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E’ necessario l’inizio di un procedimento penale per configurare il reato di calunnia?

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Cass. pen., sez. VI, 22/05/2024 (ud. 22/05/2024, dep. 06/06/2024), n. 22934 (Pres. Di Stefano, Rel. Di Geronimo)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, ai fini della configurabilità del reato di calunnia, è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di appello di Milano confermava la condanna dell’imputato in ordine ai reati di calunnia e minacce, riconoscendo le attenuanti generiche e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni uno e mesi otto di reclusione, confermando, altresì, la condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva per Cassazione e, tra le argomentazioni ivi addotte, costui sosteneva che, in relazione ad una lettera rispetto a quella da cui era scaturito il procedimento in questione, inviata al Presidente del Tribunale di Sondrio e il cui procedimento era stato inviato, per competenza, a Brescia, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’archiviazione del procedimento, proprio in considerazione della inverosimiglianza dello scritto.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva l’argomentazione suesposta infondata alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di calunnia non è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018).

I risvolti applicativi

Per configurare il reato di calunnia, non è richiesto l’avvio di un procedimento penale contro il calunniato, essendo sufficiente che l’accusa falsa contenga elementi sufficienti per un’azione penale contro una persona facilmente identificabile, fermo restando che, solo se l’accusa è così assurda da non poter ragionevolmente suggerire la possibilità del reato, manca l’elemento materiale della calunnia.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 22934 Anno 2024

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: DI GERONIMO PAOLO

Data Udienza: 22/05/2024

Data Deposito: 06/06/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

F. O., nato a … il …

avverso la sentenza del 9/11/2023 emessa dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo;

udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratore generale Perla Lori, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

udito l’Avvocato F. S., in qualità di difensore della parte civile …, nonché in sostituzione dell’Avvocato F. R., difensore della parte civile M. R. D. C., la quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata;

udito l’Avvocato A. A., difensore di O. F., il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano confermava la condanna dell’imputato in ordine ai reati di calunnia e minacce, riconoscendo le attenuanti generiche e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni uno e mesi otto di reclusione, confermando, altresì, la condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.

Nella sentenza impugnata, veniva ricostruita la genesi dei rapporti conflittuali insorti tra F. – medico in servizio presso … – e la persona offesa, M. R. D. C., con la quale si era rapportato in occasione di attività peritali svolte da quest’ultimo. L’imputato avrebbe inviato a R. due lettere anonime, contenenti gravi minacce, provvedendo anche ad inviare una lettera all’Agenzia delle entrate, con la quale accusava la persona offesa di essere un evasore fiscale, nonché ulteriori lettere a plurimi enti pubblici contenenti minacce e offese di vario genere, apponendo a falsa sottoscrizione di R..

2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato quattro motivi di ricorso.

2.1. Con il primo e secondo motivo, deduce la mancanza di motivazione in relazione alla condotta di calunnia contestata al capo 1), posto che la sentenza si sarebbe limitata a esporre le ragioni per cui le lettere, di cui al capo 2), dovevano ritenersi formate dal ricorrente, mentre nulla si diceva in merito alla paternità della lettera inviata all’Agenzia delle Entrate, con la quale si accusava R. di essere un evasore fiscale.

Inoltre, la Corte di appello avrebbe omesso di motivare in merito alla palese assurdità delle condotte addebitate a R. nella missiva in esame. Si assume che il tenore della lettera sarebbe di per sé dimostrativo dell’inverosimiglianza delle accuse, tant’è che gli organi inquirenti iscrivevano la notizia di reato a carico di ignoti, non configurando, neppure in astratto, l’addebitabilità di reati fiscali a carico di R..

2.2. Con il terzo e quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di calunnia nelle missive, a firma apocrifa di R., inviate a plurimi enti pubblici – Agenzia delle Entrate, Sindaco, Prefetto e Polizia Locale di Sondrio – contenenti offese e minacce di vario genere.

Anche in relazione a tali missive, si deduce che le stesse si risolverebbero in generiche frasi offensive, non univocamente riferibili a R. e inidonee a dar luogo all’avvio di un’indagine penale. Si tratterebbe, invero, di una mera manifestazione di inverosimili condotte delittuose, frutto di una perdita di controllo e di un irragionevole sfogo dell’autore delle missive.

