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L’elemento psicologico nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni

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Cass. pen., sez. I, 11/12/2023 (ud. 11/12/2023, dep. 14/03/2024), n. 10903 (Pres. Boni, Rel. Galati)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava in cosa consiste l’elemento psicologico nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni.

Ma, prima di vedere come la Suprema Corte ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Milano, in riforma di una sentenza pronunciata dal Tribunale della stessa città, previa concessione anche delle attenuanti generiche (oltre a quella del fatto di lieve entità, ex art. 5 legge n. 895 del 1967, già concessa dal primo giudice), rideterminava la pena inflitta all’imputata in quella di quattro mesi di reclusione e 700 euro di multa, concedendo a costei il beneficio della non menzione.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusata proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva vizi di violazione di legge e motivazione illogica, anche sotto il profilo del travisamento della prova, con riferimento all’elemento soggettivo del reato.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso reputava la doglianza summenzionata infondato poiché, a suo avviso, la Corte territoriale, oltre ad avere correttamente richiamato il principio di diritto per cui «per la configurazione del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la stessa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore ed oggetto detenuto ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell’agente» (Sez. 1, n. 42886 del 20/12/2017; Sez. F, n. 33609 del 30/08/2012; Sez. 1, n. 20935 del 20/05/2008), non era nemmeno incorso in un vizio di travisamento di decisività tale da potere escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità dell’illecito penale de quo, e ciò in consonanza a quell’indirizzo interpretativo secondo il quale, «nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni, l’elemento psicologico consiste nel dolo generico, e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l’arma o le munizioni senza averne fatto denuncia» (Sez. 1, n. 21355 del 10/04/2013), fermo restando che l’errore circa l’obbligo di denunciare l’arma «non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma dell’arma all’autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all’art. 47, comma terzo, cod. pen.» (Sez. 7, n. 24231 del 06/02/2019) mentre «l’errore di fatto sull’inefficienza della stessa ha efficacia discriminante, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., solo quando attenga alla completezza ed interessa l’arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento (Sez. 1, n. 5188 del 20/02/1985; Sez. 1, n. 16221 del 04/02/2020).

I risvolti applicativi

Nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni, l’elemento psicologico è il dolo generico, ossia la consapevolezza e la volontà di possedere fisicamente le armi o le munizioni senza averle denunciate.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 10903 Anno 2024

Presidente: BONI MONICA

Relatore: GALATI VINCENZO

Data Udienza: 11/12/2023

Data Deposito: 14/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C. Y. nato il …

avverso la sentenza del 30/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO GALATI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO

che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

lette le conclusioni del difensore che ha chiesto l’annullamento della sentenza con le conseguenze di legge;

Trattazione scritta.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 marzo 2023, la Corte di appello di Milano, in riforma di quella pronunciata dal Tribunale della stessa città il 16 febbraio 2022, previa concessione anche delle attenuanti generiche (oltre a quella del fatto di lieve entità, ex art. 5 legge n. 895 del 1967, già concessa dal primo giudice), ha rideterminato la pena inflitta a Y. C. in quella di quattro mesi di reclusione e 700 euro di multa, concedendo all’imputata il beneficio della non menzione.

1.1. Il procedimento ha ad oggetto il delitto di detenzione di arma comune da sparo (una carabina ad aria compressa) rivenuta, in occasione di una perquisizione domiciliare, nella camera da letto dell’appartamento dell’imputata.

La detenzione dell’arma (della quale era stato accertato il funzionamento e un’energia cinetica pari a 8,78 joule, quindi superiore ai limiti di legge) è stata ritenuta illecita sulla scorta della confessione dell’imputata che, nelle dichiarazioni scritte depositate nel giudizio di primo grado, aveva affermato di averne ignorato la funzionalità e la natura illegale.

La Corte di appello ha disatteso il motivo di impugnazione relativo all’elemento soggettivo del reato in relazione al quale la difesa aveva evidenziato come l’imputata avesse ritenuto l’arma un pezzo di antiquariato.

Tale allegazione difensiva, secondo la Corte, era stata sollevata, per la prima volta, con l’atto di appello e, per di più, dal solo difensore e non dalla C..

Ciò l’ha resa non credibile, anche alla luce del fatto che l’imputata «per sua stessa ammissione, provvedeva a lubrificare l’arma regolarmente». In ogni caso, la donna, presa in consegna l’arma, non si era informata sulla sua natura provvedendo alla relativa denuncia.

