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In caso di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore è responsabile anche se la contabilità è gestita da esperti?

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Cass. pen., sez. V, 03/04/2024 (ud. 03/04/2024, dep. 18/07/2024), n. 29272 (Pres. Sabeone, Rel. Brancaccio)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Messina confermava una decisione di primo grado con cui gli imputati erano stati condannati per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale.

Ciò posto, avverso questa pronuncia proponevano ricorso per Cassazione gli accusati e uno di questi, tra i motivi da lui addotti per mezzo del suo difensore, deduceva vizi di violazione di legge e di motivazione mancante, con riguardo all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

In particolare, secondo il ricorrente, la responsabilità della tenuta irregolare delle scritture contabili avrebbe dovuto essere imputata al professionista al quale era stato affidato il compito mentre, invece, la sentenza impugnata non aveva in alcun modo confutato la difesa basata su tale argomento, omettendo qualsiasi risposta.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020), fermo restando che tale responsabilità può essere sia a titolo di bancarotta fraudolenta documentale che a titolo di bancarotta semplice, a seconda degli elementi concreti della fattispecie.

I risvolti applicativi

Nella bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore è responsabile anche se la contabilità è gestita da esperti, poiché costui è tenuto a vigilare sulle attività dei delegati, esistendo a tal proposito una presunzione semplice che i dati siano stati trascritti secondo le sue indicazioni, superabile solo fornendo una rigorosa prova contraria.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29272 Anno 2024

Presidente: SABEONE GERARDO

Relatore: BRANCACCIO MATILDE

Data Udienza: 03/04/2024

Data Deposito: 18/07/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

Z. G. S. nato a … il …

Z. A. S. nato a … il …

Z. M. nato a … il …

avverso la sentenza del 11/11/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA

visti g li atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

udito il Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI

che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.

udito il difensore, l’avv. L. M. del foro di … si riporta ai motivi dei ricorsi

e insiste per l’accoglimento degli stessi.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza della Corte d’Appello di Messina impugnata, ha confermato, per quanto di interesse, la decisione di primo grado con cui G. S., M. e A. S. Z. sono stati condannati alle pene, rispettivamente, di anni sei di reclusione, il primo, e di anni tre di reclusione, gli ultimi due, per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, in relazione al fallimento della società “A. C. s.r.l.”, della quale erano stati amministratori di diritto (M. e A. S.) o amministratore di diritto per un periodo e, comunque, amministratore di fatto (G. S.).

I trasferimenti fraudolenti di fondi della fallita alle società S. C. B. (per 652.748,13 euro dal 2008 al 2013) ed alla società G. C. B. (per 82.027 euro negli anni 2012 e 2013) sono stati ritenuti provati dalle sentenze di merito, così come si è ritenuta distrattiva un’indicazione fittizia in bilancio (54.931,59 euro per costi di pubblicità), nonché la condotta di tenuta delle scritture contabili irregolare ed incompleta, in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita.

2. Gli imputati hanno proposto ricorso avverso la sentenza d’appello citata, tramite i rispettivi difensori di fiducia e distinti atti di impugnazione.

3. Il ricorso di G. S. Z., proposto dall’avv. S., si compone di quattro motivi diversi.

3.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo all’art. 216, comma 1, n. 1, I. fall., denunciando la mancata, reale risposta della Corte territoriale ai motivi d’appello con i quali il ricorrente mirava a dimostrare che non vi era stata alcuna condotta distrattiva realizzata dagli organi gestori della fallita, poiché i movimenti bancari in entrata ed in uscita, contestati come tali, costituivano soltanto un giro di assegni utile a creare liquidità per le varie società a lui riconducibili e per compensare debiti e crediti tra le stesse, momentaneamente coprendo le scoperture degli affidamenti bancari, facendo ricorso alle provviste esistenti sugli atri conti correnti

riconducibili alla società o ai soci. Basare l’affermazione di responsabilità su meri dati contabili non è consentito dalla giurisprudenza di legittimità.

Si denuncia, altresì, il vizio di travisamento per omissione con riguardo al mancato esame di una sentenza passata in giudicato e favorevole alla ricostruzione difensiva, che si è allegata al ricorso.

3.2. Il secondo motivo di censura evidenzia i vizi di violazione di legge e di motivazione mancante, con riguardo all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

La tesi difensiva è che la responsabilità della tenuta irregolare delle scritture contabili sia del professionista al quale aveva affidato il compito e la sentenza impugnata non ha in alcun modo confutato la difesa basata su tale argomento, omettendo qualsiasi risposta.

