Cass. pen., sez. VI, 28/02/2024 (ud. 28/02/2024, dep. 07/03/2024), n. 9856 (Pres. Di Stefano, Rel. Pacilli)
(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 275, co. 3)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
- Sentenza commentata
La questione giuridica
Fermo restando che, come è noto, l’art. 275, co. 3, terzo periodo, c.p.p. prevede che, salvo “quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”, la Cassazione, nella decisione in esame, ha affrontato la questione giuridica consistente nel verificare se anche il fattore temporale sia annoverabile tra gli elementi dai quali risulta che non sussistono esigenze cautelari, a cui fa riferimento la norma procedurale appena citata.
Ebbene, prima di vedere come la Suprema Corte ha dato risposta a siffatto quesito, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza in oggetto.
Il Tribunale di Catanzaro – Sezione per il riesame delle misure cautelari confermava un provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città, con cui era stata applicata all’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ad un caso di tentata estorsione aggravata.
Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva motivazione apparente quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari per essere stata richiamata in maniera apodittica la caratura criminale del ricorrente ed essere stata negata la valenza del tempo trascorso dalla condotta iniziale, senza analizzare il percorso di esecuzione della pena, compiuto dal ricorrente.
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Il Supremo Consesso reputava la doglianza summenzionata infondata sulla scorta del seguente orientamento nomofilattico: in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale, privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità. Il tempo, infatti, può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 53028 del 6/11/2017; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016).
In effetti, per i giudici di piazza Cavour, tale approdo ermeneutico era stata correttamente osservato nel caso in esame avendo il Tribunale, da un lato, rilevato l’assenza di elementi in grado di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari ovvero l’inadeguatezza di misure meno afflittive, dall’altro, preso in considerazione anche il tempo decorso dai fatti, che aveva ritenuto non idoneo ad attenuare o eliminare le esigenze cautelari in ragione delle circostanze espressamente indicate.
I risvolti applicativi
In materia di misure cautelari per reati, in relazione a quanto statuito dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, nonostante sia ivi prevista una presunzione relativa di necessità di tali misure, il giudice deve comunque considerare esplicitamente il tempo trascorso dai fatti contestati, essendo tale valutazione particolarmente importante in presenza di un lungo periodo senza condotte ulteriori dell’indagato che dimostrino una persistente pericolosità.
La considerazione del tempo, del resto, è rilevante poiché può essere uno degli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari” come indicato nell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, specialmente in seguito alla riforma introdotta dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, e seguendo un’interpretazione costituzionalmente orientata di questa presunzione.
Sentenza commentata
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9856 Anno 2024
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA
Data Udienza: 28/02/2024
Data Deposito: 07/03/2024
SENTENZA,
sul ricorso proposto da
L. R. P., nato a … il …
avverso l’ordinanza emessa il 26/9/2023 dal Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso;
udito l’Avv. F. B., in sostituzione dell’Avv. G. S. V., difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 26 settembre 2023 il Tribunale di Catanzaro – Sezione per il riesame delle misure cautelari ha confermato il provvedimento emesso il 9 giugno 2023 dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città, con cui a P. L. R. è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di tentata estorsione aggravata nei confronti di M. R., titolare della società F. D. s.r.l.
2. Secondo il giudizio conforme dei giudici della cautela, M. R., titolare della società assegnataria dei lavori di messa in sicurezza di un sito pubblico in M. da destinare ad attività commerciale e produttiva, era stato avvicinato da un tale P., identificato nel ricorrente, pluripregiudicato e affiliato di rilievo della ‘ndrina L. R. di T., subordinata alla locale di L., al fine di ottenere un introito di matrice estorsiva. M. R. aveva riferito a P. L. R. che la ditta, per la quale lavorava, aveva già un accordo con F. B. e che avrebbe dovuto parlare con quest’ultimo.
3. Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, il quale ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Violazione di legge e vizi della motivazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il Tribunale avrebbe in maniera autoreferenziale affermato che il P. di cui si parla nelle conversazioni intercettate era il ricorrente ma non avrebbe spiegato, come invece chiesto dalla difesa con la memoria depositata, perché “P.” fosse proprio il ricorrente, atteso che solo fra parentesi, nella trascrizione ad opera della Polizia giudiziaria, era stato inserito il riferimento a “P. L. R. noto del Comune di T.”. Il Tribunale non avrebbe chiarito come fosse possibile operare un collegamento fra
il colloquio (progr. 242) delle ore 13:11 con un altro avvenuto fra soggetti parzialmente differenti ore dopo, ossia alle 18:16. Peraltro, il ricorrente, nell’epoca di riferimento, era in esecuzione di pena ex art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990 presso una comunità di recupero, sita in Catanzaro, e il Tribunale non avrebbe avuto prova che vi fosse stato un allontanamento non consentito.
3.2. Violazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. e illogicità della motivazione. Il Tribunale avrebbe fatto riferimento alla condotta, senza però che si conoscesse alcunché in merito alle modalità dell’incontro, e avrebbe elevato a prova un dato meramente naturalistico, ossia il vincolo di sangue tra il ricorrente ed esponenti del clan L. R.. Anche l’affermazione della finalità della condotta sarebbe mera clausola di stile.
