Cass. pen., sez. V, 29/10/2024 (ud. 29/10/2024, dep. 28/11/2024), n. 43686 (Pres. Miccoli, Rel. Giordano)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
- Sentenza commentata
La questione giuridica
Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava in cosa il reato di spendita di monete falsificate ricevute in buona fede si distingue da quello di spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate.
Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.
La Corte di Appello di Roma confermava una pronuncia di primo grado di condanna in cui era contestato il reato di cui all’art. 455 cod. pen..
Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione degli artt. 455[1] e 457[2] cod. pen..
In particolare, secondo il ricorrente, costui era stato in buona fede nel ricevere le banconote false, facendo presente di averle spese in negozi conosciuti, senza acquistare oggetti di valore con banconote di grosso taglio, e di aver cambiato una banconota per acquistare benzina, tenuto conto altresì del fatto che la buona fede era emersa anche durante la perizia per verificare la falsità di una banconota trovata a casa sua.
Si lamentava quindi l’erronea applicazione dell’art. 455 cod. pen., anziché dell’art. 457 cod. pen., che prevede una pena meno grave.
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la differenza tra l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 457 cod. pen. e quella di cui all’art. 455 stesso codice consiste nel fatto che per tale ultimo reato la scienza della falsità delle monete o titoli equipollenti deve sussistere nel colpevole all’atto della ricezione, mentre per il reato previsto dall’art. 457 tale scienza è posteriore al ricevimento della moneta falsa (tra le altre, Sez. 5, n. 11489 del 24/04/1990; Sez. 5, n. 4716 del 20/01/1982).
I risvolti applicativi
La differenza tra i reati di cui agli articoli 455 e 457 cod. pen. va individuato nel momento in cui il colpevole ha consapevolezza della falsità delle monete: difatti, nell’art. 455 cod. pen., la consapevolezza deve esistere al momento della ricezione mentre nell’art. 457 cod. pen. si verifica successivamente.
[1]Ai sensi del quale: “Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte da un terzo alla metà”.
[2]Secondo cui: “Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032”.
Sentenza commentata
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43686 Anno 2024
Presidente: MICCOLI GRAZIA ROSA ANNA
Relatore: GIORDANO ROSARIA
Data Udienza: 29/10/2024
Data Deposito: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L. F. nato a … il …
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, CINZIA PARASPORO,
che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado di condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 455 cod. pen., per la detenzione e la spendita di due banconote false di euro 100,00 ciascuna, aventi lo stesso numero seriale, di cui una era stata ceduta in pagamento ad un negozio di articoli da regalo di Fiuggi e l’altra in cambio ad un Bar nella medesima cittadina, nonché per il rinvenimento presso l’abitazione dello stesso di un’altra banconota falsa recante un diverso numero di serie.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte d’appello di Roma, propone ricorso per cassazione il L., mediante il difensore di fiducia, avv. A. C., assumendo violazione degli artt. 455 e 457 cod. pen.
A fondamento della doglianza pone in rilievo di aver ricevuto le banconote false in buona fede, come attestato dalla non ricorrenza, nella specie, degli indici, individuati anche nella giurisprudenza di legittimità, rivelatori della consapevolezza della falsità.
In particolare, sottolinea di aver speso le monete in esercizi commerciali conosciuti, di non aver acquistato oggetti di modesto valore con banconote di grosso taglio e di essersi limitato a cambiare una delle banconote per l’acquisto della benzina.
Deduce, inoltre, che la propria buona fede nella spendita delle banconote falsificate ricevute era emersa anche a fronte della esigenza di effettuare una perizia per stabilire se la banconota rinvenuta presso la sua abitazione era o meno falsa.
Di qui assume che l’erroneità della decisione impugnata deriverebbe dalla qualificazione del delitto in quello più grave di cui all’art. 455 cod. pen. in luogo di quello contemplato dall’art. 457 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Occorre premettere che la differenza tra l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 457 cod. pen. e quella di cui all’art. 455 stesso codice consiste nel fatto che per tale ultimo reato la scienza della falsità delle monete o titoli equipollenti deve sussistere nel colpevole all’atto della ricezione, mentre per il reato previsto dall’art. 457 tale scienza è posteriore al ricevimento della moneta falsa (tra le altre, Sez. 5, n. 11489 del 24/04/1990, omissis, Rv. 185113 – 01; Sez. 5, n. 4716 del 20/01/1982, omissis, Rv. 153580 – 01).
In forza di tale assunto, nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte affermato che, in tema di detenzione di monete contraffatte al fine di metterle in circolazione, di cui all’art. 455 cod. pen., la consapevolezza della falsità del denaro al momento della sua ricezione, che vale a distinguere il reato dalla diversa ipotesi di buona fede prevista dall’art. 457 cod. pen., può essere desunta dalla pluralità delle banconote contraffatte detenute nonché dal difetto di una qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, sia della provenienza del denaro che di un qualunque diverso e lecito fine della sua detenzione (ex ceteris, Sez. 5, n. 40994 del 19/05/2014, omissis, Rv. 261246 – 01; Sez. 5, n. 10539 del 31/10/2014, dep. 2015, Rv. 262684 – 01; Sez. 5, n. 32914 del 12/07/2011, omissis, Rv. 250946 – 01).
D’altra parte, poiché nella fattispecie in esame la condotta del L. si è sostanziata nella spendita delle monete false, sul piano dell’elemento soggettivo occorre considerare che non era necessario, come egli assume, il dolo specifico, che è invero richiesto, nel reato di cui all’art. 455 cod. pen., soltanto in relazione alle condotte di importazione, acquisto o detenzione di monete contraffatte o alterate, come fine di metterle in circolazione, e non anche per le condotte di spendita o messa in circolazione (Sez. 5, n. 38599 del 10/07/2009, omissis, Rv. 245320 – 01).
Sicché risultano congrue le argomentazioni addotte dalla Corte territoriale sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 455 cod. pen., nel senso che la consapevolezza della falsità poteva essere ritratta da una serie di convergenti elementi, quali il numero di serie identico delle banconote false utilizzate in due diversi esercizi commerciali, e il rinvenimento di un’ulteriore banconota falsa presso l’abitazione dell’imputato nell’ambito della successiva perquisizione.
Decisiva, al lume dei ripercorsi principi giurisprudenziali, appare, di poi, la considerazione, compiuta dalla stessa sentenza impugnata, nel senso che il ricorrente – che non lo fa, del resto, neppure con il ricorso in sede di legittimità – non ha fornito alcuna giustificazione sulle ragioni del possesso delle banconote false.
3. Il ricorso deve dunque essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29 ottobre 2024.