Ad ulteriore riprova di tale assunto, la difesa sottolineava come in relazione ad altra lettera – dal contenuto identico rispetto a quelle di cui al capo 2) – inviata al Presidente del Tribunale di Sondrio e il cui procedimento era stato inviato, per competenza, a Brescia, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’archiviazione del procedimento, proprio in considerazione della inverosimiglianza dello scritto.

In punto di diritto, il ricorrente sostiene che tali lettere sarebbero inidonee a simulare la commissione del reato di cui agli art. 342 cod. pen., come ritenuto nella sentenza di appello.

Invero, il reato di oltraggio a corpo amministrativo presuppone che l’offesa sia rivolta all’organo nel suo complesso, mentre, nel caso di specie, le contumelie riguardavano essenzialmente la persona fisica cui le missive erano state indirizzate.

Neppure era configurabile il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, di cui all’art. 341-bis cod. pen. indicato nella contestazione, non essendo ravvisabile il requisito della percezione del fatto da parte di più persone.

3. Il difensore dell’I. depositava memoria difensiva con la quale chiedeva il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

2. I primi due motivi di ricorso concernono la condotta di calunnia ascritta al capo 1) e consistita nell’inviare al Diretto dell’Agenzia delle Entrate di Sondrio una lettera, a firma di A. A., con la quale si riferiva che R. era un evasore fiscale, che emetteva fatture false ed era titolare di conti correnti alle

Antille olandesi.

La prima censura attiene alla ricostruzione in fatto della condotta, sostenendo il ricorrente che la Corte di appello si era incentrata essenzialmente sulla ricostruzione delle condotte di cui al capo 2), mentre, per quanto riguarda il reato di cui al capo 1), nulla veniva specificato.

Invero, sia pur con motivazione sintetica, la Corte di appello ha dato atto degli elementi che consentono di ritenere che la lettera di cui al capo 1), così come quelle di cui al capo 2), siano state tutte inviate dall’imputato.

Sul punto, peraltro, la motivazione deve essere integrata da quella resa dal giudice di primo grado, il quale valorizzava il fatto che le buste impiegate per l’invio delle lettere erano tutte del medesimo tipo e della stessa marca, che identico era il modo di scrittura dell’indirizzo (con normografo e anteponendo il nome della città al codice postale).

A ben vedere, i giudici di merito hanno valorizzato la sostanziale convergenza delle plurime condotte calunniose, tutte realizzate con modalità similari e logicamente riferibili ad un unico soggetto, individuato nell’imputato con motivazione immune da censure di manifesta illogicità o contraddittorietà.

2.1. Parimenti infondata è la tesi secondo cui la missiva inviata all’Agenzia delle Entrate non conterrebbe fatti astrattamente idonei a dar luogo all’avvio di un procedimento penale, il che farebbe venir meno la configurabilità stessa del reato di calunnia.

Secondo un consolidato orientamento, ai fini della configurabilità del reato di calunnia non è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272754).

Sostiene il ricorrente che le accuse di essere un evasore fiscale sarebbero del tutto inverosimili e frutto di un’incontrollata manifestazione di avversione nei confronti di R., senza, tuttavia, che dalla lettera inviata all’Agenzia delle Entrate potesse sorgere il pericolo concreto dell’avvio di un procedimento penale.

La tesi non è condivisibile.

La giurisprudenza, nel limitare la configurabilità del reato di calunnia, ha fatto chiaramente riferimento a quelle ipotesi in cui la falsa accusa contiene in sé elementi di inverosimiglianza tali da essere ictu oculi percepiti.

Nel caso di specie, invece, l’accusa mossa a R. non si sostanziava nell’indicazione di circostanze assurde, inverosimili o grottesche, bensì di attribuivano fatti specifici e, peraltro, consistenti in condotte potenzialmente attribuibili dal soggetto che svolge attività libero-professionale.

