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L’accesso a un sistema informativo è abusivo se avviene per finalità estranee a quelle proprie della funzione esercitata

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Cass. pen., sez. V, 29/11/2023 (ud. 29/11/2023, dep. 10/01/2024), n. 1161 (Pres. Pezzullo, Rel. Cuoco)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 615-ter)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 615-ter cod. pen. dispone al primo comma che chiunque “abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni”, la questione giuridica, su cui era chiamata a decidere la Cassazione nella pronuncia qui in commento, riguardava quando possa ritenersi un accesso abusivamente rilevante ai sensi di questa norma incriminatrice.

Difatti, la Corte di Appello di Napoli, confermando la condanna pronunciata in primo grado, aveva reputato gli imputati responsabili, in concorso tra loro, il primo quale istigatore e il secondo quale esecutore materiale, del reato, aggravato ai sensi del comma terzo dell’art. 615-ter cod. pen., di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico.

Orbene, avverso questo provvedimento proponevano ricorso per Cassazione, per il tramite dei loro difensori, ambedue gli imputati.

Nel dettaglio, per quello che rileva in questa sede, uno di questi deduceva, tra i motivi ivi addotti, violenza di legge riguardante la sussistenza del reato, sostenendosi che il delitto oggetto dell’imputazione risulterebbe integrato solo ove la condotta, mirante al raggiungimento di un fine non istituzionale, si sia concretizzata in uno sviamento di potere, ossia in un atto mirante al raggiungimento di un fine istituzionale.

La questione giuridica, su cui era chiamata a decidere la Suprema Corte, consisteva nell’appurare se la condotta incriminata dall’art. 615-ter, co. 1, cod. pen. può ritenersi configurabile soltanto ove essa miri a tale fine.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte forniva una risposta negativa al quesito summenzionato.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione alla luce di quell’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U., n. 41210 del 18/05/2017), secondo cui l’utilizzo di credenziali proprie dell’agente e l’assenza di espressi divieti, non escludono la possibilità che l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico dell’ufficio possa comunque essere qualificato “abusivo”, quando, pur formalmente corretto, risulti effettuato per finalità estranee a quelle proprie della funzione esercitata. In altri termini, per giudicare della liceità dell’accesso, occorre aver riguardo non solo alla titolarità astratta del potere esercitato, ma (anche) al suo concreto esercizio e, quindi, alla finalità perseguita dall’agente, che deve essere confacente alla ratio sottesa al potere di accesso.

Cosicché, anche in assenza di violazione di specifiche disposizioni regolamentari e organizzative, l’accesso può essere ugualmente abusivo ove si concretizzi in un reale sviamento del potere (Sez. 5, n. 26530 del 17/05/2021, non massimata), che ricorre non solo quando l’attività concreta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti formalmente corretta, ma orientata alla realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, in tema di abuso d’ufficio).

I risvolti applicativi

Alla stregua di quanto pronunciato in tale decisione, sulla scorta di quanto già affermato in precedenza dalla stessa Corte di legittimità, è evidente che la condotta “abusiva” di cui all’art. 615-ter cod. pen. sussiste anche se essa, pur formalmente corretta, e quindi conforme, quanto alle modalità di accesso ad un sistema informatico, alla normativa vigente, sia stata realizzata per motivi estranei alla funzione svolta, e posta in essere per perseguire uno scopo contrastante con quello che invece è tenuto a raggiungere colui che ha provveduto a siffatto accesso.

E’ dunque sconsigliabile, stante una giurisprudenza consolidata sul punto, sostenere una linea difensiva che si limiti a sostenere la mera regolarità formale dell’accesso in questione, senza al contempo provare che tale accesso: a) sia avvenuto per motivi consoni alle funzioni di colui che è legittimato a farlo; b) sia volto al perseguimento di un fine che deve cercare di ottenere l’agente.

Solo in presenza di tali prove volte ad accertare la sussistenza di tali condizioni, quindi, è possibile intraprendere una valida linea difensiva volta a scagionare il proprio assistito.

