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Continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine: quando sussiste?

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Cass. pen., sez. I, 27/03/2024 (ud. 27/03/2024, dep. 27/06/2024), n. 25497 (Pres. Boni, Rel. Mele)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando è ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava un’istanza volta ad ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’istante ricorreva per Cassazione, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 81 cpv. cod. pen., nonché vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale è ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio atteso che, ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie associativa (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020; conf.: Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017).

I risvolti applicativi

Può esserci una connessione tra il reato di partecipazione ad un’associazione mafiosa e altri reati commessi, a condizione che il giudice verifichi attentamente che questi reati siano stati pianificati al momento in cui il soggetto ha deciso di entrare nell’associazione dato che, ragionamento diversamente, si rischierebbe di stabilire automaticamente una connessione tra tutti i reati commessi all’interno dell’associazione, implicando un’applicazione automatica delle norme sulla continuazione dei reati e delle relative sanzioni.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 25497 Anno 2024

Presidente: BONI MONICA

Relatore: MELE MARIA ELENA

Data Udienza: 27/03/2024

Data Deposito: 27/07/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. M. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 14/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA ELENA MELE;

lette le conclusioni del PG FERDINANDO LIGNOLA, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 14 settembre 2023, la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da M. F. volta ad ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:

1) Sentenza della Corte d’appello di Napoli del 27.9.2021, irrevocabile il 2.12.2022, di condanna alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 2.100 di multa per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso in data 5.11.2004, con condotta perdurante, e per plurimi episodi estorsivi, aggravati ai sensi dell’art. 7, d.l. n. 203 del 1991, commessi nel 2006, ritenuta la continuazione con il reato giudicato con la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 14.01.2009;

2) Sentenza della Corte d’appello di Napoli in data 8.10.2013, irrevocabile 1’8.01.2016, di condanna alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione ed euro 200,00 di multa per i delitti di porto e detenzione di arma comune da sparo commessi il 16.01.2019, in San Nicola la Strada;

3) Sentenza della Corte d’appello di Napoli in data 6.12.2013, irrevocabile il 22.10.2014, di condanna alla pena di anni 3 e mesi 10 di reclusione ed euro 1.600,00 di multa per i delitti di porto e detenzione di arma aggravati ai sensi dell’art. 7, d. n. 203 del 1991, commessi nell’anno 2008 in Qualiano;

4) Sentenza della Corte d’appello di Napoli in data 16.10.2017, irrevocabile il 26.03.2019, di condanna alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 6.000,00 di multa per plurimi episodi estorsivi aggravati ai sensi dell’art. 7, d. n. 203 del 1991, commessi negli anni 2009-2010, in Maddaloni, Marcianise, Casal di Principe e comuni limitrofi.

2. Avverso tale ordinanza il F. ha proposto ricorso per cassazione.

Con l’unico motivo di censura ha denunciato la violazione di legge in relazione all’art. 81 cpv. cod. pen., nonché il vizio di motivazione. Le conclusioni cui è giunta la Corte d’appello sarebbero arbitrarie in quanto, benché fossero cambiate le politiche nei rapporti con gli altri clan, il sodalizio criminale di cui il F. faceva parte continuava a svolgere la medesima attività, imponendo la propria egemonia sul territorio casertano attraverso la commissione dei reati fine di estorsione dagli anni ’90 fino al 2010. Aprioristica sarebbe l’affermazione per cui il riassetto organizzativo del vertice del clan dopo l’omicidio di A. avrebbe comportato una discontinuità nel programma criminoso, non avendo la Corte d’appello tenuto conto degli elementi addotti dalla difesa. Inoltre, la stessa indole dei reati per i quali F. veniva condannato, la medesima finalità di agevolare il clan di appartenenza, l’omogeneità del contesto spazio-temporale in cui gli stessi erano stati posti in essere avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della continuazione.

3. Il Procurare generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

2. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento della continuazione postula, sia in fase di cognizione che in sede di esecuzione, la programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte grossomodo delineate (“disegnate”) in vista di un unico fine. Ciò richiede pertanto la verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del

18/05/2017, omissis, Rv. 270074).

