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Cosa bisogna verificare nei casi in cui la confisca risulti disposta sulla base di un “doppio titolo”

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Cass. pen., sez. V, 29/09/2023 (ud. 29/09/2023, dep. 10/01/2024), n. 2137 (Pres. Guardiano, Rel. Bifulco)

(Riferimenti normativi: D.lgs, 6 settembre 2011, n. 159, artt. 1 e 24)

Indice

La questione giuridica

Premesso ciò, la questione giuridica, su cui era chiamata a decidere la Cassazione nella pronuncia qui in commento, afferiva all’applicabilità di siffatta misura di prevenzione in un particolare caso.

Orbene, prima di vedere in cosa è consistita tale ipotesi, esaminiamo sinteticamente l’iter giudiziario che ha indotto la Cassazione ad emettere la decisione in esame.

A seguito di un annullamento disposto dalla Cassazione con rinvio, il Tribunale di Roma aveva rigettato una richiesta di revocazione proposta in relazione ad un decreto emesso sempre dal Tribunale capitolino, riformato con decreto emesso dalla Corte di Appello della medesima città nel 2005: provvedimenti in forza dei quali risultava disposta la confisca di prevenzione di beni che erano stati ritenuti riconducibili ad una persona deceduta, dante causa delle richiedenti, raggiunto da giudizio di pericolosità sociale.

In particolare, la richiesta di revocazione era fondata sulla dedotta illegittimità della confisca scaturente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che consentivano la confisca di beni appartenenti a persone dedite ad attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 – mantenendo ferma solo la disposizione che consente la confisca di beni appartenenti a persone che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.

Ciò posto,il Tribunale romano aveva ritenuto come i provvedimenti ablativi sopra citati avessero disposto la confisca in relazione alla seconda ipotesi, ravvisando a carico del soggetto, cui i beni confiscati erano ritenuti riconducibili, la qualità di persona che viveva abitualmente con i proventi di attività delittuose.

Ebbene,la I sezione della Cassazione, come accennato prima, aveva annullato l’ordinanza appena citata, rilevando: a) che il provvedimento impugnato non recava motivazione convincente in ordine alle ragioni in base alle quali – alla luce delle statuizioni e delle osservazioni contenute non solo nel decreto del Tribunale di, ma anche nel decreto della Corte di Appello di Roma del 2005 — potesse concludersi che la pericolosità generica fosse stata affermata ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b ,d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ossia ritenendo a suo carico che egli vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose, e non ai sensi del solo art. 1, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs., ossia ritenendo che egli fosse persona dedita ad attività delittuose; b) che a tale mancanza di idonea spiegazione non potevano sopperire, perché logicamente insufficienti, le considerazioni richiamate nell’ordinanza impugnata, secondo le quali nei precedenti provvedimenti era stata ritenuta la provenienza illecita dei guadagni investiti dal deceduto nell’acquisto dei beni poi confiscati; c) che, infatti, a tal riguardo, doveva essere valorizzata la differenza tra le valutazioni concernenti la sfera oggettiva e riguardanti il rapporto fra determinati beni e la provenienza del denaro necessario per acquistarli, e le valutazioni attinenti alla sfera soggettiva, circa la qualificazione di una persona come abitualmente vivente con i proventi di attività delittuose.

Ciò posto, il Tribunale della Capitale aveva respinto la richiesta di revoca della confisca, affermando che, avuto riguardo alle circostanze, agli elementi e alle considerazioni rinvenibili nei decreti ablativi, doveva ritenersi che, al di là del dato testuale e letterale delle singole espressioni utilizzate, tanto uno degli istanti, quanto il padre, fossero stati ritenuti pericolosi, in quanto soggetti che vivevano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Nell’interesse dei prevenuti, era stato quindi proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale si denunciava violazione di legge per avere il Tribunale trascurato di considerare come sia la proposta del P.M., che i provvedimenti ablativi, avessero fatto riferimento, in termini non equivoci, alla pericolosità di cui all’art. 1, n. 1, I. 1423 del 1956, ritenendo che il deceduto fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi.

