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Il medesimo disegno criminoso nella continuazione: in cosa consiste?

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Cass. pen., sez. I, 16/04/2024 (ud. 16/04/2024, dep. 27/06/2024), n. 25509 (Pres. Siani, Rel. Aliffi)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava in cosa consiste il medesimo disegno criminoso in materia di continuazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Firenze rigettava un’istanza con cui era stata richiesta l’applicazione della disciplina della continuazione.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva in Cassazione per violazione di legge, sostanziale e processuale.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto fondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era affermato che, quanto alla nozione di “medesimo disegno criminoso”, si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata.  

I risvolti applicativi

In tema di continuazione, il “medesimo disegno criminoso” si riferisce alla previsione da parte dell’agente della futura commissione dei reati e, dunque, si tratta di un elemento psicologico risalente ad un momento antecedente alla commissione del primo reato della serie considerata.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 25509 Anno 2024

Presidente: SIANI VINCENZO

Relatore: ALIFFI FRANCESCO

Data Udienza: 16/04/2024

Data Deposito: 27/06/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. R. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI;

lette le conclusioni del PG SILVIA SALVADORI che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’istanza con cui R. F. aveva chiesto applicarsi la disciplina della continuazione in relazione ai reati giudicati con le sentenze irrevocabili emesse:

– 1) dalla Corte di appello di Firenze, in data 3 luglio 2018 (condanna a 5 anni e 10 mesi di reclusione per più reati d bancarotta, commessi dal 2007 al 2010);

– 2) dal Tribunale di Roma in data 31 ottobre 2012 (condanna alla pena di anni 2 di reclusione per il reato di corruzione propria aggravato, commesso dal dicembre 2007 a maggio 2009)

A ragione osserva che le condotte distrattive di cui F. è stato dichiarato responsabile con la sentenza sub 1) sono state commesse dal condannato, in qualità di amministratore di fatto delle società fallite riconducibili ad unico gruppo denominato F. – B., in danno del Credito cooperativo fiorentino per ottenere finanziamenti irregolari, con ripetuti spostamenti di denaro da una società all’altra, tutte appartenenti all’indicato gruppo con capofila B.T.P. S.p.a.; al contrario, il reato di corruzione è stato commesso per ottenere l’aggiudicazione di opere pubbliche in favore di quest’ultima società. Ne segue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, le condotte illecite non sono espressione di un unico disegno criminoso, volto a favorire il gruppo F. – D. B.. Ciò è tanto vero che le condotte distrattive sono state commesse non in favore ma in danno delle società riconducibili al gruppo. Lo schema operativo per consumare i reati di bancarotta, costantemente seguito fin dall’anno 2007, prevedeva come risultato finale il mantenimento in vita delle varie società del gruppo ed in particolare di quella capofila, attraverso lo spostamento di risorse finanziarie dalla una all’altra, senza che le stesse fossero in grado di generarne proprie, fino a causarne il loro definitivo tracollo, con gravi danni ai dipendenti Al contrario, i fatti di corruzione sono stati commessi in epoca successiva ed al fine di favorire la capofila B.T.P. nell’aggiudicazione di opere pubbliche, nell’ottica di un raggiungimento di un vantaggio patrimoniale per l’intero gruppo.

2. Ricorre F., per il tramite del difensore di fiducia, deducendo tre motivi per violazione di legge, sostanziale e processuale, nonché per vizio di motivazione che possono essere riassunti ex art. 173 bis disp. att. cod. proc. pen. nei termini che seguono.

Secondo quanto accertato dalla sentenza sub 1), tutte le fattispecie di bancarotta fraudolenta, analiticamente descritte nell’atto di impugnazione, sono state commesse allo scopo unitario di proseguire l’attività imprenditoriale e favorire l’attività delle società riconducibili al gruppo F. – D. B. ed in particolare della società capofila B.T.P..