Al più, la condotta avrebbe dovuto essere ascritta al ricorrente nell’egida dell’art. 217 I. fall., per l’atteggiamento colposo rinvenibile nella scelta inadeguata del professionista incaricato della tenuta delle scritture societarie (si cita Sez. 5, n. 32586 del 2007) o per il mancato controllo sul suo operato.

3.3. La terza argomentazione difensiva denuncia violazione di legge e vizio di omessa motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della recidiva qualificata nei confronti del ricorrente.

Citando la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sul tema, il ricorrente evidenzia che non è stato spiegato dalla Corte d’Appello, nonostante lo specifico motivo proposto, se la commissione del nuovo illecito sia sintomatica di maggior riprovevolezza della condotta, per la più accentuata colpevolezza e la maggior pericolosità dimostrate dall’autore del nuovo reato.

La distanza temporale tra l’accertamento del reato e la decisione adottata, nonché il comportamento del ricorrente successivo al reato e le componenti oggettive e soggettive della condotta avrebbero dovuto condurre ad una soluzione di esclusione della recidiva.

3.4. Il quarto motivo di ricorso eccepisce vizio di violazione di legge e di motivazione manifestamente illogica relativamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla dosimetria sanzionatoria, nonostante il comportamento processuale positivo e la prova del mancato intento distrattivo nei confronti dei creditori (in realtà l’unico creditore era l’erario).

4. Il ricorso di A. S. Z., proposto dall’avv. S., si compone di due motivi diversi.

4.1. La prima ragione difensiva denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’affermazione di colpevolezza del ricorrente in relazione al concorso nei reati a lui ascritti, per la sua qualità di amministratore di diritto della fallita, nonostante la stessa sentenza impugnata abbia riconosciuto che l’unico dominus e gestore apicale della società era G. S. Z..

La tesi del ricorrente si fonda sulla sua inconsapevolezza delle condotte del coimputato, unico responsabile, mentre la prova del concorso nei reati non può essere desunta dalla mera posizione gestoria formale da lui rivestita; difetterebbe, in ogni caso, la prova del dolo specifico del reato.

4.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata, nonostante la giovane età dell’imputato, peraltro incensurato; l’argomento anagrafico, valutato rispetto all’età anziana della coimputata non ricorrente C. C., avrebbe dovuto parallelamente e coerentemente essere valorizzato in chiave favorevole al ricorrente, per riconoscere la prevalenza del beneficio già concesso in primo grado.

5. Il ricorso di M. Z., proposto anch’esso dal medesimo difensore di fiducia degli altri due ricorrenti, si compone di due motivi.

5.1. La prima ragione di censura, quasi sovrapponibile a quella di A. S. Z., oltre alle ragioni già esposte al par. 4.1., evidenzia che il ruolo di amministratore di diritto del ricorrente è stato ricoperto solo dal 17.2.2012 al 16.10.2013, sicchè, tenuto conto dell’epoca delle condotte contestate (al più sino al 31.12.2012), la prova del suo coinvolgimento è ancor più debole.

In particolare, i delitti di bancarotta fraudolenta, sia patrimoniale che documentale impropria, presuppongono la carica di amministratore formale effettivamente svolta oppure la prova del concorso quale extraneus nella bancarotta commessa da altri: nella specie, l’amministratore di fatto era l’unico gestore della fallita e non vi è prova del coinvolgimento del ricorrente.

5.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata, nonostante la sua incensuratezza ed il fatto che egli abbia agito solo sotto la direzione del coimputato G. S. Z.;

indicatori che, al pari della valutazione di favore compiuta rispetto all’anziana età della coimputata non ricorrente C. C., avrebbero dovuto essere positivamente valorizzati per riconoscere la prevalenza del beneficio già concesso in primo grado.

6. La Presidente Titolare della Quinta Sezione Penale ha disposto la trattazione orale del procedimento, su richiesta di parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono tutti inammissibili, per le ragioni che si indicheranno di seguito e, anzitutto, per un motivo comune: la genericità delle argomentazioni formulate, che non si confrontano con la sentenza impugnata e spesso si risolvono in affermazioni aspecifiche, compilative di orientamenti della giurisprudenza di legittimità o ripetitive

delle tesi difensive già prospettate con i motivi d’appello.