La questione giuridica, da doversi risolvere in sede di legittimità ordinaria, pertanto, afferiva alla sussistenza delle condizioni applicative, richieste per potere applicare la confisca, in relazione a tale peculiare ipotesi.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel reputare le censure prospettate dalle ricorrenti inammissibili perché, a suo avviso, si traducevano in critiche all’apparato motivazionale del provvedimento impugnato che, oltre a non essere meramente apparente, non presentava alcun profilo di illogicità, riteneva come la reiezione della richiesta avanzata dai ricorrenti fosse coerente con le conclusioni della Cassazione (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021) secondo le quali, nei casi in cui la confisca risulti disposta sulla base di un “doppio titolo”, ossia sulla base della attribuzione al proposto sia della categoria soggettiva di cui alla lett. a), del comma 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011, sia in quella di cui alla lett. b), sia necessario verificare se il “titolo” di cui alla lett. b) cit. sia, rispetto allo specifico provvedimento di confisca che viene in rilievo, autonomo e autosufficiente, ossia svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale da Corte cost., sent. n. 24 del 2019, e idoneo – nella prospettazione del giudice di merito – a offrire integrale fondamento al provvedimento ablatorio, in tutte le componenti patrimoniali che ha preso ad oggetto, solo qualora tale verifica dia esito positivo, la confisca non può essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimità.

Il ricorso proposto, pertanto, era dichiarato inammissibile e i ricorrenti erano condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

I risvolti applicativi

Alla luce di tale decisione, tra l’altro in perfetta consonanza con quanto statuito dalle Sezioni unite nella decisione n. 3513 del 16/12/2021, è chiaro cosa bisogna verificare nei casi in cui la confisca risulti disposta sulla base di un “doppio titolo” al fine di verificare se il provvedimento, con cui sia disposta tale misura di prevenzione patrimoniale, possa considerarsi legittima o meno.

Difatti, fermo restando che per la confisca disposta sulla base di un “doppio titolo” deve intendersi quella confisca comminata sulla base della attribuzione al proposto sia della categoria soggettiva di cui alla lett. a), del comma 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011 (ossia in riferimento a coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi), sia in quella di cui alla lett. b) (vale a dire a proposito di coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose), per appurarne la legittimità occorre appurare una duplice condizione, ossia che il “titolo” di cui alla lett. b) cit. sia: a) rispetto allo specifico provvedimento di confisca che viene in rilievo, autonomo e autosufficiente, ossia svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale da Corte cost., sent. n. 24 del 2019[2]; b) idoneo – nella prospettazione del giudice di merito – a offrire integrale fondamento al provvedimento ablatorio, in tutte le componenti patrimoniali che ha preso ad oggetto.

Una volta fatto ciò, solo se tale verifica dia esito positivo, la confisca non può essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimità, il che rende evidente, argomentando a contrario, che laddove tale verifica non abbia sortito siffatto effetto – vale a dire che, da un lato, il vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, dipende dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale da Corte cost., sent. n. 24 del 2019 (vale a dire sì riconduce automaticamente siffatta pericolosità alla sola circostanza che il soggetto prevenuto, sulla base di elementi di fatto, debba ritenersi abitualmente dediti a traffici delittuosi), dall’altro, che siffatta circostanza non sia grado di giustificare l’adozione di un provvedimento ablatorio in tutte le componenti patrimoniali a cui esso fa riferimento (e, quindi, non è sufficiente che siano legittime solo alcune parti di esse) – la confisca in questione potrà, solo a queste condizioni, essere revocata.

Pur nella complessità della materia, ove si voglia chiedere la revoca della confisca in tale caso, bisognerà quindi attentamente considerare quanto postulato in codesto provvedimento.

