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In caso di estorsione, occorre valutare se il patrimonio della vittima includa proventi illeciti per determinare l’ingiustizia del profitto e il danno?

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Cass. pen., sez. II, 19/06/2024 (ud. 19/06/2024, dep. 11/07/2024), n. 27756 (Pres. Pellegrino, Rel. D’Auria)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, in materia di estorsione, è necessario valutare, al fine di valutare l’ingiustizia del profitto e il danno per la persona offesa, che il patrimonio della vittima sia costituito anche da proventi di attività illecite o vietate.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Reggio Calabria confermava una sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palmi in che aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 629 cod. pen..

Ciò posto, avverso questa pronuncia ricorreva per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per essere la motivazione apparente in relazione alla configurabilità del delitto di cui all’art. 629 cod. pen. in luogo di quello di cui all’art. 610 cod. pen..

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatto esito decisorio sulla scorta di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la natura plurioffensiva del delitto di estorsione, tradizionalmente riconosciuta (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013; Sez. 2, n. 12456 del 04/03/2008), relegandosi in tal guisa in secondo piano l’eventuale condizione di illiceità in cui versi la persona offesa; la tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà morale della vittima del reato ed al suo patrimonio trova esplicazione quante volte il profitto che l’agente intenda conseguire sia ingiusto, perché sfornito di qualsivoglia base legale, pur se sussista un collegamento eventuale con la causale illecita caratterizzante l’oggetto della pretesa (come per le ipotesi di costrizione mediante minaccia o violenza per la consegna del corrispettivo di cessioni di sostanze stupefacenti: Sez. 3, n. 9880 del 24/01/2020; Sez. 6, n. 1672 del 20/12/2013; Sez. 2, n. 40051 del 14/10/2011).

In altri termini, per i giudici di piazza Cavour, è del tutto irrilevante, al fine di valutare l’ingiustizia del profitto e il danno per la persona offesa, che il patrimonio della vittima sia costituito anche da proventi di attività illecite o vietate (in tali sensi, Sez. 3, n. 27257 del 11/05/2007, con riferimento ad un’ipotesi di estorsione in danno di donne che esercitavano la prostituzione; Sez. 2, n. 7390 del 22/03/1986, in relazione ad un tentativo di estorsione diretto a proibire lo svolgimento del gioco d’azzardo).

I risvolti applicativi

Nel caso di estorsione, è irrilevante che il patrimonio della vittima includa proventi illeciti per valutare l’ingiustizia del profitto e il danno.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 27756 Anno 2024

Presidente: PELLEGRINO ANDREA

Relatore: D’AURIA DONATO

Data Udienza: 19/06/2024

Data Deposito: 11/07/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L. D. nato a … il …

avverso la sentenza del 25/01/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Donato D’Auria;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Raffaele Gargiulo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. G. P., in sostituzione dell’avv. G. M., che, dopo breve discussione, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 25/1/2024 confermava la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palmi in data 14/4/2023, che aveva condannato D. L. per il reato di cui all’art. 629 cod. pen.

2. L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 21, 421 e 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. Sostiene che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere che, poiché il giudice non aveva deciso sulla eccezione di incompetenza territoriale avanzata in udienza preliminare, il difensore avrebbe dovuto ribadirla anche in sede di giudizio abbreviato, chiedendo che il giudice si pronunciasse sulla stessa; che tanto i giudici di appello hanno affermato, richiamando un arresto datato delle Sezioni Unite, poi superato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che è orientata nel senso di ritenere che la scelta del giudizio abbreviato comporti implicitamente l’abbandono della eccezione di incompetenza territoriale; che, in ogni caso, dalla sentenza di primo grado, si evince che la questione sulla competenza era stata posta anche nel giudizio abbreviato, tanto che il giudice incidentalmente ne ha segnalato la probabile fondatezza, senza tuttavia dare corso ad una decisione sul punto in ragione degli effetti abdicativi derivanti dalla scelta del giudizio abbreviato.

