reclamo giurisdizionale del detenuto ai sensi dell’art. 35-bis ord. pen., che si conclude con un provvedimento del magistrato che è ulteriormente impugnabile con i rimedi indicati nello stesso art. 35-bis – osservavano come la circostanza, che il magistrato avesse respinto, o dichiarato inammissibile, o, come nel caso in esame, disposto il non luogo a provvedere, su un reclamo del detenuto, non fosse sufficiente a rendere impugnabile tale provvedimento perché, per considerarlo impugnabile, si sarebbe dovuto preliminarmente qualificare il reclamo a monte come giurisdizionale ai sensi dell’art. 35-bis.

Orbene, per la Corte di legittimità, per qualificare un atto come reclamo giurisdizionale, occorre che in esso sia spesa una situazione di diritto soggettivo del detenuto, e che vi sia correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’amministrazione penitenziaria censurata nel reclamo (Sez. 1, Sentenza n.28258 del 09/04/2021: in tema di ordinamento penitenziario, a fronte del reclamo proposto dal detenuto, il magistrato di sorveglianza è chiamato a procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato, verificando, preliminarmente, se sia configurabile, in relazione alla pretesa dedotta, una situazione di diritto soggettivo e se vi sia una correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’Amministrazione penitenziaria; in caso di riscontro negativo, il reclamo deve essere qualificato come generico ex art. 35, comma 1, n. 5, ord. pen., trattandosi di materia che non rientra nelle previsioni di legge in tema di tutela giurisdizionale, e il relativo provvedimento deve essere ritenuto non impugnabile; conforme Sez. 1, Sentenza n. 54117 del 14/06/2017).

Oltre a ciò, i giudici di piazza Cavour notavano altresì come la identificazione della esistenza o meno in un reclamo del detenuto di una posizione, definibile quale «diritto soggettivo» suscettibile di essere leso da comportamenti dell’amministrazione penitenziaria, sia affidata alla elaborazione giurisprudenziale che, dal canto suo, ha collocato in tale ambito esclusivamente gli interessi che ineriscono a beni essenziali della persona e che rappresentano la proiezione di diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti nella carta fondamentale o in trattati sovranazionali recepiti dallo Stato (cfr., da ultimo, Sez. 1, Sentenza n. 15153 del 23/11/2022).

Per di più, proseguiva il Supremo Consesso nel suo ragionamento decisorio, una volta individuato il «diritto soggettivo» suscettibile di essere leso da comportamenti dell’amministrazione penitenziaria, per essere qualificato come giurisdizionale ai sensi dell’art. 35-bis ord. pen., il reclamo deve riguardare comportamenti dell’amministrazione che incidono sui diritti soggettivi in quanto tali, e non soltanto sulle modalità di esercizio degli stessi, che restano affidate alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne (Sez. 1, Sentenza n. 37298 del 24/06/2021; Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014; Sez. 7, n. 7805 del 16/07/2013; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013).

Ebbene, alla stregua di tale quadro ermeneutico, per la Cassazione, il ricorso non si era preoccupato di spiegare a monte quale sarebbe stato il diritto soggettivo leso dal controllo della cella del detenuto per verificare il numero dei compact disk detenuti e, dunque, per questa ragione (unitamente ad altre), era dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

I risvolti applicativi

Per qualificare un atto come reclamo giurisdizionale, occorre che in esso sia spesa una situazione di diritto soggettivo del detenuto, e che vi sia correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’amministrazione penitenziaria censurata nel reclamo, dove, per “diritto soggettivo”, si deve fare riferimento esclusivamente agli interessi che ineriscono a beni essenziali della persona e che rappresentano la proiezione di diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti nella carta fondamentale o in trattati sovranazionali recepiti dallo Stato.

Oltre a ciò, è altresì necessario, una volta individuato siffatto «diritto soggettivo», che il reclamo, per potere essere qualificato come giurisdizionale ai sensi dell’art. 35-bis ord. pen., riguardi pure comportamenti dell’amministrazione che incidono sui diritti soggettivi in quanto tali, e non soltanto sulle modalità di esercizio degli stessi, che restano affidate alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne.

Solo in presenza di siffatte condizioni, è dunque possibile proporre un reclamo di questo tipo.

[1]Ai sensi del quale: “1. Il procedimento relativo al reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale. Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso, oltre che al soggetto che ha proposto reclamo, anche all’amministrazione interessata, a cui è comunicato contestualmente il reclamo, e che può comparire con un proprio dipendente ovvero trasmettere osservazioni e richieste. 2. Il reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a) è proposto nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. 3. In caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a), dispone l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera b), accertate la sussistenza e l’attualità del pregiudizio, ordina all’amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice. 4. Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa. 4-bis. La decisione del tribunale di sorveglianza è ricorribile per cassazione per violazione di legge nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa. 5. In caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, l’interessato o il suo difensore munito di procura speciale possono richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale. 6. Il magistrato di sorveglianza, se accoglie la richiesta: a) ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito; d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta. 7. Il magistrato di sorveglianza conosce di tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. 8. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 13039 Anno 2024

Presidente: APRILE STEFANO

Relatore: RUSSO CARMINE

Data Udienza: 01/03/2024

Data Deposito: 28/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A. A., nato a … il …

avverso l’ordinanza del 25/08/2023 del MAG. SORVEGLIANZA DI NOVARA

udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO;

lette le conclusioni del PG, Antonietta Picardi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 25 agosto 2023 il Magistrato di sorveglianza di Novara ha dichiarato non luogo a provvedere sul reciamo presentato dal detenuto A. A..

Nel reclamo si contestava che il 7 marzo 2022 personale di polizia penitenziaria si fosse introdotto nella cella del detenuto in assenza di questi ed avesse controllato il numero dei compact disk detenuti senza la presenza dello stesso.