Sen

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 1161 Anno 2024

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: CUOCO MICHELE

Data Udienza: 29/11/2023

Data Deposito: 10/01/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

G. G., nato ad … il …;

P. A., nato ad … il …;

avverso la sentenza del 5 dicembre 2022, della Corte d’appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere MICHELE CUOCO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale TOMASO EPIDENDIO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso proposto nell’interesse di A. P. e dichiararsi inammissibile quello proposto nell’interesse di G. P.;

udito l’avv. L. S., difensore di G. G., che insiste per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 dicembre 2022, la Corte d’appello di Napoli, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto G. G. e A. P. responsabili, in concorso tra loro, il primo quale istigatore e il secondo (nella sua qualità di pubblico ufficiale in servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Avellino) quale esecutore materiale, del reato, aggravato

ai sensi del comma terzo dell’art. 615-ter cod. pen., di accesso abusivo alla banca dati del Pubblico Registro Automobilistico.

2. Ricorrono per cassazione i due imputati.

2.1. Il ricorso proposto dal G. si compone di due motivi.

Il primo deduce, sotto il profilo della violazione di legge, l’insussistenza del reato, sia sotto il profilo oggettivo, mancando la prova del concorso del G. nella condotta posta in essere dal P., sia sotto il profilo soggettivo, mancando la consapevolezza del carattere abusivo dell’accesso. La difesa sostiene che, nell’iniziale tesi accusatoria, la condotta dell’istigatore si intendeva provata attraverso l’illecito accordo corruttivo, finalizzato, appunto ad ottenere le informazioni da parte del pubblico ufficiale. Venuta meno tale imputazione, sarebbe venuta meno tanto la prova dell’istigazione, quanto quella della piena consapevolezza da parte del G. che il P. non fosse autorizzato all’accesso.

Il secondo, formulato sotto i profili della violazione di legge, dell’inosservanza di norma processuale e del vizio di motivazione, attiene alla sussistenza dell’aggravante, che, secondo la prospettazione difensiva, essendo finalizzata a rafforzare la protezione di quegli archivi che contengono informazioni riservate e, quindi, non ostensibili a terzi, sarebbe ontologicamente incompatibile con la funzione di pubblicità propria del registro automobilistico, contenente solo informazioni inerenti alla proprietà e alle vicende circolatorie relative ai veicoli in esso iscritti. Né, sotto tale profilo, potrebbe valorizzarsi

la circostanza per cui l’accesso, per i privati, è condizionato al pagamento di un corrispettivo, afferente, questo, alla sola gestione economica del servizio. D’altronde, sotto altro profilo, il capo d’imputazione non espliciterebbe gli elementi in forza dei quali il sistema che si assume violato debba essere qualificato nei termini prospettati ed essendo tale circostanza connotata da evidenti profili valutativi, non potrebbe ritenersi contestata in fatto. E la fondatezza dei profili evidenziati, imporrebbe la conseguente declaratoria di estinzione del reato, essendo decorso il termine massimo di prescrizione, spirato il 31 gennaio 2022.

2.2. Il ricorso proposto nell’interesse di A. P. si compone, anch’esso, di due motivi d’impugnazione, entrambi formulati sotto il profilo della violazione di legge, riguardanti, il primo, la sussistenza del reato e, il secondo, dell’aggravante.

Premette la difesa che il delitto oggetto dell’imputazione risulterebbe integrato solo ove la condotta, mirante al raggiungimento di un fine non istituzionale, si sia concretizzata in uno sviamento di potere, ossia in un atto mirante al raggiungimento di un fine istituzionale.

