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L’art. 165 cod. pen., nella parte in cui stabilisce che la prestazione non retribuita non può aver durata superiore alla pena sospesa, a quale pena si riferisce?

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Cass. pen., sez. II, 03/11/2023 (ud. 03/11/2023, dep. 08/02/2024), n. 5505 (Pres. Di Paola, Rel. Minutillo Turtur)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 165, co. 1, cod. pen. dispone che la “sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna”, la questione giuridica, su cui era chiamata a decidere la Cassazione nel caso di specie, riguarda per quale pena vige questo periodo di tempo massimo.

Precisato ciò, prima di vedere come la Suprema Corte ha affrontato tale questione, esaminiamo prima brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Palermo confermava una sentenza del Tribunale di Agrigento che, a sua volta, aveva condannato gli imputati alla pena di giustizia per il delitto agli stessi ascritto (artt. 110, 633, 639-bis cod. pen.).

Ciò posto, avverso questa decisione ambedue gli accusati, per il tramite dei loro difensori, proponevano ricorso per Cassazione, articolando un unico motivo di ricorso, ossia violazione di legge e vizio della motivazione in tutte le sue forme in relazione agli art. 1 e 135 e 165 cod. pen., art. 25 Cost., artt. 53, 102 e 103 della l. n. 609 del 1981.

In particolare, si sosteneva – a fronte del fatto che il Tribunale aveva condannato i ricorrenti alla pena di euro 200,00 da computarsi in continuazione con altra pena pecuniaria sospesa e aveva subordinato la sospensione allo svolgimento di lavoro non retribuito a favore della collettività per la durata di giorni trenta da eseguirsi nel termine di giorni centoventi dal passaggio in giudicato della sentenza – come la Corte di Appello, nel confermare la statuizione, avesse violato il limite di durata della predetta attività lavorativa ai sensi dell’art. 165, comma primo cod. pen., atteso che la durata di tale attività non deve essere superiore alla durata della pena sospesa, con conseguente lesione del principio di legalità della pena.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La questione giuridica summenzionata veniva risolta dal Supremo Consesso nel senso che la regola di cui al novellato art. 165 cod. pen., secondo cui la prestazione non retribuita non può aver durata superiore alla pena sospesa, vale solo per le pene detentive e non già per le pene pecuniarie, per cui operano i parametri quantitativi fissati dall’art. 54 d.lgs.274/2000 visto che il parametro di conversione di cui all’art. 135 cod. pen. fra pene detentive e pene pecuniarie non viene in considerazione ai fini dell’art.165 cod. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 11/6/2004 n.145, valendo in questi casi il disposto dell’art. 18 bis del r.d. 28/5/1931 n. 601 (Disposizioni di coordinamento e transitorie per il Codice penale), inserito nel corpo del decreto dall’art. 5 della stessa legge 145/2004, che impone l’applicazione, ove compatibili, delle disposizioni di cui agli art.44, 54, commi 2,3,4,6, e 59 del d.lgs. 28/8/2000 n. 274.

I risvolti applicativi

L’art. 165 cod. pen., nella parte in cui stabilisce che la prestazione non retribuita non può aver durata superiore alla pena sospesa, si riferisce alla sola pena detentiva.

Dunque, solo per questa pena, e non anche la pena pecuniaria, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato non potrà essere superiore alla durata della pena sospesa.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 5505 Anno 2024

Presidente: DI PAOLA SERGIO

Relatore: MINUTILLO TURTUR MARZIA

Data Udienza: 03/11/2023

Data Deposito: 08/02/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C. A., nato a … il …

M. T., nata a … il …

avverso la sentenza del 03/11/2022 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Marzia MINUTILLO TURTUR;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Paola DI BERARDINO, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile;

lette le conclusioni del difensore Avv. F. S., che ha chiesto di annullare la sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione, conclusioni ribadite con memoria depositata per l’udienza.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 03/11/2022, ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento del 11/06/2020 che ha condannato C. A. e M. T. alla pena di giustizia per il delitto agli stessi ascritto (artt. 110, 633, 639-bis cod. pen.).

