Come presentare una memoria difensiva nel giudizio di impugnazione?

Facebook
LinkedIn

Cass. pen., sez. V, 11/07/2025 (ud. 11/07/2025, dep. 7/08/2025), n. 29344 (Pres. Scarlini, Rel. Muscarella)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava in che modo si può presentare una memoria difensiva nel giudizio di impugnazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Napoli, in riforma di una pronunzia emessa dal GUP del Tribunale della medesima città, condannava gli imputati per i reati di cui ai capi a), art. 74 DPR 309/1990, aggravato dall’art. 416 bis 1 cod. pen., e b), art. 416 bis cod. pen., di cui uno anche per gli altri reati di cui alla imputazione, alle pene di giustizia, mentre per l’altro, accogliendo la richiesta di pena concordata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, rideterminandosi al contempo la pena in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, confermando nel resto la sentenza.

Ciò posto, avverso codesta decisione proponevano ricorso per Cassazione ambedue gli accusati.

In particolare, uno di essi, oltre a proporre per l’appunto siffatto ricorso, deducendo inosservanza ed erronea applicazione di legge e vizi motivazionali, in relazione all’art.74, comma 7, D.P.R. 309/1990, con la memoria difensiva, insisteva nel suddetto motivo di ricorso, riguardo alla richiesta di applicazione della attenuante di cui all’art. 74, comma 7, D.P.R. 309/1990, oltre che a formulare ulteriori motivi.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva i motivi nuovi, contenuti nella memoria difensiva, inammissibili.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale le parti e i difensori conservano il diritto (loro riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento) di presentare memorie (articolo 121 del codice di procedura penale[1]) per esporre e illustrare la propria linea difensiva ma, nel giudizio d’impugnazione, tale facoltà non può superare le preclusioni fissate dai termini per impugnare e da quelli concessi per la presentazione di motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585, commi 1[2], 4[3], 5[4], cod. proc. pen., cosicché la memoria difensiva non può contenere ulteriori e diverse doglianze rispetto a quelle ritualmente proposte con il gravame o i motivi aggiunti ma può solo supportare, con dovizia di particolari e più puntuali argomentazioni, i temi già devoluti con il mezzo d’impugnazione proposto” (Sez. 3, Sentenza n. 25868 del 20/02/2024).

I risvolti applicativi

Nel giudizio d’impugnazione, le parti possono presentare memorie difensive (art. 121 c.p.p.), ma solo entro i limiti dei termini previsti per l’impugnazione e per i motivi aggiunti (art. 585 c.p.p.), tenuto conto altresì del fatto che codeste memorie non possono introdurre nuove doglianze, ma solo approfondire quelle già proposte.

[1]Ai sensi del quale: “1. In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria. 2. Sulle richieste ritualmente formulate il giudice provvede senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge,, entro quindici giorni”.

[2]Secondo cui: “1. Il termine per proporre impugnazione, per ciascuna delle parti, è: a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall’articolo 544 comma 1; b) di trenta giorni, nel caso previsto dall’articolo 544 comma 2; c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall’articolo 544 comma 3. 1-bis. I termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza”.

[3]Alla stregua del quale: “Fino a quindici giorni prima dell’udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi, con le forme previste dall’articolo 582. L’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi”.

[4]Per cui: “I termini previsti dal presente articolo sono stabiliti a pena di decadenza”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29344 Anno 2025

Presidente: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

Relatore: MUSCARELLA ANNA MARIA GLORIA

Data Udienza: 11/07/2025

Data Deposito: 07/08/2025

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

C. E. nato a … il …

S. C. nato a … il …

avverso la sentenza del 05/02/2025 della Corte d’appello di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Maria Gloria Muscarella;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Cinzia Parasporo, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli, in riforma della pronunzia del GUP del Tribunale di Napoli del 19.07.2024, che condannava C. E. e S. C. per i reati di cui ai capi a), art.74 DPR 309/1990, aggravato dall’art.416 bis 1 cod. pen., e b), art.416 bis cod. pen., e S. anche per gli altri reati di cui alla imputazione, alle pene di giustizia, per C., ha accolto la richiesta di pena concordata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e rideterminato la pena, per S., ha rideterminato la pena in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, confermando nel resto la sentenza.

