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Requisiti per l’applicazione della semilibertà

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Cass. pen., sez. I, 16/04/2024 (ud. 16/04/2024, dep. 27/06/2024), n. 25505 (Pres. Siani, Rel. Masi)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quali sono i requisiti richiesti per potere applicare la misura alternativa della semilibertà.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di sorveglianza de L’Aquila ammetteva al regime della semilibertà un detenuto che espiava la pena dell’ergastolo con isolamento diurno per un cumulo comprendente numerosi reati associativi o aggravati dall’art. 7 legge n. 203/1991.

Ciò posto, avverso questa decisione il Procuratore generale presso la Corte di Appello de L’Aquila ricorreva per Cassazione, deducendo violazione di legge dell’art. 71-ter Ord. pen. in relazione agli artt. 4-bis e 50 Ord. pen. e art. 3, comma 2, d.l. n. 162/2022.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, «ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà, sono richieste due distinte indagini, l’una delle quali concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società ed implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento» (Sez. 1, n. 197 del 25/10/2023), non essendo richiesta, per questa come per le altre misure alternative alla detenzione, la prova del sicuro ravvedimento, ma la formulazione di un giudizio prognostico sulla idoneità della misura stessa a superare la residua pericolosità (vedi Sez. 1, n. 9591 del 29/11/2000).

I risvolti applicativi

Per l’applicazione della semilibertà sono necessarie due indagini separate: una riguarda i risultati del trattamento personalizzato del detenuto, mentre l’altra consiste nel verificare se ci sono condizioni che permettano un graduale reinserimento sociale, basato sulla consapevolezza acquisita attraverso la riflessione critica sulle esperienze negative del passato e sul potenziale ravvedimento.

All’opposto, non è richiesta la prova di un ravvedimento certo, essendo sufficiente un giudizio prognostico sull’efficacia della misura nell’elidere il rischio di recidiva.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 25505 Anno 2024

Presidente: SIANI VINCENZO

Relatore: MASI PAOLA

Data Udienza: 16/04/2024

Data Deposito: 27/06/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA

nei confronti di: C. P. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA

udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA MASI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale RAFFAELE GARGIULO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 05 dicembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha ammesso al regime della semilibertà P. C., detenuto dal 24/01/1996 in espiazione dell’ergastolo con

isolamento diurno per un cumulo comprendente numerosi reati associativi o aggravati dall’art. 7 legge n. 203/1991.

Il Tribunale ha ritenuto ammissibile la domanda, stante la quantità di pena già espiata anche a seguito della concessione della liberazione anticipata. Ha rilevato che l’istante ha ottenuto l’accertamento della impossibilità della collaborazione ed ha beneficiato di numerosi permessi premio, eseguiti senza la violazione delle prescrizioni, ha svolto un percorso rieducativo mostrando consapevolezza della gravità dei reati commessi e la revisione critica del proprio passato criminale. Ha preso atto, peraltro, del parere negativo della DDA di Palermo, della DNAA e della Questura di Palermo, che hanno sottolineato che la cosca di appartenenza è ancora attiva, che egli non ha mai fornito la prova della dissociazione da questa e che sussiste il pericolo del ripristino dei collegamenti con essa. Ha però valutato concedibile la misura, stante il percorso riabilitativo svolto, la volontà di reintegrarsi nella società in un territorio lontano da quello di origine, e ritenendo che il parere negativo degli organi preposti si fondi solo sui delitti commessi in passato, e che il rischio di recidiva possa essere escluso, vista l’assenza di procedimenti pendenti e di condanne per fatti commessi dopo l’arresto.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di L’Aquila, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge dell’art. 71-ter Ord.pen. in relazione agli artt. 4-bis e 50 Ord. pen. e art. 3, comma 2, d.l. n. 162/2022.

Il Tribunale di sorveglianza ha omesso di valutare in modo attento la sussistenza del terzo elemento richiesto dalla legge n. 199/2022 per concedere i benefici penitenziari ai responsabili dei delitti di cui all’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., cioè la permanenza di collegamenti con l’associazione criminale di

appartenenza, che sono presunti dalla legge. La DNAA ha espresso un parere negativo alla concessione del beneficio richiesto, evidenziando il pericolo di una ripresa di tali collegamenti, se mai cessati, stanti la permanente operatività della cosca di appartenenza del detenuto, la personalità di questi e il fatto che egli non si è mai adoperato, dopo la commissione dei numerosi delitti aggravati dal metodo mafioso, né per evitare che la sua attività criminosa fosse portata ad ulteriori conseguenze, né per fornire elementi idi indagine decisivi per individuare i correi o per scoprire altri fatti. Mancano, quindi, elementi per escludere suoi collegamenti con la criminalità organizzata, e vi è addirittura la ragionevole certezza della loro attualità. L’ordinanza, perciò, è errata perché ha fondato la sua decisione esclusivamente sui risultati dell’osservazione carceraria, che non è sufficiente per far ritenere cessati tali collegamenti.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato

2. Il d.l. n. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 199/2022, sostituendo integralmente l’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. pen., ha stabilito la concedibilità di tutti i benefici previsti dall’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. anche ai condannati per i delitti ostativi c.d. “di prima fascia”, purché dimostrino l’adempimento degli obblighi di pagamento e risarcitori o la sua assoluta impossibilità e alleghino elementi specifici che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto in cui il reato è stato commesso, nonché il pericolo di un loro ripristino. Analogamente, l’art. 3, comma 2, del medesimo decreto legge ha introdotto la concedibilità di tali benefici anche ai detenuti condannati per uno dei delitti ostativi previsti dall’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., commessi precedentemente, quando la loro collaborazione sia oggettivamente impossibile, oppure essi abbiano risarcito i danni causati, «purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

Il Tribunale di sorveglianza ha sottolineato che il detenuto istante rientra da tempo nella categoria dei soggetti, condannati per vari delitti ostativi previsti dall’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., ammessi a beneficiare di permessi premio, il cui diniego è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253/2019, perché è stata dichiarata l’impossibilità della sua collaborazione, ed ha effettivamente beneficiato di numerosi permessi premio, svolti senza la violazione delle prescrizioni. Egli è stato, perciò, correttamente valutato come possibile beneficiario di una misura alternativa alla detenzione. Si deve affermare, infatti, che la presunzione assoluta di mancata rescissione dei legami con la criminalità organizzata prevista originariamente dall’art. 4-bis Ord. pen., che peraltro nel caso di questo detenuto era già inoperante stante l’accertamento dell’impossibilità della collaborazione, è stata superata dal legislatore e trasformata in una presunzione relativa, che ammette la dimostrazione contraria, ad opera dello stesso detenuto, secondo la previsione dell’art. 1, comma 1, lett. a), n. 2), d.l. n. 162/2022, o del Tribunale, secondo la previsione dell’art. 3, comma 2, d.l. n. 162/2022 ed esercitando i poteri istruttori attribuiti dall’art. 4-bis, comma 2 e comma 2-bis, Ord.pen., ampliati dallo stesso d.l. n. 162/2022.

2.1. Il procuratore ricorrente denuncia l’erroneità dell’ordinanza impugnata perché il Tribunale non avrebbe valutato la permanenza dei collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza, di cui la DNAA ha ritenuto possibile, quanto meno, il ripristino. Questa censura non è fondata. L’ordinanza, infatti, ha preso atto dei pareri negativi trasmessi dalla DDA di Palermo, dalla DNAA e dalla Questura di Palermo, ma ha ritenuto sussistenti, per le ragioni dettagliatamente esaminate, «le condizioni di cui all’art. 50, comma 4, Ord. pen., e l’avvenuto distacco dell’interessato dai collegamenti criminali».

Il Tribunale, pertanto, ha applicato correttamente il principio dettato da questa Corte, secondo cui «In tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia”, per effetto delle modifiche apportate all’art. 4-bis ord. pen. con d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, essendo demandato al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del  percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali opotenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bis, comma 2, Ord. pen.» (Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, Rv. 284921). Infatti l’ordinanza contiene una valutazione sufficientemente approfondita circa la sussistenza di elementi valutabili positivamente in favore del detenuto istante, e capaci di dimostrare il suo allontanamento del contesto criminale di appartenenza, e la non attualità del giudizio espresso dagli uffici di polizia interpellati, circa il pericolo di un ripristino dei contatti con tale contesto, in quanto fondato solo sui reati commessi e sulle relative condanne, molto risalenti nel tempo.

E’ vero che l’ordinanza trae la sua valutazione della non persistenza o dell’assenza di un pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, da parte del detenuto, essenzialmente dal buon comportamento carcerario ed extra-carcerario descritto nelle varie relazioni, ma nel caso di specie è difficile ipotizzare quali elementi positivi potrebbero essere acquisiti, o forniti dal detenuto stesso. Il Procuratore ricorrente richiama, in particolare, il parere fornito dalla DNAA circa il fatto che il C. non abbia mai fornito collaborazione né aiutato le indagini, dopo la commissione dei gravissimi reati per i quali è stato condannato, ma, avendo egli ottenuto la valutazione della impossibilità della collaborazione, tale elemento non è significativo, né può da esso trarsi una presunzione di un mancato distacco dall’associazione di appartenenza. L’affermazione del Tribunale, circa la mancanza di elementi da cui dedurre la sussistenza di collegamenti attuali con detta associazione, o l’attualità del pericolo del loro ripristino, è dunque logica e fondata sia sul contenuto dei pareri forniti dagli organi di polizia, sia sul percorso rieducativo del condannato, valutato approfonditamente.

2.2. Deve ricordarsi, infine, che la misura alternativa concessa, quella della semilibertà, richiede quale presupposto non una già intervenuta riabilitazione, ma che vi siano «le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società» (art. 50, comma 4, Ord. pen.). Come costantemente affermato da questa Corte, «ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà, sono richieste due distinte indagini, l’una delle quali concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società ed implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento» (Sez. 1, n. 197 del 25/10/2023, dep. 2024, Rv. 285550), non essendo richiesta, per questa come per le altre misure alternative alla detenzione, la prova del sicuro ravvedimento, ma la formulazione di un giudizio prognostico sulla idoneità della misura stessa a superare la residua pericolosità (vedi Sez. 1, n. 9591 del 29/11/2000, dep. 2001, Rv. 218235).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve pertanto essere respinto. La natura pubblica della parte ricorrente osta alla condanna alle spese processuali, in deroga agli ordinari principi in materia di soccombenza (vedi Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, omissis Rv. 271650)

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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