Il magistrato di sorveglianza ha dichiarato non luogo a provvedere sul reclamo, in quanto ha rilevato, da informazioni assunte presso l’istituto penitenziario, che era stato controllato soltanto il numero dei compact disk detenuti, e non il contenuto degli stessi.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il detenuto, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce che il magistrato aveva deciso senza fissare udienza in violazione di legge, e, nel merito della decisione, che il controllo ad opera della polizia penitenziaria, del numero dei compact disk posseduti dal detenuto deve avvenire sempre alla presenza dello stesso.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, dr. Antonietta Picardi, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

Il reclamo del detenuto al magistrato, circa l’esser stato controllato in sua assenza il numero dei compact disk in disponibilità, non attiene a diritti soggettivi, e contro la decisione del magistrato non è ammesso alcun tipo di impugnazione.

Il sistema degli artt. 35 e 35-bis ord. pen. prevede, infatti, due diverse tipologie di accesso del detenuto al magistrato di sorveglianza, che attivano due procedure differenti: 1) il reclamo generico del detenuto al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35, comma 1, n. 5, ord. pen., che attiva una procedura che si esaurisce con la risposta del magistrato al reclamo; 2) il reclamo giurisdizionale del detenuto ai sensi dell’art. 35-bis ord. pen., che si conclude con un provvedimento del magistrato che è ulteriormente impugnabile con i rimedi indicati nello stesso art. 35-bis.

La circostanza che il magistrato abbia respinto, o dichiarato inammissibile, o, come nel caso in esame, disposto il non luogo a provvedere, su un reclamo del detenuto, non è sufficiente, pertanto, a rendere impugnabile tale provvedimento, perché, per considerarlo impugnabile, occorre preliminarmente qualificare il reclamo a monte come giurisdizionale ai sensi dell’art. 35-bis.

E, per qualificarlo come reclamo giurisdizionale, occorre che in esso sia spesa una situazione di diritto soggettivo del detenuto, e che vi sia correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’amministrazione penitenziaria censurata nel reclamo (Sez. 1, Sentenza n.28258 del 09/04/2021, omissis, Rv. 281998: in tema di ordinamento penitenziario, a fronte del reclamo proposto dal detenuto, il magistrato di sorveglianza è chiamato a procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato, verificando, preliminarmente, se sia configurabile, in relazione alla pretesa dedotta, una situazione di diritto soggettivo e se vi sia una correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’Amministrazione penitenziaria; in caso di riscontro negativo, il reclamo deve essere qualificato come generico ex art. 35, comma 1, n. 5, ord. pen., trattandosi di materia che non rientra nelle previsioni di legge in tema di tutela giurisdizionale, e il relativo provvedimento deve essere ritenuto non impugnabile; conforme Sez. 1, Sentenza n. 54117 del 14/06/2017, omissis, Rv. 271905).

La identificazione della esistenza o meno in un reclamo del detenuto di una posizione definibile quale «diritto soggettivo» suscettibile di essere leso da comportamenti dell’amministrazione penitenziaria è affidata alla elaborazione giurisprudenziale, che ha collocato in tale ambito esclusivamente gli interessi che ineriscono a beni essenziali della persona e che rappresentano la proiezione di diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti nella carta fondamentale o in trattati sovranazionali recepiti dallo Stato (cfr., da ultimo, Sez. 1, Sentenza n. 15153 del 23/11/2022, dep. 2023, A., Rv. 284433).

Per di più, una volta individuato il «diritto soggettivo» suscettibile di essere leso da comportamenti dell’amministrazione penitenziaria, per essere qualificato come giurisdizionale ai sensi dell’art. 35-bis ord. pen., il reclamo deve riguardare comportamenti dell’amministrazione che incidono sui diritti soggettivi in quanto tali, e non soltanto sulle modalità di esercizio degli stessi, che restano affidate alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne (Sez. 1, Sentenza n. 37298 del 24/06/2021, omissis, Rv. 282010; Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014, dep. 2015, A., Rv. 261549; Sez. 7, n. 7805 del 16/07/2013, dep. 2014, A., Rv. 260117; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013, dep. 2014, A., Rv. 258398).

Nel caso in esame, il ricorso non si preoccupa di spiegare a monte quale sarebbe il diritto soggettivo leso dal controllo della cella del detenuto per verificare il numero dei compact disk detenuti.

Per di più, atteso che la censura riguarda non il controllo di polizia in quanto tale, ma soltanto l’assenza del detenuto a tale controllo, esso, anche secondo la stessa prospettazione del ricorrente, attiene alle modalità dell’esercizio del potere di polizia, e non all’esistenza in sé dello stesso.

In un precedente in termini la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il controllo del numero dei libri in disponibilità del detenuto rientri tra i poteri dell’amministrazione penitenziaria a fronte dei quali non vengono in rilievo diritti soggettivi dello stesso (Sez. 7, Ordinanza n. 39607 del 03/04/2014, A., Rv. 261474: è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso una ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza che abbia ad oggetto un reclamo generico in ordine a provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria che non incidono su diritti soggettivi del detenuto. Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse configurarsi lesiva di un diritto la pretesa del detenuto di non subire perquisizioni alla ricerca di libri in numero non consentito).

Il collegio ritiene di dare continuità a tale orientamento giurisprudenziale, e conclude nel senso che, a fronte del controllo di polizia volto a verificare il numero dei compact disk in possesso del detenuto, non vengano in rilievo diritti soggettivi dello stesso. Ne consegue l’assenza di ulteriore giustiziabilità della pretesa attivata con il reclamo.

Il ricorso è, pertanto, inammissibile.

2. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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