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L’aggravante delle persone riunite: tempistiche e modalità di configurazione

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Cass. pen., sez. II, 05/12/2023 (ud. 05/12/2023, dep. 29/01/2024), n. 3472 (Pres. Rago, Rel. Recchione)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 628, co. 1, n. 3)

Indice

La questione giuridica

Tra le diverse questioni giuridiche, su cui era chiamata a decidere la Cassazione con la decisione in esame, vi era pure quella riguardante quando è configurabile l’aggravante delle persone riunite preveduta dall’art. 628, co. 3, n. 1, cod. pen..

Ebbene, prima di vedere come la Cassazione ha affrontato siffatta questione, va rilevato che nel procedimento, in occasione del quale è stato emesso il provvedimento in questione, a fronte del fatto che la Corte di Appello di Salerno confermava una sentenza che condannava gli imputati alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed euro duemila di multa per il reato di tentata estorsione, tra i motivi addotti nei ricorsi per Cassazione proposti avverso siffatto pronunciamento, vi era anche uno riguardante la violazione di legge (art. 628, comma 3 n.1), cod. pen.) e il vizio di motivazione nell’attribuzione ad uno degli accusati della aggravante delle “più persone riunite”, sostenendosi che il ricorrente avrebbe consumato una frazione di condotta unitamente ad altra persona, ma non sarebbe stato presente alle azioni del padre, il che avrebbe dovuto impedire di reputare configurabile l’aggravante de qua.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il motivo suesposto infondato, richiamava quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza anche di un secondo soggetto poiché la ratio dell’aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone nel luogo del delitto (Sez. 2, n. 46148 del 10/10/2019; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018; Sez. 2, n. 50696 del 19/11/2014).

Oltre a ciò, si evidenziava altresì come le stesse Sezioni unite abbiano asserito che la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, denotando al contempo che il termine “riunione” risulta direttamente collegato alla modalità commissiva della condotta violenta o minacciosa, che è connotata da una evidente maggiore gravità quando venga esercitata simultaneamente da più persone (così: Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012).

Sempre secondo questo arresto giurisprudenziale, inoltre, tale fattispecie plurisoggettiva necessaria, così come codificata nei termini di circostanza speciale ad effetto speciale, si distingue in modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato, perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante della riunione riferito alla sola fase della esecuzione del reato e, più precisamente, alle sole modalità commissive della violenza e della minaccia, potendosi, invece, il concorso di persone nel reato manifestarsi in varie forme in tutte le fasi della condotta criminosa, ovvero sia in quella ideativa che in quella più propriamente esecutiva.

Orbene, alla stregua di tale quadro ermeneutico, per la Corte di legittimità, doveva ritenersi come il riconoscimento dell’aggravante de qua fosse legittimo dato che il ricorrente aveva consumato l’aggressione, unitamente ad altra persona non identificata, presente, insieme a lui, sul luogo del delitto.

I risvolti applicativi

La circostanza aggravante delle più persone riunite richiede la presenza simultanea di almeno due individui nel luogo e al momento della violenza o minaccia, ma non è determinante se la vittima abbia percepito o meno la presenza di un secondo soggetto, poiché l’aggravante in questione si basa sulla potenziale pericolosità derivante dall’obiettiva presenza di più persone nel luogo del reato, e non necessariamente sulla maggiore costrizione esercitata contemporaneamente sulla vittima.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 3472 Anno 2024

Presidente: RAGO GEPPINO

Relatore: RECCHIONE SANDRA

Data Udienza: 05/12/2023

Data Deposito: 29/01/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

F. G. nato a … il …

F. G. nato a … il …

avverso la sentenza del 17/11/2022 della CORTE di APPELLO di SALERNO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Raffaele Gargiulo che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

il difensore Avv. F. R. insisteva per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Salerno confermava la condanna dei ricorrenti alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed euro duemila di multa per il reato di tentata estorsione.

Si contestava agli stessi di avere posto in essere azioni dirette in modo non equivoco a costringere i fratelli A. ed A. F., a cedere un appezzamento di terreno vicino a quella di M. P., suocera di G. F. e titolare di un diritto di prelazione sul terreno preteso.

