Che tipo di bancarotta commette l’amministratore che preleva somme societarie senza fornire un’adeguata giustificazione?

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Cass. pen., sez. V, 11/07/2025 (ud. 11/07/2025, dep. 7/08/2025), n. 29349 (Pres. Scarlini, Rel. Muscarella)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quale tipo di bancarotta commette l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Napoli confermava una sentenza pronunciata dal Tribunale di Torre Annunziata, la quale condannava alla pena di giustizia un amministratore di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale della medesima città, per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di beni della società, mediante l’attribuzione di compensi.

Ciò posto, avverso codesta decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva inosservanza o erronea applicazione di legge e vizi motivazionali, in relazione alla mancata riqualificazione della condotta, al più, in termini di bancarotta preferenziale.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19 luglio 2017).

I risvolti applicativi

È responsabile di bancarotta per distrazione, e non preferenziale, l’amministratore che preleva somme societarie per compensi non giustificati da dati oggettivi e verificabili.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29349 Anno 2025

Presidente: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

Relatore: MUSCARELLA ANNA MARIA GLORIA

Data Udienza: 11/07/2025

Data Deposito: 07/08/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

E. G. nato a … il …

avverso la sentenza del 22/10/2024 della Corte d’appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Maria Gloria Muscarella;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Cinzia Parasporo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 18.06.2022, che condannava alla pena di giustizia G. E., quale amministratore della società “N. T. s.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 6/06/2016, per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di beni della società, mediante l’attribuzione di compensi.

2. Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso, affidato a due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza o di manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. Si deduce che l’imputato, oltre a ricoprire la carica di amministratore unico della società fallita, era anche socio unico della stessa e che, pertanto, sebbene in assenza di formale delibera assembleare, l’attribuzione di compensi, quali spettanze per prestazioni lavorative svolte, non avrebbe leso interessi di altri soggetti, in quanto società unipersonale. Si deduce che il compenso sarebbe giusto e proporzionato alla prestazione lavorativa e che il ricorrente non avrebbe differente entrata economica.

2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge e vizi motivazionali, in relazione alla mancata riqualificazione della condotta, al più, in termini di bancarotta preferenziale. Si deduce l’assenza della concreta volontà di recare pregiudizio al patrimonio sociale, richiamando, al riguardo, le dichiarazioni rese dal curatore, nel verbale di SIT del 20.09.2017 e in dibattimento. Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, si deduce la inidoneità della condotta a recare pregiudizio al patrimonio sociale e che la sola assenza di delibera dei soci non potrebbe costituire condotta distrattiva. Si deduce che, dall’analisi del caso di specie, emergerebbe un comportamento imprudente e negligente dell’imputato, considerato che la Naval Tecno s.r.l. era una società unipersonale, caratterizzata dalla presenza di un solo socio e di un solo amministratore, figure riconducibili entrambe nella persona dell’E.. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della collaborazione dell’imputato, già in sede di indagini preliminari, con le autorità procedenti, offrendo le informazioni richieste nonché con la integrazione di documenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è infondato.

2. I due motivi, strettamente connessi, perché correlati al tema dell’assenza della delibera assembleare o della previsione statutaria in merito al compenso, vanno trattati congiuntamente.

Non è contestato che le somme siano state prelevate dall’amministratore in assenza di previsione statutaria o di delibera assembleare, che prevedesse il compenso, stabilendone l’importo, né la individuazione del prelievo né le ragioni della legittimità di tale prelievo, in quanto indebito prelevamento di una somma, in contanti, a titolo di compenso, in epoca di grave dissesto della società.

Rispetto a tale condotta, la Corte di appello, con motivazione corretta ed immune da vizi e censure, richiamando per relationem la sentenza del Tribunale, ha specificato le ragioni per le quali il prelevamento, in contanti, di somme dalle casse della società, a titolo di compenso, non poteva essere ritenuto legittimo, in quanto non supportato da alcuna delibera assembleare, che fondasse il relativo diritto e rendesse liquidi e esigibili i crediti, nonché in quanto effettuato con modalità informali, senza seguire la corretta procedura di liquidazione e pagamento, in un momento nel quale la società medesima si trovava in condizione di cronico dissesto.