[1]Ai sensi del quale: “1.  Il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. In ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale. Se il tribunale non dispone la confisca, può applicare anche d’ufficio le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti. 1-bis.  Il tribunale, quando dispone la confisca di partecipazioni sociali totalitarie, ordina la confisca anche dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile. Nel decreto di confisca avente ad oggetto partecipazioni sociali il tribunale indica in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende la confisca. 2.  Il provvedimento di sequestro perde efficacia se il tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario. Nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per sei mesi. Ai fini del computo dei termini suddetti, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili; il termine resta sospeso per un tempo non superiore a novanta giorni ove sia necessario procedere all’espletamento di accertamenti peritali sui beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente. Il termine resta altresì sospeso per il tempo necessario per la decisione definitiva sull’istanza di ricusazione presentata dal difensore e per il tempo decorrente dalla morte del proposto, intervenuta durante il procedimento, fino all’identificazione e alla citazione dei soggetti previsti dall’articolo 18, comma 2, nonché durante la pendenza dei termini previsti dai commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies dell’articolo 7. 2-bis.  Con il provvedimento di revoca o di annullamento definitivi del decreto di confisca è ordinata la cancellazione di tutte le trascrizioni e le annotazioni. 3.  Il sequestro e la confisca possono essere adottati, su richiesta dei soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione di una misura di prevenzione personale. Sulla richiesta provvede lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione personale, con le forme previste per il relativo procedimento e rispettando le disposizioni del presente titolo”.

[2]Come è noto, in questa decisione, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli articoli 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, comma 1, lettera a).

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 2137 Anno 2024

Presidente: GUARDIANO ALFREDO

Relatore: BIFULCO DANIELA

Data Udienza: 29/09/2023

Data Deposito: 18/01/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

S. P. nato a … il …

C. M. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 23/01/2023 del TRIBUNALE di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Luigi Orsi, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 31900 del 25/05/2022, la I sezione di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 3 maggio 2021, con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato la richiesta di revocazione proposta, nell’interesse di P. S. e di M. C., in relazione al decreto emesso dal Tribunale di Roma il 19 giugno 2000, riformato con decreto emesso dalla Corte di appello di Roma il 6 luglio 2005: provvedimenti in forza dei quali risultava disposta la confisca di prevenzione di beni che erano stati ritenuti riconducibili al deceduto S. S., dante causa delle richiedenti, raggiunto da giudizio di pericolosità sociale.

1.1. La richiesta di revocazione era fondata sulla dedotta illegittimità della confisca scaturente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che consentivano la confisca di beni appartenenti a persone dedite ad attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 – mantenendo ferma solo la disposizione che consente la confisca di beni appartenenti a persone che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.

1.2. Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 3 maggio 2021, aveva ritenuto che i provvedimenti ablativi sopra citati avessero disposto la confisca in relazione alla seconda ipotesi, ravvisando a carico del soggetto, cui i beni confiscati erano ritenuti riconducibili, la qualità di persona che viveva abitualmente con i proventi di attività delittuose.

1.3. La I sezione di questa Corte, come accennato, ha annullato l’ordinanza appena citata, rilevando: a) che il provvedimento impugnato non recava motivazione convincente in ordine alle ragioni in base alle quali – alla luce delle statuizioni e delle osservazioni contenute non solo nel decreto del Tribunale di Roma del 19 giugno 2020, ma anche nel decreto della Corte di appello di Roma del 6 luglio 2005 — potesse concludersi che la pericolosità generica di S. S. fosse stata affermata ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b ,d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ossia ritenendo a suo carico che egli vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose, e non ai sensi del solo art. 1, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs., ossia ritenendo che egli fosse persona dedita ad attività delittuose; b) che a tale mancanza di idonea spiegazione non potevano sopperire, perché logicamente insufficienti, le considerazioni richiamate nell’ordinanza impugnata, secondo le quali nei precedenti provvedimenti era stata ritenuta la provenienza illecita dei guadagni investiti da S. S. nell’acquisto dei beni poi confiscati; c) che, infatti, a tal riguardo, doveva essere valorizzata la differenza tra le valutazioni concernenti la sfera oggettiva e riguardanti il rapporto fra determinati beni e la provenienza del denaro necessario per acquistarli, e le valutazioni attinenti alla sfera soggettiva, circa la qualificazione di una persona come abitualmente vivente con i proventi di attività delittuose.

1.4. Con ordinanza del 23 – 30 gennaio 2023 il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di revoca della confisca, affermando che, avuto riguardo alle circostanze, agli elementi e alle considerazioni rinvenibili nei decreti ablativi, doveva ritenersi che, al di là del dato testuale e letterale delle singole espressioni utilizzate, tanto S. S. quanto il padre, S., fossero stati ritenuti pericolosi, in quanto soggetti che vivevano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

2. Nell’interesse di P. S. e di M. C. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con il quale si denuncia violazione di legge, per avere il Tribunale trascurato di considerare come sia la proposta del P.M. del

18 maggio 2008 sia i provvedimenti ablativi avessero fatto riferimento, in termini non equivoci, alla pericolosità di cui all’art. 1, n. 1, I. 1423 del 1956, ritenendo che S. S. fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi.

