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L’aggravante del metodo mafioso richiede un’azione delittuosa professionale, violenta e organizzata?

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Cass. pen., sez. II, 22/05/2024 (ud. 22/05/2024, dep. 11/07/2024), n. 27770 (Pres. Imperiali, Rel. Cersosimo)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso, basta l’avere agito in modo professionale, violento ed organizzato, nella consumazione dell’azione delittuosa.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale de L’Aquila, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., rigettava un riesame avverso un’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città aveva disposto la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere per il reato di rapina pluriaggravata.

Ciò posto, avverso questa pronuncia ricorreva per Cassazione il Procuratore della Repubblica di L’Aquila -Direzione Distrettuale Antimafia, che deduceva inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen..

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni giuridiche, che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, vi era quella secondo la quale, se è ben vero che «Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso … non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti …» (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023), è però altrettanto vero non appare possibile configurare la circostanza aggravante in esame solo perché una azione delittuosa è stata consumata con “metodi paramilitari” da un gruppo di soggetti pesantemente armati, che hanno evidenziato scrupolose modalità organizzative della stessa e che hanno agito con particolare violenza, tenuto conto altresì del fatto che l’art. 416-bis.1 cod. pen. non indica quale requisito della modalità mafiosa la professionalità della condotta, né fa leva sul coinvolgimento di una pluralità di persone nel fatto, ma richiede pur sempre che la condotta sia ammantata dalla matrice mafiosa, utilizzata quale veicolo per la commissione del delitto, mediante approfittamento della condizione di assoggettamento e di omertà che provoca nella vittima l’ingenerato convincimento che il reato sia espressione e provenga da un gruppo mafioso.

Tal che se ne faceva discendere che l’agire professionale, violento ed organizzato nella consumazione dell’azione delittuosa, può sì configurarsi come indizio della sussistenza dell’aggravante del “metodo mafioso“, ma non è di per sé elemento unico e risolutivo per la configurabilità dell’aggravante stessa, occorrendo un quid pluris consistente nella ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa, della provenienza dell’agire da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso.

I risvolti applicativi

L’agire professionale, violento ed organizzato, durante la commissione di un reato, può indicare la presenza dell’aggravante del “metodo mafioso“, ma non è sufficiente da solo per configurare tale aggravante, essendo necessario che vi sia anche una ragionevole percezione, pure solo ipotetica, da parte della vittima, che l’azione provenga da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso.

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