Solleva, altresì, questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 421 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice dell’udienza preliminare debba decidere immediatamente sulla eccezione di incompetenza per territorio formulata successivamente alla costituzione delle parti ed all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente alla parte che abbia tempestivamente eccepito la questione di incompetenza territoriale in udienza preliminare di ulteriormente coltivarla nel giudizio abbreviato, perché in contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 Cost. Evidenzia che l’interpretazione delle disposizioni codicistiche nei termini anzidetti espone la norma a rilievi di incostituzionalità dettati dall’ingiustificata compressione delle prerogative difensive dell’accusato. Peraltro, non sussiste ragionevole motivo per cui l’ordinamento processuale possa discriminare ai fini della verifica pregiudiziale della competenza del giudice la posizione dell’imputato, a seconda che la richiesta di giudizio abbreviato venga formulata a seguito di azione penale esercitata nelle forme ordinarie ovvero a seguito di richiesta di giudizio immediato.

2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per essere la motivazione apparente in relazione alla configurabilità del delitto di cui all’art. 629 cod. pen. in luogo di quello di cui all’art. 610 cod. pen. Rileva che nel caso di specie manchi non solo l’ingiusto

profitto, ma anche l’altrui danno, tenuto conto che la persona offesa si è indebitamente arricchita ricevendo la partita di sostanza stupefacente, con la conseguenza che quanto richiesto con la minaccia, tendendo a pareggiare quanto contrattualmente stabilito dalle parti, non può configurarsi né come profitto ingiusto per il ricorrente, né come danno ingiusto per la persona offesa; che tale doglianza, sollevata nei motivi di appello, non ha trovato puntuale risposta da parte della Corte territoriale, la quale si è limitata ad affermare che nel caso oggetto di scrutinio non sia ravvisabile il reato di esercizio arbitrario con violenza sulle persone. In conclusione, secondo il difensore, nel caso di specie si configurerebbe un’ipotesi di violenza privata, ma non una estorsione.

2.3. In data 13/6/2024 è pervenuta memoria difensiva con cui il difensore illustra la questione di legittimità costituzionale proposta con il ricorso principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che il ricorso sia inammissibile.

1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Ed invero, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che, quando il giudizio abbreviato venga instaurato nel corso dell’udienza preliminare, l’eccezione di incompetenza per territorio è proponibile “in limine” a tale giudizio, a patto che sia stata già proposta e rigettata in sede di udienza preliminare; che, dunque, detta eccezione è tardiva se, a seguito del suo rigetto nel corso dell’udienza preliminare, non sia stata riproposta tempestivamente, vale a dire subito dopo l’ammissione al rito abbreviato, ma solo in sede di discussione e dopo aver concluso nel merito (Sez. 1, n. 12293 del 8/10/2019, omissis, Rv. 279323 – 01; Sez. 3, n. 11054 del 2/2/2017, omissis, Rv. 269174 – 0 1; Sez. 4, n. 45395 del 16/10/2013, omissis,

Rv. 257561 – 01; Sez. 2, n. 22366 del 23/4/2013, omissis, Rv. 255931 – 01). In particolare, già prima della novella dell’art. 438 cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103 (cosiddetta Riforma Orlando),le Sezioni Unite di questa Corte (n. 27996 del 29/3/2012, omissis, Rv. 252612 – 01), affrontando la questione della ammissibilità dell’eccezione di incompetenza territoriale avanzata

dall’imputato ammesso al rito abbreviato, avevano avuto modo di affermare che l’eccezione di incompetenza territoriale è proponibile “in limine” al giudizio abbreviato non preceduto dall’udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l’incidente di competenza può essere sollevato, sempre “in limine” a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare. In altri termini, l’aver proposto la questione in sede di udienza preliminare non esime affatto l’imputato dal riproporla tempestivamente, subito dopo essere stato ammesso al rito abbreviato, costituendo la riproposizione una condizione pregiudiziale per poter prospettare la questione nei successivi gradi di giudizio, in caso di rigetto dell’eccezione.

Tale soluzione ermeneutica, a giudizio del Collegio, resta valida anche dopo la novella di cui alla legge n. 103/2017, atteso che la mancata decisione sull’eccezione di incompetenza per territorio avanzata all’udienza preliminare impedisce che operi la preclusione di cui all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., in quanto l’imputato ha diritto ad ottenere una decisione in punto di competenza territoriale, questione che attiene al principio del giudice naturale precostituito per legge, scolpito nell’art. 25, comma 1, Cost. Se così è, il difensore è tenuto a riproporre la relativa eccezione subito dopo il provvedimento di ammissione al giudizio abbreviato, dovendosi presumere in caso contrario che con la scelta del rito alternativo vi abbia implicitamente rinunciato.

