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In che termini, la condotta successiva al reato deve essere valutata ai fini del buon esito positivo della prova in tema di affidamento in prova al servizio sociale?

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Cass. pen., sez. I, 20/12/2023 (ud. 20/12/2023, dep. 28/03/2024), n. 13036 (Pres. Casa, Rel. Cappuccio)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava in che termini la condotta, successiva alla commissione del reato, rilevi per stabilire se l’esito della prova, una volta che un soggetto sia stato ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, abbia avuto un esito positivo.

Ma, prima di vedere come la Suprema Corte ha affrontato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di sorveglianza di Catania respingeva una richiesta di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale, basandosi sulla propensione criminale evidenziata dalle precedenti condanne riportate dall’istante e sulla natura della misura alternativa alla detenzione, sottolineandosi a tal proposito come la condotta durante la detenzione e la partecipazione al trattamento rieducativo non fossero sufficienti a dimostrare l’affidabilità del richiedente, che doveva essere valutata nel contesto di un percorso di recupero, continuativo nel tempo, e conforme ai requisiti legali, richiesti per la concessione dei permessi premio.

Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione la difesa che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge, addebitandosi al Tribunale di sorveglianza di avere fatto malgoverno dell’istituto, specificamente all’atto di sottovalutare i dati tratti dall’osservazione scientifica della sua personalità ed assegnare, per contro, valenza inizialmente ostativa all’accoglimento dell’istanza sui suoi trascorsi delinquenziali; 2) vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza stimato la concretezza e l’attualità del pericolo di recidiva in ragione di condotte risalenti ad epoca ormai remota e senza considerare la successiva evoluzione, in senso positivo, della sua personalità, comprovata dalla piena adesione alla proposta trattamentale.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il ricorso suesposto era reputato inammissibile.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatto esito decisorio, evidenziando prima di tutto che l’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.

Tal che se ne faceva conseguire come il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fondi sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale dato che è consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui: «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condannato» (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condannato, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

Per la Corte di legittimità, quindi, il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995), fermo restando che, se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condannato, se lo consentono il limite di pena — diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47- ter legge 26 luglio 1975, n. 354 — ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009) e il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata.

Rientra dunque nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative — alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010) — e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto ma le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.

Orbene, alla stregua di codesto quadro ermeneutico, i giudici di piazza Cavour consideravano l’ordinanza impugnata immune da censure di legittimità di sorta, con particolar riguardo a quanto dedotto nel ricorso proposto nel caso di specie.

I risvolti applicativi

In materia di affidamento in prova al servizio sociale, il giudice deve considerare non solo la natura e gravità dei reati commessi, ma anche la condotta del condannato susseguente al reato.

Ad ogni modo, è essenziale che il processo di emenda sia avviato in modo significativo, anche se non necessariamente è richiesto un completo ravvedimento, ai fini di un esito positivo della prova.

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