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Quando il falso nel delitto di cui all’art. 474 cod. pen. può essere considerato grossolano?

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Cass. pen., sez. V, 03/04/2024 (ud. 03/04/2024, dep. 18/07/2024), n. 29275 (Pres. Sabeone, Rel. Brancaccio)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando il falso nel delitto di cui all’art. 474 cod. pen. può essere considerato grossolano.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello de L’Aquila, in parziale riforma di una decisione di primo grado, rideterminava la pena inflitta nei confronti dell’imputato in sei mesi di reclusione ed euro 500 di multa per il reato di cui all’art. 474 cod. pen..

Ciò posto, avverso questa pronuncia proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva vizio di motivazione della sentenza impugnata.

In particolare, ad avviso del legale, i prodotti, oggetto della condotta contestata, erano talmente grossolani nella loro capacità imitativa, dal prezzo irrisorio e privi di adeguato confezionamento, da non determinare in concreto la possibilità di indurre in errore il consumatore medio.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto fondato, disponendo al contempo che il giudice del rinvio si sarebbe dovuto attenere al seguente principio di diritto: in tema di commercio di prodotti con segni falsi, perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano e, dunque, il reato impossibile, è necessario avere riguardo alla attitudine ingannatoria del marchio in sé e non alle modalità di vendita e alle altre circostanze esterne, che attengono, invece, alla tutela del consumatore (cfr., per l’affermazione del principio, Sez. 5, n. 30539 del 13/5/2021).

I risvolti applicativi

Perché il falso nel commercio di prodotti con segni falsi sia considerato innocuo e grossolano, e quindi configurabile come reato impossibile, è necessario valutare l’attitudine ingannatoria del marchio stesso, non le modalità di vendita o altre circostanze esterne relative alla tutela del consumatore.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29275 Anno 2024

Presidente: SABEONE GERARDO

Relatore: BRANCACCIO MATILDE

Data Udienza: 03/04/2024

Data Deposito: 18/07/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

K. R. nato il …

avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di R. K. in sei mesi di reclusione ed euro 500 di multa per il reato di cui all’art. 474 cod. pen.; l’imputato è stato condannato per aver messo in circolazione una serie di speaker portatili e monili con marchi contraffatti (…).

2. Il ricorso dell’imputato, proposto tramite il difensore di fiducia, si compone di due differenti motivi.

2.1. Il primo argomento di censura denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, che non ha trattato il tema della consapevolezza della falsità dei prodotti posti in vendita dal ricorrente e del dolo del reato, inteso come coscienza di mettere in vendita prodotti contraffatti. Inoltre, i prodotti erano talmente grossolani nella loro capacità imitativa, dal prezzo irrisorio e privi di adeguato confezionamento, da non determinare in concreto la possibilità di indurre in errore il consumatore medio.

2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. e della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto.

3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che si indicheranno di seguito.

2. Il primo motivo di censura è fondato, per l’omessa risposta della Corte d’Appello ai motivi, specifici, riferiti alla grossolanità della contraffazione, qualora sia tale da far ritenere l’inoffensività della condotta, ed alla sussistenza del dolo del reato.

L’imputato è stato trovato in possesso della merce contraffatta — risultata tale a seguito di controlli tecnici successivi al sequestro e dei quali si dà atto in sentenza – nel corso di controlli di polizia finalizzati proprio all’emersione di tali reati.

Al momento del controllo e del successivo sequestro egli ha fornito una sua spiegazione, che coincide con il motivo di ricorso dedicato al dolo e con le analoghe ragioni dedotte nell’atto di appello: il ricorrente sostiene di non aver percepito che si trattasse di merce  contraffatta, con falsificazione di marchi noti, avendola acquistata regolarmente da un negozio dalla gestione cinese, sito in Piazza Vittorio a Roma, che aveva anche preso impegno di inviare le fatture relative, impegno poi non mantenuto. Rispetto a tali argomenti, puntualmente dedotti nell’atto di impugnazione in appello, la

sentenza impugnata non spende alcun passaggio motivazionale, limitandosi sinteticamente a dare atto delle circostanze del controllo di polizia e del sequestro, nonché dell’avvenuto accertamento tecnico sulla contraffazione dei prodotti e, da queste due condizioni di fatto, direttamente passando a dichiarare assertivamente la configurabilità del reato e la colpevolezza del ricorrente.

Senza ribattere in alcun modo alle osservazioni dell’atto di appello, sia pur solo per ritenerle non credibili o comunque smentite dalle circostanze di fatto riscontrate quali elementi della condotta concreta.

Tale incedere argomentativo non è idoneo a sostenere l’affermazione di responsabilità.

La Corte d’Appello non ha esaminato in alcun modo i motivi dell’impugnazione, specifici e perfettamente sovrapponibili alle ragioni di ricorso.

Non è sufficiente aver dato atto dell’assenza di “documentazione giustificativa del possesso della merce”, poiché si sarebbe dovuto quanto meno sottolineare come il ricorrente non avesse, eventualmente, saputo fornire indicazioni specifiche sull’acquisto, indicatore che avrebbe potuto incidere sulla sua buona fede nel ritenere che si trattasse di merce la cui vendita era comunque consentita.

In proposito, è bene evidenziare come la Corte di merito, posta dinanzi a motivi puntuali di doglianza dei quali essa stessa dà atto nella sentenza impugnata, aveva il dovere di fornire una risposta al ricorrente, non potendo peraltro desumersi neppure in via implicita che le doglianze siano state disattese, perché escluse da ragioni argomentative incompatibili con esse.