In ordine alla potenza di fuoco del fucile, tale da giustificarne la classificazione come «arma», i giudici di appello hanno evidenziato il contenuto della relazione balistica che aveva quantificato la potenza superiore a 7,5 joule, ossia pari a 8,78 joule e, quindi, in misura tale da farla rientrare fra le armi di cui all’art. 2, comma terzo, legge n. 110 del 1975.

E’ stato ritenuto fondato il motivo di appello avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche delle quali l’imputata è stata ritenuta meritevole in ragione dell’incensuratezza e della personalità.

Per le medesime ragioni, alla C. è stato concesso il beneficio della non menzione.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore, Avv. M. E. F., articolando due motivi.

2.1. Con il primo ha eccepito, promiscuamente, i vizi di violazione di legge e motivazione illogica, anche sotto il profilo del travisamento della prova, con riferimento all’elemento soggettivo del reato.

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di travisamento della prova sia laddove ha evidenziato che l’imputata, per sua stessa ammissione, aveva provveduto a lubrificare l’arma regolarmente, sia nella parte in cui ha ritenuto dedotto, per la prima volta in sede di appello e dal solo difensore, che l’imputata aveva ritenuto l’arma un pezzo di antiquariato.

Nel memoriale depositato nel corso del giudizio di primo grado, non vi sarebbe traccia della descrizione all’attività di lubrificazione dell’arma e sarebbe presente, per converso, l’affermazione della C. secondo cui quest’ultima aveva pensato che il fucile fosse un oggetto antico.

Inoltre, la valorizzazione dell’attività di lubrificazione dell’arma non potrebbe assurgere a valido elemento per dimostrare la consapevolezza della sua natura illecita, atteso che anche le armi antiche hanno necessità di manutenzione.

Si tratterebbe di un passaggio illogico della motivazione.

Ulteriormente, ha eccepito un profilo di violazione di legge laddove la Corte di appello ha ritenuto un comportamento negligente dalla C. per non essersi informata sulla natura dell’arma e per non averne verificato la natura.

In tal modo, avrebbe «stravolto la natura dolosa della fattispecie» costruendo un giudizio di responsabilità per una fattispecie dolosa in termini colposi e trascurando di considerare quanto dichiarato sul punto dall’imputata.

2.2. Con il secondo motivo ha invocato il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen., come modificato dalla legge n. 150 del 2022.

La modifica legislativa ha ampliato l’ambito di applicabilità della norma estendendola ai reati puniti con pena detentiva non superiore, nel minimo, a due anni rendendola così applicabile alla fattispecie in esame.

Sul punto, ha evidenziato come sulla base degli elementi già valorizzati dal giudice di merito in ordine alla gravità del reato e alla personalità dell’imputata, sussistano le condizioni per il riconoscimento della causa di non punibilità nel presente giudizio di legittimità.

Ha, quindi, chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata o, in subordine, l’annullamento con rinvio.

3. Il difensore ha depositato conclusioni scritte insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo contiene la censura promiscua di violazione di legge e vizio di motivazione ed è articolato, essenzialmente, sulle dichiarazioni della C. prodotte sin dal giudizio di primo grado (contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello) e sulla base delle quali i giudici di merito avrebbero dovuto escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Il travisamento della prova, quindi, avrebbe determinato un vizio nella motivazione sotto un duplice profilo: da un lato l’affermazione dell’attività di lubrificazione, dall’altro l’individuazione di una condotta colposa, quale quella di non essersi informata circa l’effettiva natura dell’arma provvedendo alla relativa denuncia, a fronte di una fattispecie sanzionata a titolo di dolo generico.

I rilievi, complessivamente considerati, sono privi di fondamento.

In punto di elemento oggettivo del delitto in contestazione, la Corte di appello ha correttamente richiamato il principio per cui «per la configurazione del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la stessa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore ed oggetto detenuto ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell’agente» (Sez. 1, n. 42886 del 20/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 274380; Sez. F, n. 33609 del 30/08/2012, omissis, Rv. 253425; Sez. 1, n. 20935 del 20/05/2008, omissis, Rv. 240287).

Dall’accertata disponibilità dell’arma da parte dell’imputata per un periodo di tempo apprezzabile (da agosto 2018 a febbraio 2019), i giudici di merito, anche in ragione della collocazione del fucile che si trovava «a vista nella camera da letto» hanno desunto la sussistenza dell’elemento materiale del delitto.

