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Quali sono le condizioni per concorrere nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di terzi estranei al fallimento?

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Cass. pen., sez. V, 15/02/2024 (ud. 15/02/2024, dep. 14/03/2024), n. 10873 (Pres. De Marzo, Rel. Scordamaglia)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava quali sono le condizioni per concorrere nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di terzi estranei al fallimento.

Ma, prima di vedere come la Suprema Corte ha affrontato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Torino confermava una condanna inflitta all’imputato, dal Tribunale di quella stessa città, limitatamente ad un delitto afferente la commissione di condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva vizio di motivazione apparente o, comunque, illogica o contraddittoria, in riferimento al ruolo di concorrente estraneo spiegato dal ricorrente nella realizzazione della condotta distrattiva in danno di una Srl. poiché, ad avviso della difesa, non poteva dirsi illustrato, alla stregua dei criteri interpretativi elaborati dal diritto vivente, quale fosse stato il concreto contributo, eziologicamente efficiente, offerto da costui alla spoliazione del patrimonio della cedente, in tal senso non potendosi dire appagante il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla conoscenza da parte dell’imputato della esposizione debitoria della società cedente o al suo essere gestore della società beneficiaria.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva la doglianza summenzionata infondata poiché, a suo avviso, la motivazione rassegnata nella sentenza impugnata quanto al ruolo di concorrente extraneus spiegato dal ricorrente aveva fatto un buon governo di quell’orientamento nomofilattico secondo cui è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011; Sez. 5, n. 2501 del 01/12/1998).

I risvolti applicativi

Il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta può essere configurato anche da parte di una persona estranea al fallimento se la sua condotta, compiuta insieme al fallito, è stata determinante nell’evento, sempreché il terzo abbia agito consapevolmente e volontariamente per aiutare l’imprenditore insolvente a eludere le norme di tutela dei creditori.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 10873 Anno 2024

Presidente: DE MARZO GIUSEPPE

Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE

Data Udienza: 15/02/2024

Data Deposito: 14/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R. S. nato a … il …

avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo

Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso del ricorso.

udito il difensore

L’avvocato E. N. R. deposita conclusioni scritte alle quali si riporta e nota spese delle quali chiede la liquidazione.

L’avvocato A. P. si riporta alla memoria depositata e alle relative conclusioni scritte; insiste per la conferma integrale della sentenza impugnata anche relativamente alle statuizioni civili.

L’avvocato A. F. si riporta a tutti i motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento degli stessi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna inflitta a R. S. dal Tribunale di quella stessa città con la sentenza in data 11 dicembre 2017, limitatamente al delitto di cui al capo B), con esclusivo riferimento alle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale – relative alla cessione di due rami d’azienda della C. Srl. (già U. S. G.Srl.), dichiarata fallita il 3 gennaio 2012, alla S. C. Srl. (poi U. D.Srl.) – e di bancarotta fraudolenta documentale, commesse nella qualità

di amministratore di fatto della C. Srl. (già U. S. G.Srl.), e al delitto di cui al capo L2), con esclusivo riferimento alle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, commesse nella qualità di concorrente extraneus, ossia quale referente della U. D. Srl., destinataria della cessione del ramo d’azienda della A. U. S. Srl., dichiarata fallita il 9 novembre 2012, con conseguente rideterminazione della pena; ha, inoltre, confermato la condanna dell’imputato al risarcimento del danno nei confronti di Agenzia delle Entrate limitatamente ai fatti di cui ai capi D), E) e F), pur dichiarando estinti per intervenuta prescrizione i corrispondenti reati, riducendone l’importo ad Euro 2.531.044,00 e di Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Attraverso articolata motivazione la Corte territoriale ha dato conto, quanto al delitto di cui al capo B), tramite indicazione di elementi probatori di fonte diversa, di quali fossero gli indici di significatività della funzione gestoria svolta da R. in seno alla C. Srl. (già U. S. G. Srl.), ancorché ne avesse dismesso le quote di partecipazione, e quanto al delitto di cui al capo L2), come plurime fossero le evidenze atte a dimostrare come lo stesso R., nella qualità di amministratore di fatto della cessionaria U. D. Srl. fosse ben consapevole dello stato di decozione in cui versava la cedente A. U. S. Srl., nel momento in cui si era privata del ramo d’azienda.