Sul piano probatorio, il condannato che, in sede di esecuzione, invochi l’applicazione della disciplina della continuazione, ha l’onere di allegare elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria, al fine di evitare che la previsione di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione del reato, rendendo evanescente la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere (Sez. 3, n. 17738 del 14/12/2018, dep. 2019, omissis, Rv. 275451).

Spetta al giudice dell’esecuzione, tenuto conto delle allegazioni difensive e attraverso l’approfondita disamina dei casi giudiziari oggetto delle sentenze acquisite anche di ufficio, individuare i dati sostanziali di possibile collegamento (cfr. Sez. 1, 14188 del 30/3/2010, omissis, Rv. 246840).

3. Ciò posto, ritiene il Collegio che le censure del ricorrente siano in parte generiche ovvero non consentite perché, pur formalmente denunciando violazioni di legge e vizi motivazionali, nella sostanza, sollecitano la rilettura ed un diverso apprezzamento di elementi già presi in considerazione dal giudice dell’esecuzione, operazione pacificamente non consentita in sede di legittimità.

Questa Corte, con indirizzo condiviso dal Collegio, ha affermato che è ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. Ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie associativa (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, omissis, Rv. 279430 — 01; conf.: Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 271984 — 01). Conseguentemente, la commissione dei reati fine nell’interesse o comunque in vista del consolidamento del sodalizio criminoso costituisce un elemento privo di univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla adesione all’associazione.

Nella specie, la difesa non ha allegato elementi sintomatici del fatto che F., già al momento della sua adesione alla associazione criminosa, avesse programmato la commissione delle ricettazioni poste in essere negli anni 2009-2010, nonché i reati di porto e detenzione d’arma commessi nel 2008 e nel 2009, limitandosi sostanzialmente a dedurre che erano tipici reati-fine commessi dal clan mafioso.

Piuttosto, le considerazioni svolte dal ricorrente, oltre ad essere del tutto generiche, si scontrano con la analitica ricostruzione del contesto in cui sono maturate, nel contesto descritto dalla Corte d’appello, le dinamiche dei rapporti tra i vari clan ed in particolare la situazione conflittuale che era seguita all’omicidio di A. A. , esponente di vertice del clan operativo nella zona di M., avvenuto nel 2006 e l’affermarsi del progetto di indipendenza di almeno una parte di quel gruppo mafioso che intendeva affrancarsi da quello di B.. La Corte territoriale ha evidenziato come proprio tali vicende siano espressione di una cesura del programma criminoso dell’associazione, dal momento che i reati estorsivi, essendo espressione del controllo dei vari gruppi criminali sul territorio, sono seguiti ad eventi contingenti, connessi agli equilibri che via via si delineavano tra i vari clan, sicché non potevano essere stati programmati fin dall’inizio. Alla stessa conclusione l’ordinanza impugnata è giunta anche con riguardo al reato di detenzione di due armi, giudicato con sentenza della Corte d’appello di Napoli del 6.12.2013 (sentenza sub 3), trattandosi di armi ricevute da membri di un diverso clan e dunque riconducibile al continuo evolversi dei rapporti tra gruppi criminali e dunque non programmabile ab origine.

L’esclusione del vincolo della continuazione è stata ulteriormente confermata dalla distanza temporale degli episodi criminosi giudicati con la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 16.10.2017, irrevocabile il 26.3.2019 (sentenza sub 4) posti in essere a distanza di circa 3 anni rispetto a quelli oggetto della sentenza della Corte d’appello di Napoli del 27.9.2021, irrevocabile il 2.12.2022 (sentenza sub 1). Il fattore cronologico, come rilevato anche dal Procuratore generale, costituisce un indicatore specifico ai fini della continuazione, il quale permette di distinguere le fattispecie di reato continuato da quelle, opposte, di mera tendenza a delinquere o di professionalità criminale.

Con motivazione altrettanto puntuale, l’ordinanza impugnata ha escluso l’identità del disegno criminoso tra il reato associativo e il porto e detenzione d’arma comune da sparo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Napoli in data 8.10.2013, irrevocabile in data 8.1.2016 (sentenza sub 2), avendo tale pronuncia escluso la configurabilità dell’aggravante mafiosa. Quanto, infine, 4. Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro tremila.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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