In punto di elemento soggettivo, invece, va ricordato che «nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni, l’elemento psicologico consiste nel dolo generico, e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l’arma o le munizioni senza averne fatto denuncia» (Sez. 1, n. 21355 del 10/04/2013, omissis, Rv. 256302).

Sez. 7, n. 24231 del 06/02/2019, omissis, Rv. 276481 ha, inoltre, ribadito, in punto di rilevanza o meno dell’errore circa l’obbligo di denunciare l’arma, che «non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma dell’arma all’autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all’art. 47, comma terzo, cod. pen.».

Alla luce di tali considerazioni, va, pertanto, evidenziato che il dedotto travisamento della prova da parte della Corte di appello, non cade su elementi decisivi per escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto in contestazione.

Nelle dichiarazioni della C., invero prodotte nel corso del giudizio di primo grado, come evidenziato nel ricorso per cassazione, l’imputata ha dichiarato quanto segue: «…il fucile che la polizia ha trovato nel mio appartamento …non è di mia proprietà; questo fucile è stato acquistato, insieme ad un vecchio

computer … da un mio amico di nome Z. A.; in particolare, nel 2018 Z. Andi comprò il fucile da un ragazzo italiano di nome B., che era il fidanzato di una mia amica, di nome Z. Y.; da quando Z. A. ha

vissuto e studiato a Roma, nel mese di agosto 2018, Z. Y. mi ha chiesto di poter lasciare temporaneamente il fucile a casa mia, in modo che Z. A. potesse prenderlo quando sarebbe venuto a Milano; ho accettato di fare questo favore, e quindi ho tenuto provvisoriamente il fucile in casa, perché era molto vecchio, e pensavo fosse un pezzo d’antiquariato; non avevo idea che potesse essere funzionante, letale o illegale».

La circostanza della lubrificazione dell’arma, assente nella predetta dichiarazione, non assurge certamente ad elemento decisivo per escludere la correttezza della ricostruzione dei giudici di merito, atteso che l’arma era comunque funzionante ed efficiente.

D’altro canto, anche il dato relativo alla natura dell’arma (ci sarebbe stato il convincimento dell’imputata che si trattava di arma antica) cade su un elemento privo del carattere di decisività in quanto non afferente al profilo dell’efficienza dell’arma.

E’ stato già affermato, e deve essere qui ribadito, che «in tema di detenzione illegale di un’arma, l’errore di fatto sull’inefficienza della stessa ha efficacia discriminante, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., solo quando attenga alla completezza ed interessa l’arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento (Sez. 1, n. 5188 del 20/02/1985, omissis, Rv. 169434; Sez. 1, n. 16221 del 04/02/2020, omissis, Rv. 279132).

Il dedotto travisamento, pertanto, non sarebbe caduto su un elemento decisivo, non comportando la compromissione della tenuta logica e dell’intera coerenza della motivazione, rispetto alla quale non si colloca in termini di radicale incompatibilità.

3. Infondato il motivo di ricorso relativo alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.

La ricorrente ha richiamato quanto deciso da Sez. 4, n. 9466 del 15/02/2023, omissis, Rv. 284133 che, in motivazione, ha precisato che «l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., come novellato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in ragione della natura sostanziale dell’istituto, oltre ad essere questione deducibile per la prima volta nel giudizio di legittimità in quanto non proponibile in precedenza, può essere rilevata dalla Corte anche di ufficio ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., pur in caso di ricorso inammissibile».

Il principio, al quale si aderisce, non rileva, tuttavia, nella presente fattispecie in quanto la causa di non punibilità, nei termini di cui alla novella legislativa di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 avrebbe potuto essere chiesta nel corso del giudizio di appello la cui udienza è stata celebrata il 30 marzo 2023, ossia dopo l’entrata in vigore della riforma che ha riguardato la norma di rilievo in questa sede.

Ciò non risulta essere avvenuto e, deve richiamarsi, anche a proposito della questione sollevata con il motivo di ricorso, che «in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità» (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282773).

Tale principio deve ritenersi applicabile, quindi, anche nel caso in cui alla data di deliberazione della sentenza impugnata era in vigore la norma che ha esteso l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità a reati per i quali, in precedenza, non trovava applicazione, con particolare riferimento alla novella che ha individuato l’ambito di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. ai reati per i quali sia prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, in sostituzione del riferimento ai reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni.

4. Da quanto sin qui esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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