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Condotta di partecipazione all’associazione mafiosa: criteri e configurazione

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Cass. pen., sez. II, 09/02/2024 (ud. 09/02/2024, dep. 07/02/2024), n. 9840 (Pres. Rago, Rel. Recchione)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 416-bis)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava in che modo possa ritenersi taluno partecipe di un sodalizio mafioso.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento, a fronte del fatto che il Tribunale per il riesame delle misure cautelari di Palermo aveva annullato un’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato ad un indagato la massima misura cautelare per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa, la pubblica accusa proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge (art. 416-bis cod. pen.) e vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto fondato.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, in punto di diritto, prima di tutto richiamando quell’orientamento nomofilattico secondo cui la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, fermo restando che siffatta partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi facta condudentia -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005).

Oltre a ciò, era altresì fatto presente che: 1) l’affiliazione rituale può costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d’esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serietà ed effettività, espressione di un “patto reciprocamente vincolante” e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione, oltre ad essere stati inclusi, tra gli indici valutabili dal giudice, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l’altro, ai poteri di chi propone l’affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilità pretesa od offerta (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021);  2) a fondamento del riconoscimento della partecipazione, vi sono la serietà e reciprocità del “vincolo” che lega il partecipe agli altri consociati e la dimostrazione di un “contributo effettivo” del partecipe alla vita del consorzio criminale, escludendo dall’area della partecipazione le condotte di “continguità compiacente”, ovvero quelle che esprimono la “accettazione” del potere mafioso e del correlato governo illecito del territorio, senza l’offerta di un contributo effettivo; 3) la condotta non penalmente rilevante di mera “contiguità compiacente”, così come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio mafioso, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2015); 4) la distinzione della condotta di “partecipazione” da quella che esprime solo “contiguità” non può che essere effettuata valorizzando le massime di esperienza, tratte dalla decennale discovery giudiziaria dei comportamenti tipici degli associati alle “mafie storiche”, che consentono di decodificare comportamenti ed azioni, verificandone la compatibilità con le dinamiche relazionali delle mafie; 5) ai fini della valutazione dei fatti di criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tener conto anche delle indagini storico sociologiche, sebbene con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione; tali dati sono infatti utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, ogni volta che ne sia stata valutata l’effettiva idoneità ad essere assunti ad attendibili “massime di esperienza”, senza che ciò, peraltro, lo esima dal dovere di ricerca delle prove indispensabili per l’accertamento della fattispecie concreta oggetto del giudizio (Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007; Sez. 1, 5/01/1999, n. 84).

Orbene, per la Corte di legittimità, il Tribunale di merito non si era correttamente attenuto a tali principi di diritto, anche perché aveva proceduto ad una lettura erronea del compendio indiziario.

Di conseguenza, l’ordinanza impugnata era annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

I risvolti applicativi

La partecipazione all’associazione mafiosa è caratterizzata da un legame stabile e organico con la struttura del gruppo, implicando un ruolo dinamico e funzionale che, a sua volta, va oltre una mera appartenenza, coinvolgendo un coinvolgimento attivo nella realizzazione degli scopi criminali comuni del sodalizio.

Ad ogni modo, tale partecipazione può essere dedotta da indicatori fattuali, come comportamenti passati, affiliazione rituale, commissione di reati, e altri segni rilevanti, purché siano gravi e precisi, fermo restando però che tali elementi non costituiscono automaticamente prova di appartenenza, ma insieme possono indicare in modo convincente la persistenza del legame, con particolare attenzione al periodo temporale considerato nell’accusa.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 9840 Anno 2024

Presidente: RAGO GEPPINO

Relatore: RECCHIONE SANDRA

Data Udienza: 09/02/2024

Data Deposito: 07/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO

nel procedimento a carico di:

M. G. nato a V. il …

avverso l’ordinanza del 10/11/2023 del TRIBUNALE di PALERMO

udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;

il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020,

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Avv. A. S., con memoria, instava per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari di Palermo annullava l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a G. M. la massima misura cautelare per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa storica denominata “…” e, segnatamente, alla famiglia mafiosa di V..

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il pubblico ministero che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 416-bis cod. pen.) e vizio di motivazione: il tribunale avrebbe offerto una motivazione illogica in quanto non avrebbe valutato i molteplici e convergenti indizi che indicherebbero chiaramente la colpevolezza di G. M. per il reato contestato, ritenendoli – illogicamente – indicativi solo di una “contiguità” non punibile, invece che di una conclamata partecipazione all’associazione mafiosa. Segnatamente si deduceva: (a) che la conversazione del 20 febbraio 2022 indicherebbe che M. aveva fornito a T., vertice della famiglia mafiosa di V., delle informazioni importanti per la gestione del territorio (relative al taglio “non autorizzato” di alberi); (b) che le successive conversazioni nel corso delle quali M. criticava T. non sarebbero incompatibili con l’appartenenza all’associazione mafiosa, ma, anzi, indicative della sua intraneità, in quanto la condivisione delle critiche a T. si fondava sul fatto che egli era a conoscenza di notizia “riservate” relative alla vita del sodalizio; (c) che la conversazione del 26 aprile 2021 indicherebbe che M. aveva

fornito un concreto contributo all’associazione, dato che lo stesso espressamente diceva che “aveva fatto del bene” a T. e che, pertanto, questi non avrebbe dovuto preferirgli altri; (d) che l’attivismo dimostrato nella gestione di una compravendita di pecore e di un terreno, di interesse rispettivamente di A. V. ed O. G., indicherebbe non una mera “contiguità”, ma una cointeressenza nella gestione del

territorio, indicativa della partecipazione all’associazione mafiosa che si esprime anche attraverso la gestione “mafiosa” delle controversie; (e) che erano emerse intenzioni estorsive di M. poste in essere con modalità tipicamente mafiose nella trattativa per il terreno di proprietà di M. F.; (f) che dalle intercettazioni era emerso che l’associato B., aveva detto a M. che egli poteva interloquire con terzi, al suo posto “come se fosse lui stesso”; (g) che dalla conversazione del 14 novembre 2021 era emerso che B. aveva presentato M. alla famiglia mafiosa di Trapani, e, segnatamente, ad A. G..