2. Il ricorso di G. S. Z. è inammissibile quanto al primo motivo perché manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha argomentato in ordine alla condotta distrattiva realizzata dagli organi gestori della fallita, riportandosi alla pronuncia conforme di primo grado ed evidenziando il trasferimento di fondi ad altre due società – la S. C. N. e la G.  C. B. – entrambe riconducibili proprio al ricorrente, per valori consistenti, complessivamente pari ad oltre 700.000 euro, oltre che indicando un costo di pubblicità fittizio pari a circa 55.000 euro.

Di contro il ricorrente oppone, con ragioni estremamente generiche e delle quali non si comprende il senso giuridico-economico, che i movimenti bancari in entrata ed in uscita contestati costituivano soltanto un giro di assegni utile a creare liquidità per le varie società a lui riconducibili e per compensare debiti e crediti tra le stesse, facendo ricorso alle provviste esistenti sugli atri conti correnti riconducibili alla società o ai soci.

I giudici di merito, nella doppia pronuncia conforme, non hanno fondato il proprio convincimento sull’affermazione di responsabilità guardando ai meri dati contabili, ma hanno valutato le condotte sulla base delle prove raccolte in primo grado, tra le quali dichiarazioni testimoniali, anche relative alle indagini, e le intercettazioni disposte.

Infine, la sentenza impugnata ha implicitamente risposto all’eccezione difensiva riferita alla mancata considerazione della valenza favorevole della sentenza passata in giudicato, che si è allegata al ricorso, con cui si è accertata la sussistenza di un reddito notevolmente inferiore a quello presuntivamente accertato per il ricorrente, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, e con cui l’imputato è stato assolto.

Infatti, si evidenzia che il soddisfacimento dei debiti verso lo Stato non è intervenuto e che anche l’accertamento di un solo debito, in ogni caso, pur se di importo inferiore a quello presuntivamente accertato, include in sé un vulnus alla garanzia dei creditori costituita dal patrimonio dell’azienda.

2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Il delitto di bancarotta fraudolenta documentale è al centro della parte motivazionale più specificamente affrontata dalla sentenza impugnata.

La Corte territoriale ha fatto comprendere quanto sia errata la tesi difensiva, basata sul convincimento che la responsabilità della tenuta irregolare delle scritture contabili sia del solo professionista al quale il ricorrente aveva affidato il compito di conservazione e gestione, potendosi al più configurare nei confronti di quest’ultimo un’ipotesi di culpa in eligendo e di bancarotta semplice ex art. 217 I. fall.

Ma la questione che si pone nel caso di specie non è l’astratta configurabilità del reato di bancarotta semplice documentale, in caso di scelta poco oculata, da parte dell’amministratore della fallita, dell’incaricato alla tenuta delle scritture contabili societarie, certamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilmente avvertito del fatto che, in tema di bancarotta semplice documentale, la colpa dell’imprenditore non è esclusa dall’affidamento a soggetti estranei all’amministrazione dell’azienda della tenuta delle scritture e dei libri contabili, perché su di lui grava, oltre all’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale “culpa in eligendo”, anche quella di controllarne l’operato (Sez. 5, n. 24297 del 11/3/2015, omissis, Rv. 265138; Sez. 5, n. 32586 del 10/7/2007, omissis, Rv. 237105).

La questione è, invece, relativa al fatto che vi sia prova o meno della condotta fraudolenta dell’amministratore nel gestire la contabilità societaria, ai sensi dell’art. 216, primo comma, n. 2, I. fall. e che questi tenti di liberarsi da tale responsabilità facendo leva su di una non meglio specificata competenza di un terzo soggetto, incaricato professionalmente, senza aggiungere particolari che avrebbero potuto e dovuto riempire di contenuto la prospettata estraneità del ricorrente all’attuazione di una modalità artatamente infedele della tenuta dei libri contabili.

Da qui, la genericità del motivo di ricorso.

Vale ricordare e ribadire, poi, alcune affermazioni risalenti di questa Corte regolatrice, ma assolutamente condivisibili (Sez. 5, n. 709 del 1/10/1998, dep. 1999, omissis, Rv. 212147), dalle quali si trae anche la conclusione di quanto il motivo di ricorso sia anche manifestamente infondato e fuori fuoco.

A norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., infatti, l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda.

Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa.

In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge.