2. Gli imputati, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza di appello.

Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. L’imputato C. E. ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, che lamenta violazione di legge e vizio di assoluta carenza di motivazione, in relazione all’art.129, cod. proc. pen. Si deduce che la Corte di merito avrebbe omesso di motivare sull’assenza di cause di non punibilità ex art.29 cod. proc. pen.

4. L’imputato S. C. ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, che lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge e vizi motivazionali, in relazione all’art.74, comma 7, D.P.R. 309/1990. Si duole della mancata riduzione di pena per l’attenuante de qua, sebbene ne ricorrevano i presupposti della utilità obiettiva del contributo offerto dalle dichiarazioni del ricorrente, che si è adoperato sia per assicurare le prove del reato di cui all’art.74 D.P.R. 309/1990, sia per sottrarre risorse decisive al traffico illecito di stupefacenti (fornendo informazioni utili che hanno consentito di eseguire diversi sequestri), sia per la genuinità, precisione e trasparenza della condotta collaborativa.

Con la memoria difensiva, il difensore di S. insiste nel motivo di ricorso, riguardo alla richiesta di applicazione della attenuante di cui all’art. 74, comma 7, D.P.R. 309/1990, nonché formula ulteriori motivi.

Con un primo motivo, si deduce, inoltre, quanto al reato di cui al capo a), che tenuto conto dell’epoca di manifestazione della volontà di uscire dai sodalizi criminosi e di collaborare con la giustizia, la contestazione dovrebbe arrestarsi sino al dicembre 2023 e, quanto al reato di cui al capo b), ad epoca antecedente all’ottobre 2023.

Con un secondo motivo, si deduce la eccessività della pena inflitta sia nella individuazione della pena base sia nel computo della pena finale, tenuto conto del ruolo dell’imputato di mero associato per entrambi i reati associativi.

Con un terzo motivo si chiede l’applicazione delle attenuanti generiche.

Con un quarto motivo si chiede l’applicazione della attenuante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. nella massima estensione.

Si chiede, inoltre, la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata con ordinanza del 5/10/2023, con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari in località protetta. Si deduce l’insussistenza delle esigenze cautelari, quali: il pericolo di inquinamento probatorio in considerazione della intervenuta collaborazione, dell’ampio contributo collaborativo offerto con riferimento ai fatti e circostanze contestati nel procedimento de quo, previa ammissione integrale dei fatti di causa senza assumere ruoli apicali nell’associazione camorristica e senza avere mai commesso fatti di sangue; il pericolo di fuga perché l’imputato, in quanto collaboratore, risiederebbe in località protetta e sarebbe sottoposto ad un particolare regime di vigilanza ed alle prescrizioni sottoscritte con l’accettazione del programma, la cui violazione ne determinerebbe la revoca; il pericolo di reiterazione di reati del tipo di quelli per cui si procede, per il nuovo percorso di vita intrapreso incompatibile con le precedenti logiche delinquenziali nonché per la scelta collaborativa effettuata e sottoposta al controllo giudiziale.

5. Il processo si è svolto con rito cartolare e le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

E. C..

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Il primo ed unico motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Ed infatti, avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è ammesso il ricorso per cassazione che deduca (oltre che la prescrizione maturata antecedentemente alla sentenza: Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023) motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice, essendo inammissibili, invece, le doglianze relative a motivi rinunciati o alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si traducano nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020).

Invero, al cospetto di ricorsi proposti avverso sentenze emesse ex art. 599-bis cod. proc. pen. (Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, omissis, Rv. 273194; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani e altro, Rv. 272853), in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, conv. con modif. nella L. 24 luglio 2008 n. 125, secondo cui il giudice d’appello che accoglie la richiesta formulata sull’accordo delle parti e prende atto della rinunzia ai motivi, limita la sua cognizione a quelli non rinunciati. La rinuncia parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talché è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015, omissis). Quanto ai motivi rinunciati, in particolare, neppure è possibile dedurre difetto di motivazione (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Rv. 285628 – 02). Analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 40278 del 6 aprile 2016, omissis; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, omissis, Rv. 273194), la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, ad eventuali cause di improcedibilità o nullità anche assolute, eccepite con l’impugnazione, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena (e nel caso, in punto di responsabilità) limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità.

Nel caso di specie, nel ricorso si lamenta la mancata valutazione sulla assenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., che non è affatto prevista per il concordato e che, comunque, non è questione rientrante tra quelle deducibili con il ricorso.

