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Requisiti per l’applicazione della misura di prevenzione personale applicata dal Questore basata sulla pericolosità generica

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Cass. pen., sez. V, 16/01/2024 (ud. 16/01/2024, dep. 04/04/2024), n. 13773 (Pres. Guardiano, Rel. Coco)

[Riferimento normativo: D.lgs, 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, co. 1, lett. b)]

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 1, co. 1, lett. b), d.lgs., 6/09/2011, n. 159 dispone che i “provvedimenti previsti dal presente capo (ossia quelli riguardanti le misure di prevenzione personali applicata dal Questore ndr.) si applicano a: (…) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”, una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava che caratteristiche devono avere le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Napoli confermava l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, per la durata di anni due, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, disposta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di una persona ritenuta un soggetto dedito alla commissione di reati contro il patrimonio che viveva, almeno in parte, dei proventi delle sue attività delittuose.

Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore, nell’interesse del prevenuto, ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva la violazione dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui, da un canto, non sarebbe emersa prova dell’esistenza di profitti generati dall’attività delittuosa (illogicamente dedotti dalla mera commissione di reati contro il patrimonio), dall’altro, non si sarebbe tenuto conto delle plurime censure offerte dalla difesa quanto alla ritenuta appartenenza del ricorrente alla categoria di cui all’art. 1, lett. b), ipotizzata nel provvedimento impugnato.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità reputava il motivo suesposto manifestatamente infondato.

Difatti, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, comma1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione: deve trattarsi di delitti commessi abitualmente (ossia in un significativo arco temporale), che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020), ritenevano come la Corte territoriale, in applicazione di tali principi, avesse dato conto, sotto il primo profilo, dell’esistenza di una pluralità di procedimenti penali per reati contro il patrimonio commessi lungo un periodo temporale di quattro anni; sotto il secondo profilo, dell’assenza, durante tale periodo, di redditi leciti.

Ebbene, per la Corte di legittimità, a fronte di ciò, il carattere lucrogenetico dei reati posti in essere dal ricorrente era implicitamente deducibile (in assenza di contrarie deduzioni) dalla oggettiva conformazione dei reati contestati; l’attualità della ritenuta pericolosità era desumibile dalla protrazione di tali condotte sino al 2022.

L’assenza di redditi leciti, in tale periodo, dunque, sempre per i giudici di piazza Cavour, confermava, non solo la finalità economica dell’attività delittuosa, ma anche la sua fruttuosità, facendosene conseguire da ciò la manifesta infondatezza di codesta censura.

I risvolti applicativi

Le “categorie di delitto”, che legittimano l’applicazione della misura basata sulla pericolosità generica, come previsto dall’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011, devono soddisfare tre requisiti chiave, vale a dire i seguenti: 1) l’essere i delitti de quibus commessi abitualmente, ossia ripetutamente in un periodo significativo; 2) l’avere effettivamente generato profitti per il soggetto interessato; 3) il costituire, in una certa epoca, l’unica o almeno una fonte rilevante di reddito per la persona coinvolta.

Ciò posto, il giudice di merito deve motivare adeguatamente la sua decisione, fornendo dettagli specifici riguardanti questi elementi di fatto.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 13801 Anno 2024

Presidente: GUARDIANO ALFREDO

Relatore: CUOCO MICHELE

Data Udienza: 16/01/2024

Data Deposito: 04/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M. G. nato a … il …;

avverso il decreto del 12 settembre 2023 della Corte d’appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Oggetto dell’impugnazione è il decreto con il quale la Corte di appello di Napoli ha confermato l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, per la durata di anni due, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, disposta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di G. M., in quanto ritenuto soggetto dedito alla commissione di reati contro il patrimonio, che vive, almeno in parte, dei proventi delle sue attività delittuose.

2. Il ricorso, proposto nell’interesse del prevenuto, si articola in due motivi d’impugnazione.

2.1. Il primo deduce la violazione dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui, da un canto, non sarebbe emersa prova dell’esistenza di profitti generati dall’attività delittuosa (illogicamente dedotti dalla mera commissione di reati contro il patrimonio), dall’altro, non si sarebbe tenuto conto delle plurime censure offerte dalla difesa quanto alla ritenuta appartenenza del M. alla categoria di cui all’art. 1, lett. b), ipotizzata nel provvedimento impugnato.

Il secondo motivo censura, invece, la sola applicazione dell’obbligo di soggiorno, sotto il profilo della congruità dell’imposizione rispetto alle finalità preventive svolte dalla misura e dell’effettivo adempimento del relativo onere motivazionale, in quanto, deduce la difesa, i reati ascritti al proposto, commessi tramite inserzioni pubblicitarie e contatti telefonici, sarebbero tutti privi di un effettivo collegamento con il territorio, per cui sarebbe stato onere della Corte territoriale dare conto di tale dato e della connessa coerenza dell’imposizione dell’obbligo di soggiorno con le finalità proprie dell’istituto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che al M. è stata applicata la misura di prevenzione in quanto ritenuto persona che vive abitualmente con i proventi di attività delittuose (art. 1, comma 1, lett. b, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159).

Le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, comma1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione: deve trattarsi di delitti commessi abitualmente (ossia in un significativo arco temporale), che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280145).

Ebbene, la Corte territoriale, in applicazione di tali principi ha dato conto, sotto il primo profilo, dell’esistenza di una pluralità di procedimenti penali (alcuni già definiti con sentenza irrevocabile, altri ancora pendenti) per reati contro il patrimonio commessi lungo un periodo temporale che va dal 2018 al 2022 (in particolare, tre condanne irrevocabili per reati di truffa commessi tra il maggio 2018 ed il settembre 2019, nonché ripetute denunce per analoghi reati ancora pendenti presso diversi Uffici giudiziari); sotto il secondo profilo, dell’assenza, durante tale periodo, di redditi leciti

Ebbene, il carattere lucrogenetico dei reati posti in essere dal ricorrente è implicitamente deducibile (in assenza di contrarie deduzioni) dalla oggettiva conformazione dei reati contestati; l’attualità della ritenuta pericolosità è desumibile dalla protrazione di tali condotte sino al 2022 (e la Corte ha dato conto anche dell’irrilevanza della recente assunzione del ricorrente, intervenuta solo nell’agosto del 2023); l’assenza di redditi leciti, in tale periodo, conferma non solo la finalità economica dell’attività delittuosa, ma anche la sua fruttuosità. Da ciò la manifesta infondatezza della prima censura sollevata.

Quanto secondo profilo (afferente alle plurime censure, in ipotesi non valutate dalla Corte territoriale), la doglianza è evidentemente generica, poiché difetta della specifica illustrazione delle circostanze, dedotte con l’appello e non valutate dal giudice di secondo grado, e della esplicita indicazione della relativa decisività.

2. Il secondo motivo è inammissibile.

Deve essere premesso che, ai sensi dell’art. 10 d. Igs. n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione personali è ammesso solo per violazione di legge.

Le censure sollevate, invece, pur formalmente prospettando una violazione di legge, deducono, in realtà, asseriti difetti di motivazione afferenti alla sussistenza dei presupposti per l’imposizione dell’obbligo di soggiorno. Obbligo che la Corte territoriale ha ritenuto di confermare alla luce della ritenuta idoneità a contenere lapericolosità sociale del proposto, favorendo i controlli di polizia. Ebbene, il ricorrente deduce l’insussistenza di un legame territoriale delle condotte poste in essere idoneo a giustificare la funzione propria della misura. Ma tanto inerisce ad un profilo valutativo, che, per come si è detto, è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità.

4. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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