Orbene, una siffatta lettura del comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103/2017, risulta del tutto compatibile con l’invocato principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e con il diritto di difesa, che non può essere compresso in ragione della scelta di un rito alternativo. La questione di legittimità costituzionale, dunque, anche sotto il profilo della ipotizzata disparità di trattamento con la disciplina prevista per il giudizio immediato, risulta manifestamente infondata.

Tanto premesso in diritto, rileva il Collegio che, all’esito del controllo degli atti del giudizio di primo grado, ammesso in considerazione della natura processuale della questione, nel caso di specie l’eccezione di incompetenza territoriale proposta all’udienza preliminare del 11/11/2022 e ribadita all’udienza del 13/1/2023, non è stata, tuttavia, reiterata all’esito dell’ammissione al giudizio abbreviato. In quella sede, invero, risulta dal verbale solo che il difensore ebbe a concludere nel merito, per cui l’eccezione riproposta in sede di appello è inammissibile, perché tardiva.

1.2. Anche il secondo motivo di ricorso – con cui si prospetta una diversa qualificazione giuridica dei fatti, ritenuti sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen. in ragione della carenza dell’ingiusto profitto e dell’altrui danno – è manifestamente infondato.

In particolare, dalla ricostruzione dell’occorso, emerge di tutta evidenza la direzione della volontà dell’odierno ricorrente che mirava a conseguire il profitto (ingiusto, per le ragioni che si diranno) della consegna di una somma di denaro equivalente al valore della partita di sostanza stupefacente consegnata alla persona offesa, così attentando non solo al patrimonio di C. M., ma anche alla sua libertà morale.

È stato, invero, condivisibilmente affermato da Sez. 2, n. 40457 del 7/6/2023, omissis, che la «natura plurioffensiva del delitto di estorsione, tradizionalmente riconosciuta (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, omissis, Rv. 280173 – 01; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, B., Rv. 274080 – 01; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, omissis, Rv. 257755 – 01; Sez. 2, n. 12456 del 04/03/2008, omissis, Rv. 239749 – 01), relega in secondo piano l’eventuale condizione di illiceità in cui versi la persona offesa; la tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà morale della vittima del reato ed al suo patrimonio trova esplicazione quante volte il profitto che l’agente intenda conseguire sia ingiusto, perché sfornito di qualsivoglia base legale, pur se sussista un collegamento eventuale con la causale illecita caratterizzante l’oggetto della pretesa (come per le ipotesi di costrizione mediante minaccia o violenza per la consegna del corrispettivo di cessioni di sostanze stupefacenti: Sez. 3, n. 9880 del 24/01/2020, omissis, Rv. 278767 – 01; Sez. 6, n. 1672 del 20/12/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 258284 – 01; Sez. 2, n. 40051 del 14/10/2011, omissis, Rv. 251547 – 01)». E non può certo affermarsi che la pretesa del ricorrente di ottenere il prezzo pattuito della fornitura di sostanza stupefacente nella sua misura integrale fosse tutelabile, come pure evidenziato dalla Corte territoriale, che ha escluso la configurabilità del delitto di cui all’art. 393 cod. pen.

In altri termini, è del tutto irrilevante, al fine di valutare l’ingiustizia del profitto e il danno per la persona offesa, che il patrimonio della vittima sia costituito anche da proventi di attività illecite o vietate (in tali sensi, Sez. 3, n. 27257 del 11/05/2007, omissis, Rv. 237211 – 01, con riferimento ad un’ipotesi di estorsione in danno di donne che esercitavano la prostituzione; Sez. 2, n. 7390 del 22/03/1986, omissis, Rv 173388 – 01, in relazione ad un tentativo di estorsione diretto a proibire lo svolgimento del gioco d’azzardo).

In conclusione, la circostanza che l’oggetto della pretesa dei ricorrenti derivasse da una comune attività illecita (compravendita di sostanza stupefacente), non esclude il carattere ingiusto del profitto perseguito dal ricorrente, né la sussistenza del danno che ha subito la vittima, ciò che consente di escludere la configurabilità del reato di violenza privata.

2. All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativa mente fissata.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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