C. S.. 4. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

4.1 La Corte d’appello, confrontandosi con il motivo, ha precisato che la richiesta era stata formulata solo con una memoria, e, dunque, non nell’atto di appello, ritenendo, comunque, di non potere attivare i propri poteri di ufficio ai fini del riconoscimento della attenuante, in assenza di indicazione di elementi concreti a sostegno.

La sentenza impugnata ha rilevato la genericità della richiesta, fondata solo sul fatto che l’imputato aveva già beneficiato dell’attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen., laddove le due attenuanti poggiano su fondamenti differenti. Per completezza di motivazione, quindi, ha evidenziato che la collaborazione non aveva permesso di sottrarre risorse decisive alla associazione, pur avendo permesso alcuni sequestri, e che, inoltre, pur avendo il collaboratore fatto nomi di complici dell’associazione e descritto modalità operative, il suo contributo non era qualificabile come utilmente diretto a interrompere l’attività complessiva del sodalizio. Il ricorso censura tale valutazione, deducendo, in sintesi, che il Tribunale aveva dato atto del rilevante contributo, e che il requisito dell’essersi adoperato efficacemente per assicurare le prove del reato è alternativo a quello di essersi adoperato per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.

Il ricorso è inammissibile, per le ragioni che seguono.

Secondo condivisibile giurisprudenza (Sez. 6, n. 1395 del 14/10/2014, dep. 2015, Rv. 261797), sia l’attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991 (oggi art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen.) che quella di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 “costituiscono estrinsecazione di una logica di premialità, in quanto sono dirette ad evitare, attraverso una sorta di ravvedimento post delictum, che i reati associativi, ai quali rispettivamente ineriscono, vengano portati ad ulteriori conseguenze”; le stesse hanno tuttavia diversi ambiti di operatività. La circostanza attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia dall’art. 8 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, (oggi art.416 bis 1 cod. pen.) si applica solo ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed a quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste da detta norma per agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, e non concorre con l’attenuante di cui all’art. 74, comma settimo, D.P.R. n. 309 del 1990, che si applica solo a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato previsto dall’art. 74 stesso D.P.R., o per sottrarre al traffico illecito di sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti.

Dunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, ove sia contestata, in relazione al reato di associazione finalizzata al narcotraffico, l’aggravante mafiosa, trova applicazione esclusivamente la correlata attenuante ex art. 8 legge n.203 del 1991 (come detto, oggi art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen.), che esaurisce l’ambito della premialità inerente alla collaborazione, senza che residui spazio alcuno per l’attenuante speciale prevista dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990; ove invece la declaratoria di responsabilità inerisca al reato di associazione finalizzata al narcotraffico non aggravato si applica, alle condizioni di legge, il disposto del citato art. 74, comma 7.

Tuttavia, le due attenuanti possono trovare simultanea applicazione solo nell’ipotesi in cui il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso concorra con quello di associazione finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico di stupefacenti (Sez. 6, Sentenza n. 27784 del 05/04/2017).

Nel caso di specie, per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, era contestata la aggravante mafiosa (del metodo e dell’agevolazione) e in relazione a tale reato (come conferma il calcolo operato della pena) è stata concessa l’attenuante di cui all’art. 416- bis.1, comma 3, cod. pen., dunque, preclusiva del riconoscimento anche dell’attenuante oggi invocata, peraltro, sulla base dei medesimi presupposti.

Il rilievo è assorbente rispetto alle censure mosse.

5. I motivi nuovi, contenuti nella memoria difensiva, sono inammissibili.

5.1 “Va, preliminarmente, rilevato che le parti e i difensori conservano il diritto (loro riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento) di presentare memorie (articolo 121 del codice di procedura penale) per esporre e illustrare la propria linea difensiva ma, nel giudizio d’impugnazione, tale facoltà non può superare le preclusioni fissate dai termini per impugnare e da quelli concessi per la presentazione di motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585, commi 1, 4, 5, cod. proc. pen., cosicché la memoria difensiva non può contenere ulteriori e diverse doglianze rispetto a quelle ritualmente proposte con il gravame o i motivi aggiunti ma può solo supportare, con dovizia di particolari e più puntuali argomentazioni, i temi già devoluti con il mezzo d’impugnazione proposto” (Sez. 3, Sentenza n. 25868 del 20/02/2024, Rv. 286729 – 01).