2. Nell’interesse di R. S. propone ricorso per cassazione il suo difensore e deduce, con quattro motivi (enunciati nei limiti stabiliti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.):

2.1. il vizio di motivazione apparente, quanto alla conferma della condanna agli effetti penali per il delitto di cui al capo B) e della condanna agli effetti civili per i fatti di cui ai capi D), E) ed F), posto che la Corte territoriale aveva disatteso in maniera apodittica tutti i rilievi difensivi atti a dimostrare come la qualità di amministratore di fatto della cedente C. Srl. (già U. S. G. Srl.), ascritta a R., non si potesse fare discendere dagli atti gestori compiuti nell’interesse della cessionaria S. C. Srl. (poi U. D. Srl.), né dalla chiamata in correità effettuata da M., le cui dichiarazioni accusatorie, peraltro già di per sé non univoche quanto al significato delle cd. ‘interlocuzioni settimanali intrattenute con R.’, non

potevano dirsi riscontrate dalle generiche dichiarazioni di V. E. A., amministratore di diritto della C. Srl. (già U. S. G.Srl.), né dall’esistenza di un cd. ‘conto transitorio’ presso la cessionaria U. D. Srl., nel quale venivano annotati gli incassi e i pagamenti di competenza della U. S. G.Srl., gestito da D. S., genero di R., trattandosi di evidenza priva della capacità di spiegare come l’imputato avesse potuto ingerirsi nella tenuta delle scritture contabili della U. S. G. Srl., peraltro in pregiudizio dei creditori di quest’ultima;

2.2. la violazione di legge – da inosservanza dei canoni di valutazione della prova e dei canoni di giudizio nonché degli artt. 110 cod. pen. e 216 L.F. – e il vizio di motivazione apparente o, comunque, illogica o contraddittoria, in riferimento al ruolo di concorrente estraneo spiegato dal ricorrente nella realizzazione della condotta distrattiva in danno della A. S. Srl., non potendosi dire illustrato, alla stregua dei criteri interpretativi elaborati dal diritto vivente, quale fosse stato il concreto contributo, eziologicamente efficiente, offerto da R. alla spoliazione del patrimonio della cedente A. S. Srl., in tal senso non potendosi dire appagante il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla conoscenza da parte dell’imputato della esposizione debitoria della società cedente o al suo essere gestore della società beneficiaria.

2.3. il vizio di motivazione in punto di determinazione della pena irrogata e del diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza, in quanto affidata a formule di stile;

2.4. il vizio di motivazione in punto di conferma delle statuizioni civili in favore dell’Agenzia delle Entrate in relazione ai fatti di cui ai capi D), E) ed F), posti in essere da R. nella qualità di amministratore di fatto della C. Srl. (già U. S. G. Srl.), rilevandosi come la Corte territoriale avesse eluso i rilievi difensivi in ordine alla effettiva riferibilità dei fatti medesimi al ricorrente, finendo per riconoscere una responsabilità di posizione a suo carico. 3. Con memoria depositata in data 30 gennaio 2024 l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse della parte civile costituita, Agenzia delle Entrate, ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità o il rigetto del ricorso e la liquidazione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute per il presente giudizio di legittimità.

4. Il ricorso è stato trattato nelle forme della discussione orale, tempestivamente richiesta dal Procuratore Generale e dal difensore del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.