La sentenza sub 2) ha condannato Fusi per il reato di corruzione propria ritenendo accertato che lo stesso, nel periodo commesso tra il dicembre 2007 ed il maggio 2009, agendo come corruttore nella qualità di presidente della B.T.P., aveva siglato con alcuni pubblici ufficiali un patto finalizzato ad ottenere l’affidamento di appalti di opere pubbliche ad imprese di cui aveva il controllo, tra cui la stessa B.T.P.

Sostiene il ricorrente che poste tali premesse, non può revocarsi in dubbio che tutti i fatti penalmente rilevanti giudicati con entrambe le sentenze sono state commesse da Fusi nel medesimo periodo temporale allo scopo unitario di favorire l’operatività delle società del gruppo “F. – D. B.” ed in particolare la società capofila B.T.P..

La tesi recepita dell’ordinanza impugnata secondo la quale non è sostenibile che F. si sia rappresentato fin dal primo reato di bancarotta l’accordo corruttivo dell’anno 2008 perché siglato per la sopravvenienza di evento nuovo ed imprevedibile – l’intervento del correo D. V. P. — non è fondata ed è contraria all’accertamento cui sono pervenute le sentenze in esecuzione. In sede di cognizione non solo è stato escluso che la prima operazione incriminata risalga al maggio 2007, ma si è affermato che tutte le condotte distrattive sono state commesse nell’ambito di un reato unitario commesso dal 2007 al 2010, quindi nel medesimo contesto cronologico in cui sono stati commessi i fatti corruttivi.

Parimenti è stato ritenuto accertato che F. e D. V. abbiano concordato fin dal dicembre del 2007 il piano criminoso, in cui rientrava il reato di corruzione di cui alla sentenza sub 2), intraprendo iniziative comuni volte a compromettere l’imparzialità dei pubblici ufficiali. Ne segue che i reati oggetto di entrambe le sentenze sono stati commessi in modo simultaneo e con condotte esecutive che si sono sovrapposte. Si tratta di condotte non espressive della propensione del condannato a seguire uno stile di vita volto alla reiterazione di reati bensì sintomatiche dello scopo unitario perseguito dal condannato di proseguire l’attività e favore della sopravvivenza del gruppo imprenditoriale F. – D. B., attraverso più violazioni eterogenee, concepite sin dall’inizio nelle loro linee essenziali e di volta in volta realizzate.

Lamenta ancora il ricorrente che la Corte territoriale ha dato atto del deposito di una memoria di replica da parte della difesa del condannato senza, però, prenderne in esame le argomentazioni. Ciò ha impedito al giudice dell’esecuzione di affrontare il tema principale posto dalla difesa rappresentato dallo scopo unitario perseguito nella consumazione dei reati di bancarotta volto, così come nella corruzione, a consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale del gruppo anche a costo di creare un danno all’istituto bancario. Il fallimento di alcune delle società del gruppo in epoca successiva al 2012, proprio a causa delle condotte distrattive, non dimostra affatto che F. abbia agito negli anni precedenti, sia pure non riuscendovi, per evitare il tracollo dell’intero gruppo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Vanno ripresi alcuni principi che presiedono al giudizio sulla continuazione.

Nel procedimento ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. al giudice dell’esecuzione è demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso.

Quanto alla nozione di “medesimo disegno criminoso”, è stato chiarito che si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento, che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata. La ratio propria dell’istituto del reato continuato risiede nella considerazione che l’esistenza di un unitario momento deliberativo di più reati giustifica un trattamento sanzionatorio più favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice, bensì nel rispetto delle regole di cui all’art. 81 cod. pen.

In ordine al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una scelta di vita, che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, né una generale tendenza a porre in essere determinati reati: la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell’attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli artt. 102-108 cod. pen., un più grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l’istituto della continuazione fra reati.

Dall’altra, la nozione di continuazione non può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo – che parla soltanto di “disegno” – e a non risultare necessaria per l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione. Quello che occorre, invece, e che è sufficiente, è che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate (“disegnate”) in vista di un unico fine.