Va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, omissis, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, omissis, Rv. 257595).

E’ certamente noto a questa Corte che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, come ritenuto dalle sentenze di merito in doppia conforme, sia integrato dalla condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, in quanto la previsione di cui all’art. 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali sia determinata con delibera assembleare perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (Sez. 5, n.3191 del 16.01.2020; Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, omissis, Rv. 273767 – 01; Sez. 5, Sentenza n.17792 del 23/02/2017, Rv. 269639; Sez. 5, Sentenza n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5 n. 11405 del 12/06/2014, omissis, Rv. 263056 – 01; Sez. 5 n. 50836 del 3/11/2016, omissis, Rv. 268433 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399).

E’, infatti, necessario ricordare come questa Corte abbia precisato che commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro

prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19 luglio 2017, omissis, Rv. 271464).

“In tema di bancarotta fraudolenta, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto il soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso” (Sez. 5, Sentenza n. 36416 del 11/05/2023, Rv. 285115 – 01).

I giudici di merito hanno correttamente ritenuto tali attribuzioni illegittime sia se imputate a compensi amministratore sia se imputate a rimborso finanziamenti socio, in quanto, in quest’ultima ipotesi, difetterebbe la prova del versamento delle somme da parte del socio unico, e tali rimborsi contrasterebbero con il disposto normativo, secondo cui il credito al rimborso resta postergato rispetto alla soddisfazione di tutti gli altri creditori, ex art.2467 cod. civ.

Sotto il primo profilo, l’imputato, amministratore unico della società a responsabilità limitata nonché socio unico, avrebbe ben potuto deliberare, senza alcuna difficoltà, il proprio compenso e che le somme erogate, da considerarsi come mere spettanze per le prestazioni lavorative svolte, sarebbero giuste e proporzionate alla prestazione lavorativa, costituendo l’unica entrata economica per il ricorrente.

A tal riguardo va qui richiamato e condiviso l’orientamento sostenuto — oltre che da autorevole dottrina, che richiama il dato della effettività del credito e della congruità delle somme percepite, perché sia integrata la bancarotta preferenziale — anche da Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, omissis, Rv. 247964 – 01, che ha ritenuto che l’amministratore risponda di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione allorché, pur senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti, verso la società in dissesto, relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro. Ha osservato Sez. 5, omissis, come il diritto dell’amministratore ad un equo compenso non possa venire meno per l’assenza di una delibera assembleare che ne determini preventivamente l’ammontare, perché il credito matura quando sia stata offerta la prestazione professionale, trattandosi di amministratore ritualmente nominato alla carica ricoperta. La mancanza di approvazione dell’ammontare del compenso da parte dell’assemblea può, in verità, costituire un indice, unitamente ad altri elementi, della non regolarità dell’operazione (nello stesso senso, Sez. 5, n. 32378 del 12/04/2018, omissis, Rv. 27:3576 – 01, che fa riferimento alla congruità del compenso). Anche Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, omissis, Rv. 266311 – 01 conferma come punto davvero centrale, per valutare se ricorra o meno il delitto di bancarotta fraudolenta, sia lo stabilire se la somma prelevata dalle casse sociali dall’amministratore sia o meno congrua rispetto al lavoro prestato, congruità che, evidentemente deve essere valutata e stabilita dal giudice e non dagli organi societari: «Se, infatti, la somma prelevata corrisponda a quanto normalmente percepito dall’amministratore a titolo di compenso negli anni precedenti quando la società non trovatasi in stato di insolvenza o a quanto percepito dagli amministratori di società analoghe, non si può parlare di vantaggio indebito, avendo diritto chi abbia offerto una prestazione lavorativa al relativo compenso. Il fatto che manchi una formale delibera degli organi sociali non pregiudica il diritto del lavoratore a percepire il suo compenso e, quindi, siffatta regolarità formale non può costituire un criterio per negare il diritto al prelievo e ravvisare il grave delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione” (cfr., in questo senso, Cass., sez. V, 2.10.2013, n. 5186, Rv. 260196; Cass., sez. V, 16.4.2010, n. 21570, Rv. 247964; così anche Sez. 5, omissis).