Occorre evidenziare, in particolare, che l’accusa di emettere fatture false, è astrattamente idonea ad attribuire al calunniato la commissione del reato di cui all’art. 8 d.lgs. 30 marzo 2000, n. 74.

Né è dirimente il fatto che, in concreto, alla lettera contente le accuse nei confronti di R. non sia conseguito l’avvio di un procedimento penale, in considerazione della natura di reato di pericolo della calunnia.

3. È fondato, invece, il motivo di ricorso volto a censurare la configurabilità del reato di calunnia in relazione alle missive, contenenti offese e minacce di vario genere, inviate a plurime autorità pubbliche di cui al capo 2).

L’elemento centrale è costituito dalla possibilità o meno che le lettere integrassero gli estremi del reato di cui all’art. 342 cod. pen., la cui commissione veniva simulata da parte di R., mediante la sottoposizione della sua firma apocrifa.

Sostiene il ricorrente che le lettere non contenevano offese dell’intero organo amministrativo, essendo dirette unicamente al singolo destinatario.

Invero, il tenore letterale delle missive dimostra chiaramente come l’oltraggio non era limitato al solo vertice amministrativo cui la lettera era indirizzata, bensì riguardava l’intero corpo, tant’è che le offese e le minacce erano formulate al plurale.

3.1. La sentenza, tuttavia, deve essere annullata con riguardo a tale capo, dovendosi provvedere ad una rivalutazione nel merito della configurabilità del reato presupposto, individuato nella fattispecie di cui all’art.342 cod. pen.

L’art. 342, comma 2, cod. pen. contempla espressamente la possibilità che il reato in questione sia commesso con scritto, specificando che l’offesa deve essere collegata all’esercizio delle sue funzioni.

Si tratta di un requisito ulteriore e diverso da quello richiesto dall’art. 342, comma 1, cod. pen. che, nel caso di oltraggio arrecato “al cospetto” dell’organismo pubblico, non richiede anche che questo sia commesso “a causa delle sue funzioni”.

La differenza è, evidentemente, dettata dal fatto che nel caso di oltraggio in presenza l’offesa è direttamente collegata all’attualità dell’esercizio della funzione; qualora, invece, l’oltraggio sia commesso con atto scritto, è necessario che dallo stesso emerga il collegamento rispetto alla funzione esercitata.

Nel caso di specie, le missive inviate alle indicate autorità amministrative si risolvevano in plurime frasi offensive e minacciose, senza che la Corte di appello abbia chiarito se e in che misura le stesse potessero ritenersi collegate all’esercizio delle funzioni.

Trattando di valutazione di merito, attinente alla ricostruzione in punto di fatto di uno degli elementi costitutivi del reato, la sua verifica presuppone l’annullamento con rinvio.

Peraltro, nel rivalutare la fattispecie, la Corte di appello dovrà anche verificare se le minacce contenute nelle lettere di cui al capo 2), possano o meno ritenersi astrattamente configurare reati, diversi da quello previsto dall’art. 342 cod. pen. procedibiii d’ufficio.

3.2. L’annullamento della sentenza con riguardo al suddetto profilo, comporta l’assorbimento delle restanti questioni sollevate dal ricorrente che, eventualmente, potranno rilevare solo ove il giudice del rinvio dovesse individuare un reato presupposto, procedibile d’ufficio, dalla cui falsa incolpazione possa derivare il reato di calunnia.

In caso di esito negativo, invece, il giudice di appello dovrà procedere alla rideterminazione della pena, scomputando la porzione di sanzione irrogata con riguardo al capo 2), nonché alla rimodulazione della condanna disposta in favore delle parti civili con riguardo a tale capo della sentenza.

4. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla condanna resa con riguardo al capo 2), dovendo il giudice del rinvio procedere a nuovo giudizio sulla scorta dei principi sopra indicati.

Il rigetto dei motivi relativi al capo 1) e la mancata impugnazione relativamente al capo 3) determinano la definitività dell’accertamento di responsabilità e la conseguente conferma delle statuizioni civili relativamente a tali capi, salva la rivalutazione in merito alle domande risarcitorie collegate al capo 2).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo 2) e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio su tale capo.

Rigetta il ricorso nel resto.

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