1. La Corte territoriale ha dato ampio ragguaglio, nella motivazione complessivamente considerata (ed in particolare alle pagine 28 e 29 della sentenza impugnata), di come S. R. ed E. M., tramite un complesso intreccio di partecipazioni societarie, detenessero quote o fossero titolari di azioni in società tutte operanti nel settore della sicurezza (per lo più costituite a far data dagli anni ’90 in varie città dell’Italia centro settentrionale): fra queste la U. S. G. Srl. (poi C. Srl.) e la A. U. S. Srl., dichiarate fallite dal Tribunale di Torino in data 3 gennaio e 9 novembre 2012, dopo che avevano ceduto nel 2009 e nel 2010 alla U. D. Srl., con sede in Roma, pure riconducibile a R. e a M. tramite altre società (cfr. pag. 29 della sentenza impugnata), i rami d’azienda che ne costituivano gli unici beni di rilievo nell’attivo, senza conseguirne il corrispettivo.

Donde, il giudice di appello ha dimostrato come, al di là delle intestazioni formali delle quote (al prestanome di R., V., o al prestanome di M., M.) o della loro formale gestione (in capo a persone operanti 2-2\in seno agli organi amministrativi tli una società ora dell’altra, come nel caso di V., C. ed E.), la U. G. Srl., la A. U. S. Srl. e la U. D. Srl. fossero riferibili ad un comune centro d’intessi, identificabile nel duo R.-M., i quali erano gli ideatori e gli artefici di una unitaria strategia protesa a spostare la ‘parte sana’ di società, poste sotto il loro controllo, ad altre all’uopo costituite, lasciando a quelle così depauperate il debito erariale maturato e destinandole al fallimento.

2. Alla stregua della ricostruzione del fatto così riportata, deve riconoscersi che il primo motivo di ricorso è infondato.

Infatti, la motivazione offerta nella sentenza impugnata in ordine alla significatività degli indici rivelatori della gestione di fatto da parte di R. della U. G. Srl. non è affatto apparente, risultando, invece, sufficientemente esplicativa dell’iter logico seguito dal giudice d’appello per dar conto del convincimento maturato con riguardo al tema dedotto.

Invero, le dichiarazioni dibattimentali del coimputato M., che aveva riferito di avere interloquito con R. per le vicende più rilevanti della U. S. G. Srl. e di avere quantificato assieme a lui, in Euro 200.000,00, il prezzo della cessione alla U. D. Srl.  dei due rami di azienda (avvenuta in data 21 dicembre 2009), come riscontrate da quelle di V. (pag. 38 della sentenza impugnata) – che aveva riferito di essersi intestato per conto di R. il 60% quote della U. S. G. Srl. e di esserne stato procuratore speciale dall’Il dicembre 2008 al 17 dicembre 2010 – e da quelle di S. (pag. 39 della sentenza impugnata) – che avevano dato conto dell’esistenza, in seno alla U. G. Srl., di «un conto transitorio derivante dalle operazioni di cessione di ramo d’azienda» per le quali si era interfacciato con D., genero di R.) -, nonché dal contenuto della missiva con la quale l’amministratore della U. S. G.Srl. nel corso del 2011 aveva chiesto a R., M. e D. di sollevarlo dalle spese affrontate o da affrontare in un procedimento penale nel quale era stato coinvolto per effetto della qualifica formale rivestita in seno alla società, depongono ragionevolmente per il ruolo di amministratore di fatto della U. S. G. Srl. svolto dal ricorrente all’epoca della cessione dei rami di azienda di questa alla U. D Srl.

Al riguardo, ricordato come in tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Rv. 276744; Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004, dep. 16/02/2005, Rv. 231301), deve riconoscersi che l’oggetto delle dichiarazioni del chiamante in correità, M. E., è sufficientemente specifico in riferimento al tema da provare, perché consta di espressioni atte a ben delineare il ruolo avuto da R. nell’operazione di cessione dei due rami d’azienda della U. S. G. Srl. alla U. D. Srl.: ossia, quello di chi discute delle vicende più rilevanti della vita dell’impresa e, avendo