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Luigi Orsi, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nonché memoria di replica nell’interesse delle ricorrenti con la quale si insiste per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Le censure prospettate dalle ricorrenti sono inammissibili, perché sviluppano critiche all’apparato motivazionale del provvedimento impugnato che, oltre a non essere meramente apparente, non presenta alcun profilo di illogicità.

La sentenza di annullamento della I sezione di questa Corte aveva demandato al giudice del rinvio la valutazione in ordine al se l’originario provvedimento ablativo fosse stato adottato nei confronti del proposto in ragione di una pericolosità generica fondata sul presupposto che egli vivesse abitualmente con i proventi dì attività delittuose.

Ora, l’ordinanza impugnata, all’esito di una compiuta disamina del titolo genetico, quale risultante dalla motivazione del decreto del Tribunale e della Corte d’appello, ha razionalmente sottolineato come il proposto fosse dedito in modo abituale a specifiche attività delittuose (furti, rapine, traffico di stupefacenti e scommesse clandestine) produttrici di profitti che, per un consistente arco temporale, avevano rappresentato l’unico reddito del primo, non essendo emerse altre lecite fonti idonee a garantire mezzi di sostentamento.

D’altra parte, l’originaria richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, all’esito di una disamina delle risultanze acquisite, aveva appunto concluso nel senso che doveva ritenersi che i vari soggetti ivi indicati «vivano dei proventi delle attività illegali di cui sopra», con la conseguenza che, coerentemente (ossia nel rispetto del principio di correlazione tra proposta e decisione), il Tribunale, nel decreto del 19 giugno 2000, ha richiamato anche siffatto presupposto nella sua motivazione.

Anche nel decreto della Corte d’appello (che, per quanto qui rileva, ossia per quanto concerne i presupposti della misura della quale si tratta, ha confermato la decisione del primo giudice), si rinviene, nonostante una valorizzazione anche del n. 1 dell’art. 1 della I. n. 1423 del 1956, applicabile all’epoca, un richiamo al n. 2.

Ma, indipendentemente da ciò, proprio la necessaria integrazione dei due apparati motivazionali convince della logicità, come detto, dell’interpretazione fornita dal provvedimento impugnato, quanto al presupposto dell’adozione della misura ablativa.

Non condivisibilmente le ricorrenti insistono nel valorizzare solo alcuni rilievi argomentativi svolti dal decreto della Corte territoriale che, come detto, fa prevalente riferimento al n. 1 dell’art. 1 della I. n. 1423 del 1956. Invero, non essendo dato cogliere alcuna riforma sul punto da parte del giudice di secondo grado, che ha confermato, in parte qua, il decreto del Tribunale, deve ritenersi che le puntualizzazioni che la Corte territoriale dedica all’indicato parametro normativo non abbiano carattere esclusivo e non valgano a superare le puntuali considerazioni del primo giudice. Del resto, la stessa sentenza di annullamento impone anche l’esame di quest’ultima decisione, a riprova della necessità di un’analisi congiunta dei due provvedimenti.

Pertanto, il rigetto della richiesta è coerente con le conclusioni questa Corte (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282474 – 01), che ha rilevato come, nei casi in cui la confisca risulti disposta sulla base di un “doppio titolo”, ossia sulla base della attribuzione al proposto sia della categoria soggettiva di cui alla lett. a), del comma 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011, sia in quella di

cui alla lett. b), sia necessario verificare se il “titolo” di cui alla lett. b) cit. sia, rispetto allo specifico provvedimento di confisca che viene in rilievo, autonomo e autosufficiente, ossia svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale da Corte cost., sent. n. 24 del 2019, e idoneo – nella prospettazione del giudice di merito – a offrire integrale fondamento al provvedimento ablatorio, in tutte le componenti patrimoniali che ha preso ad oggetto. Qualora tale verifica dia esito positivo, la confisca non può essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimità.

2. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 29/09/2023

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