Segnatamente: si contestava (a) a G. F., in concorso con A. M., di avere rivolto ad A. F. una minaccia di morte se lui ed il fratello non gli avessero ceduto la proprietà del fondo, (b) a G. F. di avere fatto irruzione, unitamente a persona non identificata, nel piazzale della società dei fratelli F. e, dopo avere terrorizzato i presenti scorrazzando con il motociclo e, dopo essersi tolto il casco, di essersi avvicinato a C. M., cugino e dipendente dei fratelli F., intimandogli di contattarli e minacciando di ucciderli; (c) a G. F. di avere schiaffeggiato G. A., ritenendolo mediatore della compravendita del terreno preteso e di avere minacciato C. d. P., madre dei fratelli F., minacciando di uccidere i suoi figli.

Si riconosceva l’aggravante delle più persone riunite.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di F. G., che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 393 cod. pen. art. 581 cod. proc. pen.) in ordine la qualificazione giuridica delle condotte contestate: queste avrebbero dovuto essere inquadrate nella fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni; si allegava che F. G. coabitava con la suocera M. P., che era titolare di un diritto di prelazione sul terreno preteso, sicché il ricorrente avrebbe avuto un interesse “familiare”, diretto e condiviso con la titolare del diritto ed il figlio, ad ottenere il terreno;

si deduceva che la condivisione dell’interesse ad esercitare il diritto di prelazione della suocera, dedotta con l’atto d’appello, non sarebbe stata sufficientemente scrutinata dalla Corte territoriale; si ribadiva che G. F. sarebbe stato anch’egli titolare del diritto di prelazione e che il ricorrente, padre di G., avrebbe agito, condividendo l’interesse del figlio alla sua soddisfazione.

Da ultimo, si deduceva che l’intensità della violenza e della minaccia non avrebbero potuto essere considerati indicativi della sussistenza del delitto di estorsione.

3. Ricorreva per Cassazione anche il difensore di G. F., che deduceva:

3.1. violazione di legge (art. 56, 629 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine all’attribuzione al ricorrente della responsabilità per l’azione violenta posta in essere da G. F. sulla base del riconoscimento del “dolo eventuale”, considerato che tale atteggiamento soggettivo è incompatibile con il delitto tentato;

3.2. violazione di legge (art. 393 cod. pen., art. 581 cod. proc. pen.) in ordine all’inquadramento giuridico della condotta: si riproponevano le medesime ragioni poste a sostegno della qualificazione giuridica della stessa nella fattispecie prevista dall’art. 393 cod. pen. avanzate nell’interesse di G. F. (§ 2.1);

3.3. violazione di legge (art. 628, comma 3 n.1), cod. pen.) e vizio di motivazione nell’attribuzione a G. F. della aggravante delle “più persone riunite”: il ricorrente avrebbe consumato una frazione di condotta unitamente ad altra persona, ma non sarebbe stato presente alle azioni del padre, il che impedirebbe di configurare l’aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di G. F. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di G. F., con i quali si invoca la qualificazione delle condotte nella più lieve fattispecie prevista dall’art. 393 cod. pen. sono infondati.

1.1. Il collegio riafferma che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna “diversa ed ulteriore” finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, omissis, Rv. 280027 – 03).

I ricorrenti invocavano la derubricazione della tentata estorsione nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base del fatto che gli stessi sono “familiari” di M. P., titolare del diritto di prelazione sul terreno “preteso”, sicché avrebbero agito per soddisfare un interesse familiare diffuso.

Con specifico riferimento alla presunzione di condivisione dell’interesse alla soddisfazione del diritto da parte dei familiari del titolare nella sentenza delle sezioni unite si legge: «la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (a seconda dei casi, con violenza sulle cose oppure con violenza o minaccia alle persone) delle condotte poste in essere sponte da terzi non appartenenti al nucleo familiare del creditore (coniuge, figlio, genitore, come emerso nella casistica giurisprudenziale innanzi riepilogata), che si siano attivati di propria iniziativa, senza previo concerto o comunque non d’intesa con il creditore, comporterebbe l’immotivata applicazione del previsto regime favorable, che

trova giustificazione, anche quanto al rispetto del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., proprio e soltanto nella contrapposizione tra un presunto creditore ed un presunto debitore, che risolvono la propria controversa senza adire le vie legali, pur potendo farlo (il creditore ricorrendo al giudice civile, il debitore sporgendo querela). Nel caso in cui il presunto creditore sia del tutto estraneo all’iniziativa del terzo negotiorum gestor, non potrà, quindi, essere configurato un reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, cit, § 6.4.2).

Sul punto deve essere chiarito che le Sezioni Unite prospettano una “presunzione” di condivisione dell’interesse alla soddisfazione privata del diritto da parte dei familiari stretti (“coniuge”, “figli” e “genitori”) sempre a condizione che non emergano prove indicative del fatto che i familiari agiscano, non ad esclusivo supporto del titolare del diritto, ma per un interesse proprio.