2. C. A. e M. T. hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, articolando un unico motivo di ricorso che qui si riporta nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen. La difesa ha dedotto la ricorrenza di violazione di legge e vizio della motivazione in tutte le sue forme in relazione agli art. 1 e 135 e 165 cod. pen., art. 25 Cost., artt. 53, 102 e 103 della I. n. 609 del 1981; il Tribunale ha condannato i ricorrenti alla pena di euro 200,00 da computarsi in continuazione con altra pena pecuniaria sospesa ed ha subordinato la sospensione allo svolgimento di lavoro non retribuito a favore della collettività per la durata di giorni trenta da eseguirsi nel termine di giorni centoventi dal passaggio in giudicato della sentenza; la Corte di appello nel confermare la statuizione ha certamente violato il limite di durata della predetta attività lavorativa ai sensi dell’art. 165, comma primo cod.pen., atteso che la durata di tale attività non deve essere superiore alla durata della pena sospesa, con conseguente lesione del principio di legalità della pena.

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

4. I ricorrenti, per il tramite del proprio difensore, hanno ribadito le proprie conclusioni con memoria scritta.

5. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo non consentito atteso che la violazione ivi evocata non ha formato oggetto di motivo di appello, con interruzione della catena devolutiva sul punto. Difatti dalla lettura dei motivi di appello, per come riportati in sentenza e non contestati dai ricorrenti, era stata esclusivamente formulata richiesta, in subordine, di concessione della sospensione

condizionale della pena senza la previsione di obblighi.

La stessa articolazione del motivo di ricorso evidenzia (lett. c) pag. 5 dell’atto di appello) evidenzia come sia stata ritenuta censurabile la subordinazione della concessione della sospensione condizionale della pena allo svolgimento dei lavori socialmente utili (subordinazione necessaria, come previsto dalla Corte territoriale, ai sensi dell’art. 165, comma secondo, cod. pen.), senza che alcuna questione o critica del punto specifico della decisione di primo grado sia stato posto al giudice di appello quanto ad una eventuale erroneità o illegalità conseguente della pena in relazione al criterio adottato ai fini di conversione. Secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, omissis, Rv. 276062-01, in motivazione; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869-01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, omissis, Rv. 270316-01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, omissis, Rv. 269745-01; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, omissis, Rv. 269368-01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, omissis, Rv. 269632-01).

Ciò posto, occorre comunque considerare che il parametro di conversione di cui all’art. 135 cod. pen. fra pene detentive e pene pecuniarie non viene in considerazione ai fini dell’art.165 cod. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 11/6/2004 n.145, valendo in questi casi il disposto dell’art. 18 bis del r.d. 28/5/1931 n. 601 (Disposizioni di coordinamento e transitorie per il Codice penale), inserito nel corpo del decreto dall’art. 5 della stessa legge 145/2004, che impone l’applicazione, ove compatibili, delle disposizioni di cui agli art.44, 54, commi 2,3,4,6, e 59 del d.lgs. 28/8/2000 n. 274.

Ne consegue che la regola di cui al novellato art. 165 cod. pen., secondo cui la prestazione non retribuita non può aver durata superiore alla pena sospesa, vale solo per le pene detentive e non già per le pene pecuniarie, per cui operano i parametri quantitativi fissati dall’art. 54 d.lgs.274/2000. L’eventuale accoglimento della non consentita censura porterebbe semplicemente a rendere inapplicabile la sospensione condizionale in tutti i casi in cui la pena pecuniaria è inferiore ai 2.500 euro (pari alla conversione in 10 giorni di pena detentiva), visto il disposto del comma 2 del citato art. 54 d.lgs.274/2000 (per il quale il lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a 10 giorni, né superiore a 6 mesi), e comunque a renderla inapplicabile nel caso di specie, con il conseguente difetto di interesse ad impugnare sul punto del ricorrente.

6. I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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