In sintesi: si deduceva che il complesso delle emergenze investigative, poste alla base della ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere, sarebbero univocamente indicative, se lette unitariamente, del fatto che M. era un imprenditore a disposizione del sodalizio, dato che condivideva con l’organizzazione informazioni per la gestione ed il controllo del territorio, partecipava alla risoluzione delle controversie, era a conoscenza di informazioni particolarmente riservate relative alla vita dell’associazione ed era stato “presentato” ai componenti della famiglia mafiosa di V..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è fondato.

1.1. Il collegio riafferma che la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi facta condudentia -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, omissis, Rv. 231670 – 01).

Si è poi affermato che l’affiliazione rituale può costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d’esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serietà ed effettività, espressione di un “patto reciprocamente vincolante” e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione. La Corte ha incluso, tra gli indici valutabili dal giudice, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l’altro, ai poteri di chi propone l’affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilità pretesa od offerta (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, omissis, Rv. 281889 – 02).

Si è coerentemente affermato che la condotta non penalmente rilevante di mera “contiguità compiacente”, così come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio mafioso, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, omissis, Rv. 268325 – 01; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2015, omissis, Rv. 263953).

La giurisprudenza ha dunque posto a fondamento del riconoscimento della partecipazione la serietà e reciprocità del “vincolo” che lega il partecipe agli altri consociati e la dimostrazione di un “contributo effettivo” del partecipe alla vita del consorzio criminale, escludendo dall’area della partecipazione le condotte di “continguità compiacente”, ovvero quelle che esprimono la “accettazione” del potere mafioso e del correlato governo illecito del territorio, senza l’offerta di un contributo effettivo.

La distinzione della condotta di “partecipazione” da quella che esprime solo “contiguità” non può che essere effettuata valorizzando le massime di esperienza, tratte dalla decennale discovery giudiziaria dei comportamenti tipici degli associati alle “mafie storiche”, che consentono di decodificare comportamenti ed azioni, verificandone la compatibilità con le dinamiche relazionali delle mafie.

Si riafferma inoltre che ai fini della valutazione dei fatti di criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tener conto anche delle indagini storico sociologiche, sebbene con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione; tali dati sono infatti utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, ogni volta che ne sia stata valutata l’effettiva idoneità ad essere assunti ad attendibili “massime di esperienza”, senza che ciò, peraltro, lo esima dal dovere di ricerca delle prove indispensabili per l’accertamento della fattispecie concreta oggetto del giudizio (Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, omissis, Rv. 268403; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008, omissis, Rv. 238838, Sez. 1, 5/01/1999, n. 84, omissis, Rv. 212579).

1.2 Sotto il profilo della tecnica di valutazione dei compendi probatori di matrice indiziaria il collegio ribadisce che il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 – 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, omissis, Rv. 266941).

1.3. Tanto premesso il collegio ritiene che la motivazione del provvedimento impugnato che inquadra la condotta di M. come espressione di “contiguità” e non di “partecipazione”, (a) non sia rispettosa delle regole di valutazione della prova indiziaria, in quanto effettua una valutazione parcellizzata degli indizi svalutandone la singola capacità dimostrativa, senza effettuare una valutazione “unitaria” dei molteplici elementi raccolti, (b) svaluti la capacità dimostrativa dei singoli indizi senza effettuare

alcun confronto con le massime di esperienza tratte dalla pluriennale esperienza giudiziaria, che ha svelato le dinamiche relazionali delle mafie storiche impegnate, in Sicilia, nel controllo del territorio.

Sono emerse infatti condotte che testimoniano come M. fosse attivo nel passaggio di informazioni (come nella vicenda relativa allo “sgarro” del taglio di alberi) e nel dirimere le controversie (quelle che interessavano A. V. ed O. G.), poi risolte con l’intervento dell’associazione. E che lo stesso avesse manifestato intenzioni estorsive utilizzando un lessico pienamente evocativo del metodo mafioso. Invero l’esperienza giudiziaria ha consentito di rilevare che il controllo del territorio e la gestione “privata” delle controversie siano manifestazioni tipiche della attività di Cosa nostra in Sicilia.

E’ stato inoltre svalutato sia il fatto che M. fosse in continuo contatto con i vertici dell’associazione, con i quali condivideva informazioni riservate, nonostante le massime di esperienza escludano che gli associati “condividano” tale informazioni con persone non intranee, sia il fatto che B., associato, avesse mostrato nei confronti di M. massima fiducia dicendogli «che la tua parola è la stessa di quando ci sono io».

In sintesi: appare carente sia il confronto con le massime di esperienza, sia la valutazione “unitaria” del multiforme compendio indiziario. Il Tribunale, in sede di rinvio, dovrà rivalutare pertanto gli elementi di prova raccolti, al fine di verificare se le condotte emerse siano espressione sia di un “contributo” effettivo di M. alla attività della famiglia mafiosa di V., sia della sua “costante disponibilità” a partecipare alla stessa.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.

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