1.2. Si ritiene, cioè, che il concorso del “familiare stretto” nella condotta di esercizio arbitrario di “ragioni” discendenti dalla sussistenza un diritto azionabile in giudizio possa essere riconosciuto solo quando “non” emerga un interesse proprio ed ulteriore di tale familiare. Pertanto il vincolo parentale non ha rilevanza autonoma, ma è solo “uno” dei possibili elementi indicativi del concorso nel reato di esercizio arbitrario, che deve essere valutato secondo le ordinarie regole probatorie e dunque della sussistenza di eventuali mandati o accordi tra il titolare del diritto ed il familiare.

1.3. A ciò si aggiunge che, per potersi configurare la fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è necessario che l’azione aggressiva sia esercitata da chi è titolare del diritto azionabile in giudizio (o dal terzo che condivide l’interesse alla soddisfazione senza averne alcuno proprio) verso chi è nelle condizioni di soddisfarlo; se l’aggressione è, invece rivolta verso terzi, estranei a tale rapporto, ovvero verso coloro che non potrebbero essere convenuti in un ipotetico giudizio, l’azione non può essere considerata come diretta a far valere ipotetiche ragioni, ma deve essere qualificata come estorsione.

Sul punto le Sezioni Unite hanno autorevolmente affermato che «risulta evidente che l’agente non potrebbe azionare in giudizio la sua pretesa chiamando in causa, in garanzia, e senza titolo alcuno, i terzi oggetto di violenza o minaccia. Come già correttamente ritenuto, in più occasioni, da questa Corte, è, pertanto, configurabile, il delitto di estorsione nei casi in cui l’agente abbia esercitato la pretesa con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente inter partes, dal quale scaturisce la pretesa azionata, per costringere il debitore ad adempiere (Sez. 2, n. 33870 del 06/05/2014, omissis, Rv. 260344: fattispecie in cui il creditore ed i coimputati avevano rivolto nei confronti del debitore gravi minacce in danno del figlio e della moglie; Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272017), poiché essa non sarebbe tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell’ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale (Sez. 2, n. 16658 del 16/01/2014, omissis, Rv. 259555 e Sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, omissis, Rv. 264967, entrambe in fattispecie nelle quali era stata usata violenza in danno del padre del debitore, per costringerlo ad adempiere il debito del figlio)» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, cit, § 10.5.1.).

1.2. Applicando tali principi al caso in esame deve essere rilevato che secondo la razionale e logica valutazione delle prove effettuata dei giudici di merito: (a) G. e G. F. non hanno agito per soddisfare l’interesse di M. P., ovvero dell’unica persona legittimata ad esercitare il diritto di prelazione sul terreno preteso, ma per un interesse proprio, in quanto G. F., e suo padre G., intendevano ottenere il terreno per “annetterlo alla attività di deposito auto, dunque “per sé”; dunque l’aggressione contestata non era funzionale a soddisfare l’interesse della P., ma ad ottenere, con violenza, un profitto ingiusto,

ovvero la cessione del terreno da parte dei F. contro la loro volontà (pag. 11 della sentenza impugnata);

(b) G. F. aveva aggredito l’A., persona estranea al rapporto tra la P. ed i F., che non era “parte” del rapporto controverso, oggetto di ipotetico accertamento giudiziale, mentre G. F. aveva aggredito sia C. M. dipendente e cugino dei F., sia la madre dei F., C. d. P., entrambi estranei al rapporto giuridico controverso ed impossibilitati a dare soddisfazione al diritto di prelazione vantato da M. P. (pag. 12 della sentenza impugnata)..

Risulta, pertanto, pienamente legittimo l’inquadramento del reato contestato nella fattispecie dell’estorsione tentata invece che in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

2. E’ infondato il secondo motivo di ricorso, proposto nell’interesse di G. F. che deduce che il profilo soggettivo del delitto tentato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, non può mai essere identificato nel dolo eventuale.

Sul punto il collegio riafferma il principio secondo cui il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato (ex multis: Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012, R., Rv 252565 – 01).

Deve essere tuttavia rilevato che, nel caso in esame, l’imputazione è costruita attraverso la descrizione di diverse condotte, attribuite specificamente, e differentemente, a G. e G. F., che, pur essendo distinte, risultano comunque rivolte a costringere le vittime a cedere, contro la loro volontà, il terreno confinante con quello di M. P..