Ebbene, il G., al quale il ricorrente ha comunicato le risultanze del suo accesso, è un investigatore privato, informatore del P., con il quale quest’ultimo intratteneva un rapporto professionale in ragione delle informazioni di interesse investigativo che, costantemente, secondo una prassi consolidata invalsa negli ambienti di polizia giudiziaria, quest’ultimo gli forniva. Cosicché, l’accesso al sistema informativo e la successiva comunicazione delle relative risultanze, rientrando nel rapporto di collaborazione esistente tra un agente di polizia giudiziaria e il suo informatore, non potrebbe qualificarsi abusivo e il delitto non potrebbe ritenersi perfezionato.

Il secondo motivo, per come si è detto, attiene alla sussistenza dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 615-ter cod. pen. ed è formulato in termini sostanzialmente sovrapponibili al parallelo motivo del ricorso proposto nell’interesse del G..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il dato fattuale non è in contestazione: il P., nella sua qualità di pubblico ufficiale in servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Avellino, si è ripetutamente introdotto all’interno del Pubblico Registro Automobilistico, per effettuare ricerche nell’interesse di G. G., suo investigatore, al quale gli esiti venivano comunicati.

2. La Corte territoriale ha ritenuto l’accesso abusivo (in quanto realizzato per una finalità estranea alla funzione svolta in ragione del suo ufficio) e il PRA un servizio d’interesse pubblico.

La difesa del P. contesta (con il primo motivo) tale assunto, ritenendo, invece, che l’accesso fosse giustificato dai rapporti professionali esistenti tra il P., in servizio presso la Procura della Repubblica di Avellino, e il G., suo storico informatore e, quindi, il potere fosse stato esercitato in coerenza con i doveri e gli interessi inerenti all’ufficio ricoperto.

La censura è infondata.

Va premesso che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U., n. 41210 del 18/05/2017, omissis, Rv. 271061), l’utilizzo di credenziali proprie dell’agente e l’assenza di espressi divieti, non escludono la possibilità che l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico dell’ufficio possa comunque essere qualificato “abusivo”, quando, pur formalmente corretto, risulti effettuato per finalità estranee a quelle proprie della funzione esercitata. In altri termini, per giudicare della liceità dell’accesso, occorre aver riguardo non solo alla titolarità astratta del potere esercitato, ma (anche) al suo concreto esercizio e, quindi, alla finalità perseguita dall’agente, che deve essere confacente alla ratio sottesa al potere di accesso. Cosicché, anche in assenza di violazione di specifiche disposizioni regolamentari e organizzative, l’accesso può essere ugualmente abusivo ove si concretizzi in un reale sviamento del potere (Sez. 5, n. 26530 del 17/05/2021, non massimata), che ricorre non solo quando

l’attività concreta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti formalmente corretta, ma orientata alla realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, omissis, dep. 2012, Rv. 251498, in tema di abuso d’ufficio).

Parallelamente, il Pubblico Registro Automobilistico, nel quale il P. si è introdotto avvalendosi delle sue credenziali, è un registro, nazionale (introdotto con il regio decreto-legge 15 marzo 1927, n. 436, convertito dalla legge 19 febbraio 1928, n. 510), gestito dall’ACI, nel quale vanno registrate tutte le operazioni che riguardano le vicende circolatorie (come, ad esempio, l’immatricolazione, la compravendita, la demolizione, il leasing, i fermi amministrativi o i pignoramenti) o gli elementi identificativi riguardanti un veicolo.

Ebbene, i dati riportati all’interno del registro, coerentemente con la funzione di pubblicità (notizia) svolta dal registro, sono pubblici (attenendo il pagamento del corrispettivo dovuto per l’accesso alla sola gestione economica del servizio), ma l’accesso e la relativa gestione, proprio in ragione della funzione pubblicistica svolta dal registro, è rimesso a soggetti qualificati, in quanto tali titolari del riconosciuto potere di accesso.

Ciò premesso, nella gestione del rapporto con il suo informatore, il ricorrente ha offerto l’accesso al PRA (rectius, il mancato pagamento della somma prevista per l’accesso pubblico) a titolo di corrispettivo per le informazioni in precedenza ricevute, acquisendo e comunicando le notizie richieste evitandogli un pagamento.

