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L’applicazione della recidiva reiterata richiede la previa dichiarazione della recidiva semplice?

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Cass. pen., sez. I, 24/11/2023 (ud. 24/11/2023, dep. 14/02/2024), n. 10900 (Pres. Di Nicola, Rel. Fiordalisi)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 99)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Cassazione nella decisione qui in esame, riguardava se l’applicazione della recidiva reiterata richieda la previa dichiarazione di recidiva semplice.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza in oggetto.

La Corte di Appello di Palermo confermava una sentenza resa dal Tribunale di Agrigento, all’esito di giudizio abbreviato, con la quale era stato condannato l’imputato alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, in ordine al reato di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva erronea applicazione della legge penale, perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato al caso di specie la recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., anche se dalla lettura del fascicolo era emerso che il condannato non fosse mai stato condannato con l’applicazione della circostanza aggravante della recidiva.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso reputava la doglianza summenzionata infondata.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto gli Ermellini a ritenere siffatto motivo non meritevole di accoglimento, veniva richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023).

Ebbene, la Corte di legittimità considerava come tale principio di diritto fosse stato correttamente applicato nel caso di specie, avendo il giudice di primo grado fornito un’ampia motivazione, evidenziandosi come la ricaduta nel delitto fosse stata sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di una più accentuata pericolosità dell’imputato, anche considerando la gravità e il numero dei suoi precedenti penali, nonché il fatto che le condotte delittuose erano state intervallate da periodi di detenzione, a seguito dei quali lo stesso era tornato a delinquere, con ciò mostrando una significativa impermeabilità alle sanzioni subite.

I risvolti applicativi

Per applicare la recidiva reiterata nel giudizio di cognizione, è sufficiente che, al momento del reato, l’imputato abbia già ricevuto più sentenze definitive per reati precedenti, dimostranti una maggiore pericolosità sociale, con una motivazione specifica e adeguata, mentre a nulla rileva una precedente dichiarazione di recidiva semplice.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 10900 Anno 2024

Presidente: DI NICOLA VITO

Relatore: FIORDALISI DOMENICO

Data Udienza: 24/11/2023

Data Deposito: 14/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B. A. nato il …

avverso la sentenza del 06/12/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ETTORE PEDICINI che ha concluso chiedendo

PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA.

udito il difensore

RITENUTO IN FATTO

1. B. A. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 6 dicembre 2022, che ha confermato la sentenza resa il 14 ottobre 2021 dal Tribunale di Agrigento all’esito di giudizio abbreviato, con la quale era stato condannato alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, in ordine al reato di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, perché, quale

soggetto destinatario del provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato per la durata di anni cinque del Prefetto di Varese del 6 aprile 2018 (notificatogli in pari data), il 24 luglio 2021 aveva fatto rientro in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno.

2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, denuncia erronea applicazione della legge penale, perché la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato al caso di specie la recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., anche se dalla lettura del fascicolo era emerso che il condannato non fosse mai stato condannato con l’applicazione della circostanza aggravante della recidiva.

Nel ricorso, inoltre, si evidenzia che la Corte di appello avrebbe applicato la recidiva senza aver effettuato una concreta verifica in ordine alla presunta pericolosità sociale dell’imputato.

2.2. Con il secondo motivo, denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe rigettato la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza offrire sul punto alcuna valida motivazione e senza considerare il comportamento processuale collaborativo dell’imputato.

3. Il ricorrente, con conclusioni scritte del 15 novembre 2023, insiste per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità.

Giova in diritto evidenziare che la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione: il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità, infatti, è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., che ribadisce in forma esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Questi motivi – contrassegnati dall’inderogabile «indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto» che sorreggono ogni atto d’impugnazione ai sensi degli artt. 581, comma 1, lett. e), e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed  all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La disposizione in esame deve quindi essere letta in correlazione con quella dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede la non deducibilità nel giudizio di legittimità delle questioni non prospettate nei motivi di appello.

Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, nel giudizio di legittimità, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale.

La doglianza relativa all’applicazione della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., quindi, riguardando uno dei punti della decisione, doveva formare oggetto dei motivi proposti con il gravame, posto che, a norma dell’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione devoluti con l’impugnazione.

Nel caso di specie, invece, l’imputato non aveva impugnato la sentenza di secondo grado nella parte in cui il giudice di primo grado aveva applicato la circostanza aggravante della recidiva.

In ogni caso, si evidenzia che, successivamente al deposito del ricorso, le Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire che, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, omissis, Rv. 284878).

Sul punto, il giudice di primo grado aveva fornito ampia motivazione, avendo evidenziato che la ricaduta nel delitto era sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di una più accentuata pericolosità dell’imputato, anche considerando la gravità e il numero dei suoi precedenti penali, nonché il fatto che le condotte delittuose erano state intervallate da periodi di detenzione, a seguito dei quali lo stesso era tornato a delinquere, con ciò mostrando una significativa impermeabilità alle sanzioni subite.

1.2. Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento. Il ricorrente, infatti, non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che non erano emersi elementi utili alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche considerando i precedenti penali dell’imputato per reati di particolare allarme sociale (tra i quali: detenzione illecita di sostanze stupefacenti, furto e minaccia), nonché la gravità della condotta accertata e l’intensità del dolo, posto che l’imputato era rientrato in Italia dopo l’effettivo rimpatrio eseguito coattivamente a seguito dell’emissione del provvedimento di espulsione.

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, pertanto, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile dinanzi alla Corte di cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, omissis Rv. 242419), anche considerato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, omissis, Rv. 249163).

2. In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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