In particolare si contestava:

(a) a G. F. ed a A. M. di avere rivolto a A. F. una minaccia di morte,

(b) a G. F., unitamente a persona non identificata, di avere minacciato C. M. ed, indirettamente, i fratelli F., (c) a G. F. di avere aggredito con uno schiaffo G. A. e di avere minacciato C. D. P..

Tali condotte, pur essendo distinte sotto il profilo oggettivo, hanno il comun denominatore, ovvero quello di essere dirette in modo non equivoco a costringere i fratelli F. a cedere il terreno confinante con la proprietà di M. P. contro la loro volontà.

Ebbene tali condotte minatorie e violente, partitamente attribuite a ciascuno dei ricorrenti, sono sorrette da un profilo soggettivo sicuramente inquadrabile come “dolo diretto” e non come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello come “dolo eventuale”.

La Corte di merito ha, infatti, illegittimamente attribuito a G., sulla base del riconoscimento di un atteggiamento soggettivo riconducibile al dolo eventuale, la condotta consumata dal padre G. (pag. 12 della sentenza impugnata), nonostante le azioni imputate ai ricorrenti fossero specificamente distinte nel capo di accusa.

Tuttavia l’erronea attribuzione a G. F. del il tentativo di estorsione consumato dal padre, sulla base della ritenuta sussistenza “dolo eventuale”, non influisce sulla decisione, dato che non può essere causa di annullamento della sentenza, fondata sull’accertamento della responsabilità relativo alle condotte specificamente contestate a ognuno dei ricorrenti ed accertate nel corso dei due gradi di merito (art. 619, comma 1, cod. proc. pen.).

3. Infine, è infondato anche il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di G. F. nella parte in cui contesta il riconoscimento a carico del ricorrente dell’aggravante delle “più persone riunite”.

3.1. Il collegio intende dare continuità al prevalente orientamento secondo cui la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza anche di un secondo soggetto poiché la ratio dell’aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone nel luogo del delitto (Sez. 2, n. 46148 del 10/10/2019, omissis Rv. 277776; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, omissis, Rv. 273520; Sez. 2, n. 50696 del 19/11/2014 – dep. 03/12/2014, omissis, Rv. 261324).

Sul tema si registra l’autorevole intervento delle Sezioni Unite che, seppure riferito ad un caso di estorsione, ha chiarito che «la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia a nulla rilevando, come detto, che la persona offesa dalla rapina non abbia percepito la presenza anche di un secondo soggetto. Se si esamina poi la struttura delle due norme in discussione -articoli 628 e 629 cod. pen.- si può notare come il legislatore abbia voluto precisare che ricorre l’aggravante «se la violenza o minaccia è commessa […] da più persone riunite»; sicché il termine “riunione” risulta direttamente collegato alla modalità commissiva della condotta violenta o minacciosa, che è connotata da una evidente maggiore gravità quando venga esercitata simultaneamente da più persone; si vuol dire cioè che, come è stato osservato da una parte della dottrina, il legislatore ha conferito alla compresenza dei concorrenti nel locus commissi delicti un maggior disvalore penale in virtù dell’apporto causale fornito nella esecuzione del reato e della rafforzata vis compulsiva esercitata sulla vittima. In tal modo il legislatore ha delineato una fattispecie plurisoggettiva necessaria, che si distingue in modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato, perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante della riunione riferito alla sola fase della esecuzione del reato e, più precisamente, alle sole modalità commissive della violenza e della minaccia, potendosi, invece, il concorso di persone nel reato manifestarsi in varie forme in tutte le fasi della condotta criminosa, ovvero sia in quella ideativa che in quella più propriamente esecutiva» (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, omissis, Rv. 252518, § 2.1.).

Le linee ermeneutiche tracciate dalle Sezioni unite indirizzano chiaramente verso la valorizzazione come elemento qualificante dell’aggravante in esame della “riunione” di più persone nel momento e nel luogo in cui si consuma il reato, dato che da tale assembramento discende una maggiore pericolosità della condotta ed un oggettivo aggravamento del potere coercitivo dei concorrenti “riuniti”.

3.2. Nel caso in esame, in aderenza a tale indicazioni ermeneutiche, e tenuto conto della specifica condotta contestata a G. F. (come rilevato in relazione al secondo motivo di ricorso: § 2), deve ritenersi che il riconoscimento dell’aggravante sia legittimo, dato che egli aveva consumato l’aggressione ai danni di C. M., unitamente ad altra persona non identificata, presente, insieme a lui, sul luogo del delitto (pag. 12 della sentenza impugnata).

2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M,

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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