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Qual è la prova della consapevolezza nell’acquisto di beni illeciti nel delitto di ricettazione

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Cass. pen., sez. II, 31/01/2024 (ud. 31/01/2024, dep. 22/02/2024), n. 7992 (Pres. Verga, Rel. Messini D’Agostini)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 648)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, che ha affrontato la Cassazione con la decisione in esame, riguardava il come possa desumersi la prova di consapevolezza nell’acquisto di beni illeciti nel delitto di ricettazione.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la pronuncia in oggetto, a fronte del fatto che la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma di una sentenza di primo grado, aveva confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato per i reati di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e di esercizio di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, pericolosi e non (art. 256, comma 1, lett. a) e b),decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), riducendo al contempo le pene inflitte, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, avverso questo provvedimento il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva illogicità e carenza della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il motivo suesposto infondato, riteneva come la Corte territoriale capitolina, avesse legittimamente ravvisato la sussistenza del delitto di ricettazione non solo sotto il profilo della condotta materiale, ma pure in relazione a quello soggettivo alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di ricettazione, la prova della consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto può essere desunta da qualsiasi elemento e quindi anche dalla omessa o inattendibile spiegazione circa il possesso della cosa ricevuta, che è sicuramente rivelatrice di un acquisto in mala fede (Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007; Sez. 3, n. 43085 del 05/07/2019; Sez. 2, n. 27867 del 17/06/2019; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017), tenuto conto altresì del fatto che il reato di ricettazione è punibile anche a titolo di dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013).

Difatti, in virtù di tale quadro ermeneutico, per gli Ermellini, la sentenza impugnata aveva correttamente evidenziato come nessuna spiegazione fosse stata fornita dall’imputato in ordine alla presenza sulla sua area di due motori di provenienza delittuosa.

I risvolti applicativi

Nel reato di ricettazione, la consapevolezza dell’origine illecita del bene ricevuto può essere dedotta da vari elementi, inclusa l’assenza di una spiegazione credibile sul possesso del bene, da doversi reputare indicativa di un acquisto fatto in mala fede.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 7992 Anno 2024

Presidente: VERGA GIOVANNA

Relatore: MESSINI D’AGOSTINI PIERO

Data Udienza: 31/01/2024

Data Deposito: 22/03/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M. A. nato a … il …

avverso la sentenza del 05/06/2023 della CORTE DI APPPELLO DI ROMA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D’AGOSTINI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lidia Giorgio, che ha chiesto per la inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza emessa il 5 giugno 2023 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava l’affermazione di responsabilità di A. M. per i reati di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e di esercizio di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, pericolosi e non (art. 256, comma 1, lett. a) e b), decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), ma riduceva le pene inflitte, previo riconoscimento delle attenuanti generiche.

2. Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore munito di mandato per l’impugnazione, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione di quattro motivi.

2.1. Violazione della legge penale (art. 256 d. Igs. n. 152 del 2006) e di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione di detta norma (art. 21, comma 15, della legge regionale 28 dicembre 2018, n. 13).

Il citato articolo 256, a differenza dell’art. 29-quaterdecies dello stesso decreto, non punisce chi esercita l’attività vietata dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata.

Inoltre, il T.A.R. del Lazio, in sede cautelare, ha emesso una ordinanza con la quale ha ordinato al Comune di Roma di rilasciare le autorizzazioni provvisorie per l’attività dell’impianto di autodemolizione di F. F.; in esecuzione di detta ordinanza, il Comune, in data 8 aprile 2019, ha emesso una determina sulla cui notificazione a F. non vi è alcuna prova.

2.2. Violazione della legge penale processuale (art. 522 cod. proc. pen. in relazione all’art. 521 dello stesso codice) in quanto, diversamente da quanto contestato nel capo d’imputazione, l’imputato non era legale rappresentante della …, ditta che non esercitava la propria attività in via …, a ….