La programmazione può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale – con l’inevitabile riserva di “adattamento” alle eventualità del caso – come mezzo diretto al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico.

E’ significativo che anche la Corte costituzionale (sentenza n. 183 del 2013) abbia precisato che il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria.

L’accertamento dell’esistenza di un momento ideativo e deliberativo comune a più reati va compiuto, come ordinariamente avviene per l’accertamento degli stati soggettivi, secondo le regole della prova indiziaria.

Sono stati individuati, con elencazione non tassativa, ma esemplificativa, una serie di elementi (il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico) rilevanti nell’accertamento in parola, da considerare con apprezzamento analitico, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, che li valuti in maniera unitaria.

2. L’ordinanza, a prescindere dal mancato esame dei rilievi dedotti nella memoria difensiva solo citata in premessa, ha escluso l’unitarietà del disegno criminoso seguendo un percorso argomentativo che non si sottrae alle critiche del ricorrente.

La Corte territoriale ha considerato decisiva, ai fini dell’esclusione dell’unitarietà della deliberazione criminosa sottesa a i reati oggetto della richiesta di unificazione ex art. 81, secondo comma, cod. pen. la diversità tra lo scopo perseguito dal condannato con la consumazione di tutti i reati di bancarotta, giudicati con la sentenza sub 1), ed il reato di corruzione, giudicato con la sentenza sub 2), oltre che la distanza temporale tra le violazioni, sia pure contenuta in “pochi mesi”.

Al riguardo, ha evidenziato che mentre le ventisei condotte distrattive sono state commesse al fine di danneggiare sia il Credito cooperativo Fiorentino – indotto, a seguito di operazioni anomale e fittizie e nonostante il conclamato stato di insolvenza, ad elargire finanziamenti irregolari alle società del gruppo imprenditoriale controllato da F. – sia le singole società che lo componevano, nella sostanza utilizzate al solo scopo di drenare tutte le risorse finanziarie ottenute dal sistema bancario a favore di altre società collegate ed in particolare della capofila BTP.

Al contrario, le condotte corruttive sono state realizzate al fine di favorire in concreto la BTP nell’aggiudicazione di appalti di opere pubbliche.

Si tratta di argomentazione che, per quanto formalmente in linea con i ricordati principi in tema di reato continuato, risulta illogica ed intrinsecamente contraddittoria.

In particolare, non risulta comprensibile, così come rilevato dal ricorrente, perché lo scopo perseguito da F., nella qualità di persona fisica che nella sostanza controllava, insieme con altri, il gruppo imprenditoriale F. – B., con le condotte illecite eterogenee oggetto delle due sentenze di condanna abbia perseguito scopi diversi e comunque non riconducibili ad un’unica preventiva programmazione e deliberazione criminosa, una volta che in sede di cognizione è stato pacificamente accertato, come evidenziato dall’ordinanza impugnata, che tanto le bancarotte fraudolente quanto la corruzione, peraltro pacificamente commesse a distanza di “pochi mesi” le une dalle altre (pag. 4), erano oggettivamente strumentali ad apportare utilità economiche e finanziarie alla società capofila, la BTP, e quindi, indirettamente all’intero gruppo. La BTP era, infatti, non solo la beneficiaria ultima delle risorse finanziarie drenate dalle società collegate, anche a costo di provocarne il fallimento, ma anche degli appalti conseguiti con il patto corruttivo.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Firenze affinché provveda al nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, nel rispetto, però, dei principi di diritto testé puntualizzati e colmando le evidenziate lacune motivazionali.

3.1. È, infine, il caso di precisare che, in ossequio alla sentenza n 183/2013 della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 34 e 623 cod. proc. pen. in parte qua), non potrà partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento i giudici –persona fisica che hanno pronunciato l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato: ciò perché l’apprezzamento demandato al giudice dell’esecuzione presenta tutte le caratteristiche del «giudizio», con conseguente connotazione pregiudicante della precedente decisione nel merito.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

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