Ebbene, è pur vero che la figura dell’informatore non è estranea al nostro ordinamento (tant’è che il codice di procedura penale legittima gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria a non rivelarne i nomi: art. 203), ma la gestione del (pur legittimo) rapporto con l’informatore non può giustificare, in assenza di una specifica regolamentazione, l’esercizio di un potere e un connesso atto di disposizione delle entrate pubbliche a titolo di corrispettivo per le informazioni dovute.

Cosicché, l’accesso, avvenuto pacificamente nell’interesse del G., deve ritenersi abusivo, proprio perché avvenuto per finalità estranee a quelle proprie dell’ufficio.

Su tali premesse, può darsi conto anche dell’infondatezza della connessa censura sollevata dal G. ed afferente, per come si è detto, alla sussistenza di una condotta di partecipazione a lui ascrivibile e alla piena consapevolezza del carattere abusivo dell’accesso.

Se, infatti, per come si è detto, l’abusività dipende anche dalla finalità per la quale il potere viene esercitato e se, parallelamente, utilizzare il sistema informatico per soddisfare interessi diversi da quelli proprio dell’amministrazione ne sostanzia la condotta, la relativa consapevolezza è ontologicamente presupposta nella stessa richiesta di acquisizione delle informazioni e nella successiva comunicazione dei dati e la richiesta di informazioni, da acquisire nell’interesse privato del richiedente, rappresenta una chiara condotta concorsuale nella successiva esecuzione materiale del reato, che della richiesta ne è l’attuazione.

3. Ugualmente infondate sono, poi, le residue censure (sollevate con il secondo motivo di entrambi i ricorsi) afferenti alla sussistenza in concreto dell’aggravante contestata e alla legittimità della sua contestazione.

Va premesso che non esiste una definizione normativa di “sistema d’interesse pubblico”, tant’è che la dottrina, in più occasioni, ha posto l’accento sull’indeterminatezza della fattispecie, diretta a ricomprenclere ipotesi non chiaramente definite nella loro perimetrazione.

Ebbene, proprio in ragione del principio di tassatività delle norme penali, fra le varie opzioni ermeneutiche, questa Corte ha aderito a una interpretazione restrittiva, fondata su criteri oggettivi, connessi all’effettivo interesse (pubblico) al quale l’attività (e, con essa, il sistema informatico) è finalizzata, indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale questa è istituzionalmente collegata. Ed in questi termini, quindi, deve leggersi la locuzione: come connessa “alla destinazione del sistema informatico al servizio di una collettività indifferenziata e indeterminata di soggetti” (Sez. 5, n. 24576 del 16/03/2021, omissis, Rv. 281320).

È pur vero che tutte le precedenti elencazioni sembrano riferirsi alle sole ipotesi in cui emergono le “infrastrutture critiche dello Stato” (traffico aereo, navale o ferroviario, rete elettrica o idrica, ecc.), ma proprio il carattere aperto della previsione (con l’inserimento di una clausola di chiusura) permette di ricomprendere anche attività diverse, esse stesse funzionali al perseguimento di un generale interesse di rilevanza pubblicistica, a prescindere dal carattere riservato dei dati contenuti nel sistema informativo (in sé estraneo alla previsione normativa). Rilevanza della cui sussistenza non può dubitarsi in relazione al registro automobilistico, ontologicamente destinato, proprio in ragione della sua funzione di pubblicità, all’intera collettività.

In ultimo, è pur vero che tale circostanza, presentando innegabili caratteri valutativi, necessita di una chiara esplicitazione nella relativa imputazione (Sez. 5, n. 7541 del 25/11/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282982). Ma, in concreto, tale esplicitazione c’è stata, attraverso l’indicazione degli elementi fattuali (il riferimento al registro automobilistico) e normativi (art. 615-ter, comma 3).

La rilevata sussistenza dell’aggravante esclude l’invocato decorso del termine prescrizionale.

4. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 29 novembre 2023

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