E difatti, se è vero che non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, omissis, Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/5/2013, omissis, Rv. 256340), tuttavia rimane pur sempre assorbente la considerazione che, qualora le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento

dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività, sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/20:13, dep. 2014, omissis, Rv. 257967; Sez. 6, n. 35918 del 17/6/2009, omissis, Rv. 244763; punta ancora l’attenzione sulla decisività delle doglianze specificamente proposte cui sia corrisposta una motivazione incompleta, Sez. 2, n. 36119 del 4/7/2017, omissis, Rv. 270801).

In altre parole, è solo la compiutezza argomentativa e l’organizzazione logica dei diversi assetti probatori dai quali si è desunta la responsabilità dell’imputato che può sopperire alla mancata, espressa analisi dei singoli e puntuali motivi d’appello, facendoli ritenere superati dalla complessiva struttura motivazionale della decisione.

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato difetta di approfondimento logico, tale da far sì che possa desumersi da esso, unitariamente considerato, un rigetto implicito delle deduzioni difensive non espressamente trattate; anzi, si risolve in una apodittica conferma, nella parte di interesse, della decisione di primo grado.

Si impone, quindi, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, affinchè il giudice d’appello possa rimediare ai deficit motivazionali indicati.

2.1. Giova ancora aggiungere, per completare le indicazioni ermeneutiche da valutare nel giudizio rescissorio, che, il giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto, nel rivedere il giudizio di responsabilità nei confronti del ricorrente: in tema di commercio di prodotti con segni falsi, perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano e, dunque, il reato impossibile, è necessario avere riguardo alla attitudine ingannatoria del marchio in sé e non alle modalità di vendita e alle altre circostanze esterne, che attengono, invece, alla tutela del consumatore (cfr., per l’affermazione del principio, Sez. 5, n. 30539 del 13/5/2021, omissis, Rv. 281702).

In qualche modo la sentenza appena citata riprende un orientamento che era stato apparentemente accantonato nella giurisprudenza più recente ma che conserva la sua validità, soprattutto in un’ottica costituzionalmente orientata a dare la maggior espansione possibile al principio di offensività qualche fondamento immanente del diritto penale.

Già la pronuncia Sez. 2, n. 16821 del 3/4/2008, omissis, Rv. 239783, infatti, aveva rilevato che, in tema di commercio di prodotti con segni falsi, perchè il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perchè il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche del prodotto e del marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno: tale giudizio va formulato con criteri che consentano una valutazione “ex ante” della riconoscibilità “ictu oculi” della grossolanità della falsificazione.

Si tratta di affermazioni che comunque si combinano con la prospettiva di indicare il bene giuridico della fede pubblica in senso oggettivo quale oggetto di tutela della norma incriminatrice, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio (il quale hai interesse a mantenere la certezza sulla funzione del segno distintivo come garanzia di particolare qualità e originalità della propria produzione: cfr. la citata pronuncia n. 16821 del 03/04/2008 e Sez. 2, n. 45545 del 15/11/2005, omissis, Rv. 232832).

Ed in questa prospettiva, si può individuare la categoria del reato “di falso impossibile”, desumendola dai principi generali in materia dettati dall’art. 49, secondo comma, cod. pen.

Seguendo tale disposizione, ricorre un’ipotesi di reato impossibile ogni qual volta non si possa ritrovare la stessa tipicità normativa nella condotta dell’agente ed il reato non può verificarsi per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto, vale a dire quando manca qualsiasi forma di offesa. La valutazione sulla inoffensività così individuata va condotta “ex ante” in concreto – come si è già evidenziato – basandosi sulla condotta originaria dell’agente, indipendentemente dai risultati ottenuti e da ogni fattore estraneo che in concreto abbia impedito la lesione dell’interesse giuridico protetto (tra le ultime Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278085).

Applicando tali criteri ermeneutici ai reati di falso, l’inidoneità della azione viene ricondotta correttamente dalla sentenza N. S. – e nuovamente, rispetto alla cesura interpretativa rappresentata da alcune sentenze dalle quali sembra che si sia voluto escludere, a priori, l’operatività del “falso grossolano” da alcune categorie dei reati di falso ex art. 474 cod. pen. (tra le altre Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, omissis, Rv. 275814; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 258722; Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, omissis, Rv. 252836; Sez. 5, n. 21049 del 26/04/2012, omissis, Rv. 252974) – al cosiddetto “falso grossolano”, cioè al falso che, per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno.

Il reato di falso “impossibile” si ritaglia sul concetto di grossolanità del falso che attiene alla materialità della condotta tout court, non già alle modalità della stessa.

Nel delitto di cui all’art. 474 cod. pen., perché il falso possa essere considerato grossolano, e dunque, perché il reato possa essere ritenuto impossibile, è necessario che le caratteristiche intrinseche del marchio siano tali da escludere immediatamente – secondo una valutazione ex ante e in concreto – la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno.

E ciò al netto di qualsiasi altra divagazione su fattori esterni alla “forma” oggettiva ed esteriore del marchio.

2.2. Quanto all’aspetto dell’annullamento che coinvolge il deficit motivazionale riscontrato anche sulla risposta ai motivi d’appello riferiti all’elemento psicologico del reato, si ricorda che, nel delitto di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, previsto dall’art. 474 cod. pen., l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, atteso che la destinazione del prodotto alla vendita rappresenta la finalità che caratterizza la condotta di detenzione e non soltanto la connotazione oggettiva della stessa, rispondendo all’esigenza di selezionare i fatti ritenuti effettivamente offensivi del bene giuridico a  fronte di una significativa anticipazione della sua tutela (Sez. 5, n. 18641 del 17/2/2017, omissis, Rv. 269921).

3. Deve essere disposto, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Perugia.

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