preso la decisione di disfarsi di una parte rilevante dell’attivo, quale un ramo d’azienda, ne decida il prezzo di cessione. Ruolo gestorio della società poi fallita, comprovato, anche quanto a significatività e a continuità, dalle dichiarazioni di V., che aveva ammesso di essere un mero prestanome di R.; da quelle di S., amministratore unico della U. S. G. Srl. dal 13 maggio 2010 al 3 novembre 2010, che aveva dato atto di come l’imputato, tramite il genero D., avesse accesso alle scritture contabili della U. S. G. Srl., e dal contenuto della missiva inviata il 5 dicembre 2011 anche a R. da D. A., anch’egli amministratore della U. S. G. Srl., di manlevarlo dalle spese di difesa affrontate in un giudizio subito nella qualità indicata.

Ne viene che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540), come nel caso di specie.

3. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, strettamente connesso al primo. Fatto integrale rinvio a quanto spiegato nel punto 2 della presente motivazione in ordine al ruolo di amministratore di fatto della U. S. G.Sri. (poi C. Srl.) svolto da R. S., vanno disattesi i rilievi difensivi circa la riferibilità soggettiva al ricorrente dei fatti di cui ai capi D), E) ed F), già integranti reati dichiarati estinti per prescrizione.

4. Parimenti infondato il secondo motivo di ricorso.

La motivazione rassegnata nella sentenza impugnata quanto al ruolo di concorrente extraneus spiegato da R. S. (quale amministratore di fatto della U. D. Srl.) nella realizzazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo L2), commesso con la cessione di un ramo di azienda della A. U. S.Srl. alla U. D. Srl., si basa sulla valorizzazione u-n verso) del contesto operativo generale nel quale l’operazione distrattiva in danno della A. U. S. Srl. era maturata, connotato – come dianzi evidenziato – dalla sostanziale condivisione da parte del R. e del M. delle modalità esecutive del disegno di fondo delle loro iniziative economiche, e, per altro verso, sulla considerazione che il ricorrente, pur senza essere il dominus della cedente, aveva collocato nel ‘cda’ di quest’ultima il suo prestanome, V. E. A., con la conseguente consapevolezza dell’accumulazione da parte della cedente di un ingente debito, che egli non poteva ignorare che le fosse stato lasciato a carico, essendo stati trasferiti alla società cessionaria, della quale era egli era pacificamente amministratore di fatto, soltanto cespiti attivi.

Si tratta di argomentazione che, nel rispecchiare gli esiti di un accertamento di merito insindacabile in questa sede, dà congruamente conto della conclusione raggiunta dalla Corte territoriale, la quale, pertanto, ha mostrato di essersi attenuta al principio di diritto secondo cui è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rv. 250409; Sez. 5, n. 2501 del 01/12/1998, dep. 1999, Rv. 212729).

4. Inammissibile è, invece, il terzo motivo.

I rilievi articolati in punto di diniego della concessione delle circostanze attenuanti in regime di prevalenza non sono consentiti in questa sede.

Per il diritto vivente, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, omissis, Rv. 245931). Donde, poiché nel caso al vaglio, a fronte della valorizzata condotta processuale di R., peraltro incensurato, che aveva assiduamente partecipato al processo, rendendo dichiarazioni sin dalle indagini preliminari, il Collegio di merito ha, tuttavia, assegnato rilievo anche alla «serialità delle condotte illecite oggetto di accertamento e del vero e proprio meccanismo illecito posto in essere dall’imputato, con la condivisione di M. e degli altri soggetti gregari» (cfr. pag. 58, primo capoverso), non emerge nessun profilo di arbitrarietà nell’apprezzamento discrezionale in tal modo compiuto, con la conseguenza che non vi è spazio per le prospettate censure.

5. Per tutto quanto esposto, s’impone il rigetto del ricorso. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (Agenzia delle Entrate ed Agenzia delle Entrate-Riscossione), che liquida in complessivi Euro 3.600,00 per ciascuna parte, oltre accessori di legge e spese eventualmente prenotate a debito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.600,00 per ciascuna parte, oltre accessori di legge e spese eventualmente prenotate a debito.

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