2.3. Illogicità e carenza della motivazione in ordine alla individuazione del ricorrente quale autore delle violazioni contestate, desunta dalla sua presenza sul luogo al momento degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria e dalla intestazione dell’utenza telefonica fissa, quando invece dalla ordinanza del T.A.R. risulta che il ricorso avverso le determine dirigenziali del Comune, avente ad oggetto l’attività di autodemolizione svolta in via … dalla ditta di F. F., era stato proposto proprio da quest’ultimo.

2.4. Illogicità e carenza della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione, poiché, oltre a quanto sopra dedotto, risulta impossibile risalire all’epoca del delitto presupposto e a quella di ingresso degli oggetti sequestrati nell’area di via ….

3. Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.

4. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamenti infondati, reiterativi di argomentazioni già disattese dalla Corte di appello con una motivazione immune dai vizi denunciati.

5. Per la prima volta in ricorso la difesa ha evocato la disciplina prevista dall’art. 29 quaterdecies d. Igs. n. 152 del 2006, riguardante lo svolgimento di altre attività, per le quali soltanto sarebbe prevista la sanzione penale in caso di sospensione o revoca dell’autorizzazione.

A prescindere da ogni altra considerazione, nel caso di specie si è in presenza non di un’autorizzazione sospesa e revocata bensì di un’autorizzazione provvisoria scaduta da circa un anno e quindi mancante.

La Corte di appello ha ben spiegato perché tale mancanza non possa essere surrogata dall’ordinanza emessa in sede cautelare dal T.A.R. del Lazio che evidentemente avrebbe riguardato il futuro, “non comportando né una proroga delle precedenti autorizzazioni né il rilascio di nuove” (pag. 3).

Logica e puntuale è la motivazione della sentenza là dove vengono indicati i plurimi elementi in base ai quali si è accertato che l’unico gestore dell’area con accesso al civico n. … di via …, ove furono trovati i rifiuti, era A. M., presente al momento del controllo della polizia giudiziaria, intestatario dell’utenza telefonica fissa, in passato titolare di precedenti autorizzazioni concesse per l’attività di smaltimento nella vicina area di via … n. …, successivamente chiusa.

È priva di fondamento anche la doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, configurabile solo in presenza di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto

insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto – come avvenuto nel caso di specie – a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr., ad es., Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, omissis, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, omissis, Rv. 205617; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, omissis, Rv. 281477; Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280654; Sez. 4, n. 4622 del 15/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 271948; Sez. 4, n. 33878 del 03/05/2017, omissis, Rv. 271607).

6. È manifestamente infondato anche il motivo inerente alla condanna per il delitto di ricettazione in relazione alla ricezione e detenzione presso detta area, ove veniva svolta l’attività gestita da M., di due motori con matricola abrasa, circostanza indicativa – ha logicamente osservato la Corte di appello – della loro provenienza furtiva (non essendo necessarie la ricostruzione in tutti gli estremi fattuali del delitto presupposto né l’individuazione dei responsabili: v., ad es., Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023, omissis, Rv. 284522; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282629; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, omissis, Rv. 282433; Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, omissis, Rv. 277509; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, omissis, Rv. 277020).

Quanto al profilo soggettivo, va ribadito che, in tema di ricettazione, la prova della consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto può essere desunta da qualsiasi elemento e quindi anche dalla omessa o inattendibile spiegazione circa il possesso della cosa ricevuta, che è sicuramente rivelatrice di un acquisto in mala fede (Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, omissis, Rv. 236914; Sez. 3, n. 43085 del 05/07/2019, omissis, Rv. 276935; Sez. 2, n. 27867 del 17/06/2019, omissis, Rv. 276666; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, omissis, Rv. 270120).

Inoltre, il reato di ricettazione è punibile anche a titolo di dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246324; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, omissis, Rv. 270179; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, omissis, Rv. 257237).

La sentenza impugnata ha evidenziato che nessuna spiegazione è stata fornita dall’imputato in ordine alla presenza sulla sua area di due motori di provenienza delittuosa.

7. All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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