5.2 I motivi di doglianza, aventi ad oggetto la richiesta di modifica della data della contestazione, per i reati di cui ai capi a) e b)), e quella di rideterminazione della pena inflitta, riguardo alla pena base, sono inammissibili in quanto in quanto inediti, proposti, per la prima volta, con la memoria difensiva, non consentiti in sede di legittimità, perché mancavano i corrispondenti motivi di appello. Ed invero, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, omissis, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, omissis, Rv. 269745 – 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, omissis).

Quanto alla richiesta di rideterminazione della pena inflitta, riguardo al computo della pena finale, il motivo è inammissibile in quanto manifestamento infondato.

Il motivo è reiterativo di doglianza già formulata in appello, che la Corte territoriale, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha accolto, rideterminando la pena per i reati satellite da sei a due mesi di reclusione ciascuno, tenuto conto del percorso di resipiscenza del ricorrente e della gravità dei fatti ex art.133, co.1, cod. pen.

Parimenti inammissibile è la richiesta di applicazione delle attenuanti generiche, che la Corte di merito, confrontandosi con il motivo di appello, ha rigettato con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità manifesta. Al riguardo, la Corte territoriale ha richiamato il numero (tredici fattispecie di reato) e la gravità dei fatti delittuosi per cui vi è condanna, indicativi della capacità a delinquere di cui all’art.133 cod. pen., per la disponibilità di armi, la pluralità di beni giuridici lesi, la volontà di prevalere su di un determinato territorio (Pozzuoli e zone limitrofe), il duplice ruolo svolto dall’imputato, attivo sia sul fronte camorristico che nel narcotraffico, nonché la lunga serie di precedenti penali, gravi e specifici.

Quanto alla richiesta di applicazione della attenuante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. nella massima estensione, il motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato, reiterativo oltre che generico per indeterminatezza, perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, che rigetta la richiesta per difetto di interesse, in quanto già applicata dal primo giudice nella massima estensione, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.

La richiesta di sostituzione della misura cautelare applicata con ordinanza del 5/10/2023, con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari in località protetta, per insussistenza delle esigenze cautelari (pericolo di inquinamento probatorio, pericolo di fuga e di reiterazione di reati del tipo di quelli per cui si procede) è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

La richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare disposta con l’ordinanza applicativa va proposta al Tribunale del riesame

Per costante orientamento giurisprudenziale le cause che determinano l’inefficacia della custodia cautelare, non agendo sul piano della legittimità dell’ordinanza applicativa della misura, debbono essere fatte valere attraverso l’istanza di revoca di cui all’art. 306 c.p.p., ed i successivi rimedi dell’appello e del ricorso per cassazione; qualora tuttavia con il ricorso avverso la decisione di riesame la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo sia prospettata insieme alle censure sulla legittimità originaria dello stesso, opera la “vis” attrattiva del proposto gravame e si radica la competenza del giudice di legittimità, con la conseguenza che se l’eccezione di inefficacia sopravvenuta è fondata, si evita il ritardo nella decisione “de libertate” (Cass., Sez. U, 16 dicembre 1998 n. 25, ric. omissis; Sez. U, 1 7 aprile 1996 n. 7, ric. omissis; Sez. VI, 2 giugno 1999 n. 2033, ric. omissis). Tuttavia, la vis attractiva del gravame non si esplica e la radicazione della competenza del giudice di legittimità non si realizza allorché i motivi di ricorso per cassazione contestualmente proposti con quello relativo all’illegittimità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare siano inammissibili, perché in tal caso viene meno l’esigenza di economia processuale che rende possibile l’applicazione della regola procedurale suddetta in quanto ne costituisce il presupposto. Nella specie il ricorso per cassazione – oltre che per il motivo dell’inefficacia sopravvenuta della custodia cautelare, fatta valere come vizio di legittimità dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare – è stato proposto per altri motivi sopra indicati, tutti inammissibili (Sez. 6, Sentenza n. 38937 del 22/05/2003, Rv. 227522 – 01).

5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 11/07/2025.

Leggi anche

Contenuti Correlati
bilancia della giustizia
Procedura penale

In caso di rinuncia all’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse non imputabile al ricorrente, è esclusa la condanna alle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende?

Qualora il ricorrente rinunci all’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse derivante da causa a lui non imputabile, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende?

LEGGI TUTTO »