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Applicabilità dell’aggravante del nesso teologico: ricorre anche nel caso di estinzione del reato fine per prescrizione?

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Cass. pen., sez. I, 24/11/2023 (ud. 24/11/2023, dep. 14/03/2024), n. 10901 (Pres. Di Nicola, Rel. Fiordalisi)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 61, co. 1, n. 2)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Cassazione nel caso di specie, riguardava se l’aggravante del nesso teologico sia applicabile anche in caso di estinzione del reato fine per prescrizione.

Ma, prima di vedere come la Suprema Corte ha affrontato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la decisione qui in commento.

La Corte di Appello di Torino, in sede di rinvio e in parziale riforma di una sentenza adottata dal Tribunale della medesima città, aveva condannato l’imputato alla pena di anni due di reclusione in ordine al reato di bancarotta fraudolenta aggravata, ai sensi degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 219, primo e secondo comma, n. 1, R.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la circostanza aggravante del nesso teleologico, prevista dall’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen., trova applicazione anche in caso di estinzione del reato fine per prescrizione, in quanto la predetta causa estintiva non incide sul fatto complessivamente contestato (Sez. 5, n. 34983 del 24/09/2020).

I risvolti applicativi

Fermo restando che, come è noto, l’art. 61, co. 1, n. 2, c.p. prevede, quale circostanza aggravante comune, quella consistente nell’“aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato”, per quanto concerne l’aggravante del nesso teleologico, essa si applica anche quando il reato fine è estinto per prescrizione, poiché questa causa di estinzione non influenza il reato nel suo complesso.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 10901 Anno 2024

Presidente: DI NICOLA VITO

Relatore: FIORDALISI DOMENICO

Data Udienza: 24/11/2023

Data Deposito: 14/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V. C. nato a … il …

avverso la sentenza del 28/03/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ETTORE PEDICINI che ha concluso chiedendo

PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA.

udito il difensore

RITENUTO IN FATTO

1. V. C. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 28 marzo 2023, che, in sede di rinvio e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 22 gennaio 2014, lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione in ordine al reato di bancarotta fraudolenta aggravata, ai sensi degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 219, primo e secondo comma, n. 1, R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (capo a), perché in concorso con O. L. (giudicato separatamente), nella qualità di titolare dell’impresa individuale A. di V. C., dichiarata fallita dal Tribunale di Torino con sentenza del 26 ottobre 2006, aveva distratto ed occultato beni e attività aziendali per un valore complessivo di oltre due milioni di euro, pari al disavanzo contabilmente non giustificato da oneri e perdite di gestione.

Il Tribunale di Torino aveva condannato l’imputato alla pena di anni sei di reclusione, dopo aver accertato la sussistenza di un’ulteriore condotta distrattiva relativa alle attività della A.T.I. C. di cui al capo a e dopo aver riconosciuto la responsabilità dell’imputato anche in ordine ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione infedele, di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 di cui al capo b.

La Corte di appello di Torino, a seguito di impugnazione dell’imputato, con sentenza del 29 novembre 2019, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato in ordine all’ulteriore condotta distrattiva relativa ai lavori presso l’hotel C. di P. di cui al capo a e aveva dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di cui al capo b, in quanto estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena in anni tre di reclusione.

A seguito di ricorso dell’imputato, la Corte di cassazione con sentenza del 24 gennaio 2022 ha parzialmente annullato la sentenza della Corte territoriale, dopo aver rilevato la fondatezza de terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali l’imputato aveva contestato la sussistenza della circostanza aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. e della circostanza aggravante ex art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen.

La Corte di cassazione, inoltre, ritenuti assorbiti il sesto e il settimo motivo di ricorso (relativi al trattamento sanzionatorio e alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena di cui alla sentenza della Corte di appello di Torino del 19 maggio 2000, definitiva il 23 febbraio 2001), ha annullato su tali punti la sentenza di secondo grado, rigettando nel resto il ricorso.

La Corte di appello, con la sentenza oggi impugnata, in parziale accoglimento dell’atto di appello, ha riqualificato la recidiva reiterata in recidiva semplice e ha rideterminato la pena finale in anni due di reclusione, rigettando nel resto l’impugnazione.

2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 99 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe applicato la circostanza aggravante della recidiva ex art. 99, primo comma, cod. pen.,

nonostante il precedente in capo all’imputato fosse caratterizzato dal reato di bancarotta semplice, punito astrattamente da dolo o da colpa in modo indifferenziato.

Il ricorrente, quindi – dopo aver sottolineato che la recidiva semplice può essere applicata solo quando un soggetto sia stato già condannato per un delitto non colposo – evidenzia che il giudice di merito, non avendo in concreto accertato l’effettiva natura dolosa o colposa della precedente penale, non avrebbe potuto applicare la recidiva.

2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe applicato la circostanza aggravante del nesso teleologico, nonostante non vi fossero i presupposti, posto che non vi era prova della connessione eziologica tra il reato di bancarotta fraudolenta e i reati di frode fiscale (oggi prescritti).

In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare che non era possibile affermare che, al fine di evadere le tasse, era emersa la necessità per l’imputato di falsificare i bilanci, i libri e le altre scritture contabili, posto che, nei primi due esercizi, la ditta individuale aveva operato in contabilità semplificata e senza tenere i libri contabili obbligatori di cui all’art. 2214 cod. civ., condotta che non poteva essere ritenuta equipollente alla falsificazione delle scritture.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità.

In tal senso, si evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che, ai fini dell’esclusione della recidiva, poiché il reato di bancarotta semplice non ha natura esclusivamente colposa, ma può assumere natura dolosa o colposa a seconda delle circostanze di fatto, spetta all’imputato fornire la prova del carattere colposo del reato, quanto meno mediante l’esibizione della copia integrale della sentenza di condanna (Sez. 5, n. 38436 del 04/07/2012, omissis, Rv. 253743).

Nel caso di specie, invece, l’imputato non ha soddisfatto tale onere, essendosi limitato a rilevare genericamente che il giudice di merito non avrebbe potuto applicare la recidiva semplice, posto che, in astratto, il reato di cui al precedente penale era punibile sia per colpa che per dolo.

1.2. Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità.

Primariamente, si evidenzia che la circostanza aggravante del nesso teleologico, prevista dall’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen., trova applicazione anche in caso di estinzione del reato fine per prescrizione, in quanto la predetta causa estintiva non incide sul fatto complessivamente contestato (Sez. 5, n. 34983 del 24/09/2020, omissis, Rv. 280480-02).

Nel caso di specie, il ricorrente, non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che, dall’istruttoria dibattimentale, era emerso che le scritture contabili, pur formalmente tenute, erano risultate completamente inattendibili e viziate da ripetute e gravi falsificazioni relative all’esposizione nei bilanci di costi fittizi e crediti IVA inesistenti.

Pertanto, le alterazioni contabili che avevano fondato l’addebito di bancarotta documentale erano state poste in essere sia al fine di recare pregiudizio ai creditori sia allo scopo di realizzare le frodi tributarie di cui al capo b, sicché l’imputato aveva agito anche al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e, per tale ragione, aveva avuto la necessità di falsificare i bilanci, i libri e le altre scritture contabili.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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