Nulla sposta, dunque, come rilevato dalla Corte d’appello, la circostanza che la società fosse unipersonale, ravvisandosi, anzi, in tale caso, a maggiore ragione, la necessità della cristallizzazione del compenso in un atto gestorio, antecedente all’erogazione, al fine di evitare il depauperamento programmato del patrimonio sociale, tanto più che i prelievi venivano effettuati in un’epoca in cui erano già ravvisabili chiari segnali di allarme circa la grave crisi finanziaria della società.

Quanto alla richiesta di riqualificazione della bancarotta fraudolenta distrattiva in bancarotta preferenziale, il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha ricostruito, nel dettaglio, tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e all’esito della istruttoria dibattimentale, e ne ha dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.

Eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei già menzionati vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023).

Al riguardo, la Corte territoriale ha anche vagliato la congruità degli importi prelevati, ritenendo che la consistenza media di 28.000 euro annui fosse sproporzionata, se collegata alle limitate dimensioni della società, con capitale pari a 50.000 euro, e, specialmente, del tutto ingiustificata, posto che l’imputato non aveva dimostrato di avere svolto attività gestoria – in quanto, negli anni in questione, la società, sostanzialmente, non era operativa – e ancora evidenziando che l’entità del compenso (in media 2.500 euro mensili) appariva chiaramente esorbitante rispetto alle esigenze di mera sussistenza dell’E..

Neppure è sostenibile che il raffronto tra entità dei compensi e dissesto – dissesto pari a euro 764.602,31 – denotasse l’assenza di concreta volontà di recare pregiudizio ai creditori. I giudici di merito hanno correttamente rilevato, quale ulteriore indice di fraudolenza della condotta distrattiva, volta a prelevare dalle casse societarie tutta la liquidità possibile, la circostanza che, negli anni in questione, l’impresa era in costante e precipitosa perdita, anzi ha costantemente operato in perdita, tranne per l’anno 2007, evenienza che faceva ritenere che l’imputato, fosse consapevole del dissesto e dell’inevitabile sorte della società, e, dunque, del grave pregiudizio delle ragioni di tutto l’intero ceto creditorio mediante la condotta di attribuzione di emolumenti a sé stesso, atteso che egli, socio unico ed amministratore, si è occupato dell’amministrazione della società sin dalla sua costituzione, ed ha ritenuto implausibile che lo stesso ignorasse la situazione di sbilanciamento patrimoniale della società.

Rispetto a tali considerazioni, in fatto, il ricorso è silente, affermandosi solo genericamente l’assenza di sproporzione e di differenti entrate economiche dell’imputato.

La Corte di appello ha, dunque, ritenuto indebiti i prelevamenti di denaro dalle casse sociali, in quanto non solo non autorizzati bensì non giustificati da dati ed elementi di confronto, che ne consentano una oggettiva valutazione, e per di più in epoca di grave dissesto della società, tali da integrare la condotta distrattiva contestata e ritenuta dal Tribunale (Sez. 5, Sentenza n. 3191 del 16/11/2020, dep. 2021, Rv. 280415 – 01).

Sul punto, la Corte territoriale ha evidenziato come non fosse stata comprovata la ricorrenza delle specifiche ipotesi previste da tale disposizione. Anche nel ricorso non si indica quale delle ipotesi si ritenga applicabile.

Non soccorrono sullo specifico tema le dichiarazioni del curatore, secondo cui per l’importo non ricorrerebbe l’ipotesi della bancarotta patrimoniale, trattandosi di valutazioni sulla qualificazione giuridica del reato spettanti al giudice; né i richiami a giurisprudenza riferita alla bancarotta documentale ovvero a un comportamento imprudente o negligente nell’avere omesso la delibera assembleare o ancora alla condotta collaborativa.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto mancare il presupposto della sussistenza di un titolo legittimo di credito, nei confronti della società, per la riqualificazione del reato nella meno grave fattispecie.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 11/07/2025.

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