E la considerazione fondamentale è che tali principi operano e sono validi sia nel caso di inquadrabilità della condotta in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale).

In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili – e nemmeno può rispondere soltanto del reato di bancarotta semplice – dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo.

Ovviamente, si tratta di una presunzione “iuris tantum”, di una presunzione semplice, che può essere vinta da rigorosa prova contraria (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 258947; Sez. 5, n….).

Prova della quale, tuttavia, il ricorrente si disinteressa completamente, non confrontandosi con la sentenza impugnata e con quella di primo grado e dando per scontato ciò che non corrisponde allo ius vivente, vale a dire che vi sia incompatibilità tra affidamento dell’incarico di tenere le scritture contabili ad un professionista esterno all’azienda fallita e configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale in capo all’amministratore o all’imprenditore.

Ed invece, deve ribadirsi il principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, omissis, Rv. 280133), con la precisazione che tale responsabilità può essere sia a titolo di bancarotta fraudolenta documentale che a titolo di bancarotta semplice, a seconda degli elementi concreti della fattispecie.

2.2. Il terzo ed il quarto motivo di censura sono egualmente inammissibili poiché nell’atto di appello non erano stati formulati argomenti specifici relativi alla sussistenza dell’aggravante della recidiva né al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

In ogni caso, la Corte d’Appello ha esplicitamente ritenuto congrua la sanzione determinata nei confronti dell’imputato, tenuto conto delle condotte poste in essere.

3. Il ricorso di A. S. Z. è inammissibile perché formulato in fatto, nel primo motivo, secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità, nonché per manifesta infondatezza.

In tema di giudizio di cassazione, infatti, sono precluse al giudice di legittimità – a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, omissis, Rv. 265482).

Nel caso di specie, il ricorrente porta avanti assertivamente la tesi della sua estraneità totale alla gestione della fallita, che avrebbe fatto capo unicamente a G. S. Z., di cui egli era un mero esecutore di ordini.

L’istruttoria dibattimentale, riassunta nella sentenza di primo grado, ha spiegato gli elementi sui quali si fonda l’affermazione di responsabilità del ricorrente in concorso nei reati ascrittigli; del resto, il suo ruolo di amministratore di diritto, nell’ambito di un chiaro contesto familiare aziendale, è stato anche piuttosto lungo (dal 16.10.2013 sino al fallimento dichiarato il 19.7.2017) e la sentenza d’appello ha confermato che tutti e tre gli imputati si sono occupati dell’impresa di famiglia, pur nella consapevolezza di una posizione gestoria prevalenze del dominus dell’azienda, G. S. Z. (che infatti ha subito un trattamento sanzionatorio più severo).

3.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente ha beneficiato della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di bilanciamento equivalente, che deve ritenersi confermato in modo consapevole dalla sentenza impugnata, sia pur imprecisa sul punto (verosimilmente per un refuso omissivo), là dove sottolinea di non ravvisare alcun elemento positivamente apprezzabile al fine di corrispondere alla richiesta difensiva relativa alle circostanze attenuanti generiche: ovviamente i giudici non potevano che riferirsi al miglioramento del giudizio di

bilanciamento quanto alle circostanze attenuanti generiche già concesse. I motivi comparativi riferiti alla posizione della coimputata C. C. sono, infine, del tutto irrilevanti, non potendosi equiparare le complessive condizioni che hanno determinato i giudici di merito a propendere, in suo favore, per la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante.

4. Il ricorso di M. Z.” è anch’esso inammissibile.

4.1. Il primo motivo è del tutto sovrapponibile a quello del coimputato A. S. Z., sicchè valgono le ragioni di inammissibilità e manifesta infondatezza già esposte al par. 3. Si aggiunga che, a dispetto della sottolineatura difensiva relativa alla durata non particolarmente lunga del ruolo di amministratore formale rivestito dal ricorrente (comunque consistente, in verità, e pari a circa un anno e mezzo), deve rilevarsi che la sentenza d’appello evidenzia un particolare significativo: al ricorrente erano riconducibili alcune delle quattro aziende coinvolte nella distrazione (cfr. pag. 6 della sentenza

impugnata).

4.2. Il secondo motivo di ricorso, sostanzialmente analogo al secondo motivo dell’impugnazione del coimputato A. S. Z., è inammissibile, infine, per le medesime ragioni già osservate al par. 3.1.

5. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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