3.3. Motivazione apparente quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, per essere stata richiamata in maniera apodittica la caratura criminale del ricorrente ed essere stata negata la valenza del tempo trascorso dalla condotta iniziale (4 anni), senza analizzare il percorso di esecuzione della pena, compiuto dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Riguardo al primo motivo deve rilevarsi che il Tribunale ha affermato che nelle conversazioni intercettate si faceva riferimento sia al lavoro pubblico, oggetto della presente vicenda, sia a P. L. R. e alla volontà della famiglia mafiosa, di cui questi fa parte, di approfittare della lacuna lasciata dal detenuto G. A. per sfruttare nuove occasioni di locupletazione criminale.
Considerato che il ricorrente si chiama P., è di T. ed appartiene alla famiglia L. R., interessata ai lavori di messa in sicurezza di un sito pubblico in M., da destinare ad attività commerciale e produttiva, deve rilevarsi che non si ravvisano fratture logiche nella riconducibilità dell’approccio estorsivo al ricorrente.
Del pari, non si ravvisano vizi nell’avere il Tribunale affermato che le prescrizioni, a cui era sottoposto il ricorrente, in stato di affidamento in prova ai servizi sociali, non erano incompatibili con un suo allontanamento dalla struttura in cui era domiciliato.
Le censure, sollevate dal ricorrente, non riescono, quindi, a scalfire l’ordito motivazionale del provvedimento impugnato e sono tese ad ottenere una non consentita valutazione degli elementi valorizzati dal giudice del riesame.
Giova ricordare che il ricorso per cassazione, con cui si deducano vizi della motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, consente a questa Corte, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti all’adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (si veda, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, omissis, Rv. 276976 – 01).
3. Il secondo motivo del ricorso, relativo all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., è privo di specificità.
Il Tribunale ha rilevato che le modalità della condotta avevano evocato il fondato timore per la vittima che le ritorsioni, da subire nel caso del mancato pagamento della cifra richiesta a titolo estorsivo, sarebbero state perpetrate dal gruppo mafioso e non già dal singolo; d’altro canto, la caratura criminale del ricorrente, fratello dei vertici criminali della ‘ndrina L. R., era indice del controllo mafioso e capillare sul tessuto economico e produttivo e sui proventi derivanti dai lavori pubblici.
A fronte di tali argomentazioni deve rilevarsi che quanto rappresentato dal Collegio del merito, per il contesto in cui le vicende erano maturate e la riferibilità delle condotte alla ‘ndrina dei L. R., rende, dunque, contezza della concreta integrazione dell’aggravante del metodo mafioso contestata, avendo
l’agente, in quel contesto territoriale, ingenerato nella vittima la consapevolezza di subire un danno per mano della criminalità organizzata e di dover fronteggiare la reazione del gruppo, non già del singolo, in caso di inottemperanza alle richieste.
Questa Corte (ex multis: Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, omissis, Rv. 269938 – 01) ha già avuto modo di affermare che l’aggravante del metodo mafioso ha natura oggettiva e risponde all’avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo tutte le volte in cui l’evocazione della rappresentata (e non necessariamente esistente) contiguità a una organizzazione mafiosa pone la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di estorsione, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che quelle di un criminale comune.
3.1 Del pari immune da vizi è la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui è stata ritenuta sussistente l’aggravante di ali all’art. 416 bis.1 cod. pen. sotto il profilo dell’agevolazione.
La condotta, tenuta dal ricorrente, infatti, ha avuto la finalità di portare ausilio alla consorteria dei L. R., che quello scopo estorsivo perseguiva. Ricorrono pertanto i presupposti di fatto, opportunamente valorizzati dal giudice di merito, per il riconoscimento dell’aggravante ad effetto speciale, contestata nella sua duplice declinazione.
4. Il motivo sulle esigenze cautelari è infondato.
Il Tribunale ha affermato che il tempo decorso dai fatti, avvenuti ad ottobre 2019, non attenuava le esigenze di cautela, atteso che «non poteva che essere rimarcato il contesto di consumazione del fatto di reato addebitato, concernente l’esazione di contributi di matrice estorsiva dagli operatori economici sul territorio inquinato da tale dinamica mafiosa, dalla personalità negativa del ricorrente (che è gravato da gravissimi precedenti, anche per reati di stampo mafioso), che si configura come un soggetto apicale della ‘ndrina omonima».
Al riguardo deve ricordarsi che questa Corte ha già affermato che, in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale, privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità. Il tempo, infatti, può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 53028 del 6/11/2017, omissis, Rv. 271576 – 01; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, omissis, Rv. 267995 – 01).
Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato l’assenza di elementi in grado di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari ovvero l’inadeguatezza di misure meno afflittive e ha preso in considerazione anche il tempo decorso dai fatti, che ha ritenuto non idoneo ad attenuare o eliminare le esigenze cautelari in ragione delle circostanze espressamente indicate.
Si tratta, quindi, di una motivazione adeguata e logica, come tale non sindacabile.
5. Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.