Cerca
Close this search box.

La mancanza di lavoro impedisce l’affidamento in prova ai servizi sociali?

Facebook
LinkedIn

Cass. pen., sez. I, 8/02/2024 (ud. 8/02/2024, dep. 30/05/2024), n. 21593 (Pres. Santalucia, Rel. Curami)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il mancato svolgimento di un’attività lavorativa possa impedire l’applicazione dell’affidamento in prova ai servizi sociali.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di sorveglianza di Firenze dichiarava la cessazione di una misura dell’affidamento in prova al servizio sociale in precedenza concessa, applicando in sua vece la misura della detenzione domiciliare.

In particolare, il Tribunale evidenziava che l’affidato, per motivi a lui non addebitabili, aveva perduto il lavoro, e, successivamente al trasferimento in Sicilia, nell’impossibilità di reperire altra attività lavorativa, svolgeva attività di volontariato per 6 ore settimanali.

Ebbene, per il giudice di merito, la misura dell’affidamento in prova non poteva proseguire «per la mancanza di un lavoro o di una consistente attività di volontariato», applicando, al suo posto, la misura della detenzione domiciliare.

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa ricorreva per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione.

In particolare, tra le argomentazioni ivi addotte, il difensore denotava come il percorso logico argomentativo svolto dal Tribunale di sorveglianza fosse stato erroneo in quanto la propria decisione era fondata esclusivamente sul fatto che l’affidato, non per sua colpa, aveva perso il lavoro mentre si ricordava come la Suprema Corte avesse da tempo affermato il principio per cui non costituisce requisito necessario per l’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale lo svolgimento di attività lavorativa.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva l’argomentazione suesposta fondata alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo cui lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisce da solo, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agi altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito – inclusi i risultati del trattamento individualizzato – nell’ottica di un conclusivo giudizio prognostico favorevole al reinserimento del condannato nella società (Sez. 1, n. 26789 del 18/6/2009, Sez. 1, n. 5076 del 21/09/1999, Sez. 1, n. 1092 del 1/3/1991).

Ebbene, per gli Ermellini, dal momento che il Tribunale di sorveglianza aveva dichiarato cessato l’affidamento in prova solo sulla base della mancanza di attività lavorativa, cessata per motivi oggettivi, senza valutare l’esistenza della possibilità di espletamento, in alternativa, di una attività di volontariato che non era solo generica o ipotetica, ma documentata adeguatamente, l’accertata carenza della motivazione giustificava l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Firenze, che avrebbe dovuto nuovamente deliberare sulla richiesta della misura alternativa adeguandosi ai principi sopra richiamati.

I risvolti applicativi

La presenza di un’attività lavorativa, sebbene possa favorire il reinserimento sociale e sia considerata nel giudizio sull’affidamento in prova, non è un prerequisito indispensabile per l’applicabilità di tale misura posto che il giudice considera vari elementi, inclusi i risultati del trattamento individualizzato, per valutare il potenziale reinserimento del condannato nella società.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 21593 Anno 2024

Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE

Relatore: CURAMI MICAELA SERENA

Data Udienza: 08/02/2024

Data Deposito: 30/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C. A. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE

udita la relazione svolta dal Consigliere MICAELA SERENA CURAMI;

lette le conclusioni del PG, DOMENICO …, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Firenze dichiarava la cessazione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale in precedenza concesso ad A. C., e gli applicava la misura della detenzione domiciliare.

Il Tribunale evidenziava che il C., per motivi a lui non addebitabili, aveva perduto il lavoro, e, successivamente al trasferimento in Sicilia (ove il condannato vive con la madre), nell’impossibilità di reperire altra attività lavorativa, svolgeva attività di volontariato per 6 ore settimanali; osservava quindi come la misura dell’affidamento in prova non potesse proseguire «per la mancanza di un lavoro o di una consistente attività di volontariato», ed applicava, in sua vece, la misura della detenzione domiciliare.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso A. C., per il tramite del difensore, che, con un unico, articolato, motivo, lamenta violazione di legge e vizio della motivazione.

Nell’atto impugnatorio si contesta il percorso logico argomentativo svolto dal Tribunale di sorveglianza, il quale ha fondato la propria decisione esclusivamente sul fatto che il C., non per sua colpa, avesse perso il lavoro; ricordava tuttavia il ricorrente come la Suprema Corte avesse da tempo affermato il principio per cui non costituisce requisito necessario per l’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale lo svolgimento di attività lavorativa. Si censurava poi che il Tribunale non avesse, erroneamente, tenuto in debito conto l’attività di volontariato svolta dal C., nella misura massima stabilita dalla legge e nella disponibilità prestata dall’ente. Si evidenziava, infine, come la detenzione domiciliare ostacolasse il reinserimento sociale del condannato, eliminando in radice la possibilità per il medesimo di riuscire a reperire un’attività lavorativa.

3. Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, dott. Domenico A.R. Seccia, ha chiesto l’annullamento con rinvio.

4. Con successiva memoria, la Difesa ha depositato il provvedimento del _ Tribunale di sorveglianza di Firenze che ha accolto l’istanza di sospensione dell’ordinanza impugnata, in pendenza di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 667 comma 7 cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

2. Appare utile premettere che, attraverso la misura alternativa al carcere dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo

reinserimento sociale all’esito della misura alternativa (Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 377).

In relazione alla peculiare finalità dell’affidamento, la giurisprudenza di questa Corte è uniformemente orientata nel senso che, ai fini della concessione della misura, non possono, di per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati

dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n„ 771 del 6/2/1996, omissis, Rv. 203988 – 01; Sez. 1, 19/11/1995, omissis, Rv. 203154 – 01).

In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai precedenti (Sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999, omissis, Rv. 213062 – 01), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997, omissis, Rv. 207998 – 01), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta successivamente dal condannato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, omissis, Rv. 264602 — 01; Sez.

1, n. 31809 del 9/7/2009, omissis, Rv. 244322 – 01); si è anche precisato che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985 – 01).

3. Dai principi poc’anzi enunciati deve inferirsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta inadeguata e non rispondente alle linee della legge penitenziaria, in quanto nel giudizio sintetico finale ha avuto un ruolo assorbente e preponderante la perdita del lavoro da patte del C., pacificamente per cause non allo stesso riferibili. Il Tribunale ha altresì omesso di prendere in considerazione lo svolgimento da parte del C. di attività di volontariato.

La ratio decidendi del provvedimento in esame risulta in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, che ha reiteratamente stabilito come lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisce da solo, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agi altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito – inclusi i risultati del trattamento individualizzato – nell’ottica di un conclusivo giudizio prognostico favorevole al reinserimento del condannato nella società (Sez. 1, n. 26789 del 18/6/2009, omissis, Rv. 244735 Sez. 1, n. 5076 del 21/09/1999 omissis Rv. 214424 – 01 Sez. 1, n. 1092 del 1/3/1991, omissis, Rv. 186899).

Il Tribunale di sorveglianza ha dichiarato cessato l’affidamento in prova solo sulla base della mancanza di attività lavorativa, cessata per motivi oggettivi, senza valutare l’esistenza della possibilità di espletamento, in alternativa, di una attività di volontariato che non era solo generica o ipotetica, ma documentata adeguatamente.

4. L’accertata carenza della motivazione giustifica l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Firenze, che dovrà nuovamente deliberare sulla richiesta della misura alternativa adeguandosi ai principi sopra richiamati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Leggi anche

Contenuti Correlati